Ogni mese sceglierò l’ultima cosa che ci ha fatto innamorare ancora una volta della musica elettronica, un vero e proprio Digital Love…

Se ci pensi a fondo è veramente un controsenso: nell’era dell’informazione e della condivisione massificata, dove tutto è disponibile e reperibile con una facilità sconcertante, trovare ciò che realmente stiamo cercando è diventato estremamente complicato. Così ho deciso di affidarmi di più all’istinto e alle sensazioni immediate. Cosa cerchiamo veramente nella musica? Ormai riconosco benissimo quella sensazione che attraversa il mio corpo quando trovo un disco che mi colpisce, è un po’ come quando assaggi qualcosa che non avevi mai provato prima e scopri che ti piace da morire. Spesso quando mi succede non so neanche cosa stia ascoltando, la mente è libera da ogni tipo di pregiudizio e mi affido solo ai miei impulsi. Così succede che dalle mie casse esca il suono di un pianoforte e di una voce che accompagna la melodia. Ascolto un po’ e un attimo dopo sono sul nuovo album di Robot Koch “Hypermoment”.

 

 

Robot Koch è un produttore berlinese attivo sulla scena elettronica da oltre vent’anni, con una passione per il pianoforte e la sperimentazione. Lo conoscevo da tempo grazie a un amico, quel tipo di amico che ti passa a forza la sua musica e che all’inizio snobbi un po’ per poi renderti conto che aveva ragione e che ti stavi perdendo qualcosa di unico. 

 

Le sue produzioni non si possono racchiudere in un genere solo, si viene trasportati tra suoni caldi e profondi all’interno di un pianeta elettronico, fatto di drums e tappeti sintetici infiniti. 

 

L’album è uscito a novembre sulla berlinese Monkeytown, proprio dopo la decisione di Robot Koch di abbandonare la capitale tedesca per trasferirsi a Los Angeles. Strana la vita è?

 

 

All’interno dell’album ci sono 11 bellissime tracce e collaborazioni con vari artisti. Non c’è un pezzo in particolare, l’intero l’album è da gustarsi tutto d’un fiato.

 

Lui lo ha definito il suo album più introspettivo, forse proprio per questo ha deciso di presentarlo attraverso una citazione di Alan Moore (se non sapete chi è avete modo di scoprirlo qui):

 

“I’ve come to think that the universe is a four-dimensional site in which nothing is changing and nothing is moving. The only thing that is moving along the time axis is our consciousness. The past is still there, the future has always been here. Every moment that has existed or will ever exist is all part of this giant hyper-moment of space time.” Alan Moore – June 2011

 

Buon ascolto!

 

 

BONUS TRACK: FLOATING POINTS – “ELAENIA”

 

floating points

 

Eccoci di nuovo a parlare del buon Sam Sheperd. Che questo sia stato l’anno di Floating Points ne avevamo già parlato qui, perciò non mi stupisco più di tanto se mi ritrovo a raccontare le gesta del genio londinese. Sull’album è già stato detto di tutto e di più, l’unica cosa che mi sento di aggiungere è che probabilmente ci troviamo di fronte a quella che un giorno sarà ricordata come una pietra miliare della musica elettronica moderna.