Gli Afterhours di Manuel Agnelli hanno saputo sollevare la scena indie italiana con Hai Paura del Buio nel lontano 1997.

C’era una volta gli Afterhours. C’era anche Red Ronnie che ci invitava in un salotto quotidiano musicale tutti i giorni alle 18, c’era MTV con Andrea Pezzi. Quelli più fighi della scuola iniziavano ad avere i primi cellulari (Motorola). Mara Carfagna arriva sesta a Miss Italia (avete presente cosa fa ora?), Daria diventa il mio cartone preferito ed ogni lunedì sera ci spiaggiavamo sul divano a vedere E.R Medici in Prima linea. Le radio passavano Laura Non c’è e il festival di Sanremo si conferma il teatrino del trash con Paola e Chiara che cantano Amici come Prima. Esisteva ancora Rifondazione comunista e di lì a poco sarebbe scoppiata la guerra in Kosovo. Il quadro generale è ovviamente molto più complesso. Una cosa però è certa,  in tutto questo per fortuna c’erano anche gli Afterhours.

 

Potrebbe sembrare una delle classiche affermazioni malinconiche nazionalpopolari, ma sotto sotto, tutti quelli che li hanno amati capiranno perché, non ci fu un periodo migliore del gruppo se non quello di Hai paura del buio?

 

D’altronde il  1997 fu un anno magico per la musica indipendente italiana, che stava cercando in tutti i modi di lasciarsi alle spalle la polverosa tradizione melodica, ma anche quella scomoda sensazione di sottomissione psicologica nei confronti del rock anglosassone. C’era tanta voglia di aria nuova e il simbolico trionfo di questa ondata fu Tabula Rasa Elettrificata dei CSI. Il loro disco numero “T.R.E.” appena uscito conquista inaspettatamente la testa della classifica vendite, superando la band allora più venduta del mondo, gli Oasis. C’erano poi i Dischi del Mulo, etichetta che faceva capo ai C.S.I., che lanciò i Wolfango, scoperti da Giovanni Lindo Ferretti, duo di bassa fedeltà punk che spopola sui canali televisivi musicali con la canzone Ozio. Le stesse emittenti MTV e TMC2 contribuiscono anche al successo di Metallo non metallo dei Bluvertigo, secondo capitolo della loro Trilogia della chimica programmando massicciamente i videoclip dei singoli Fuori dal tempo, Cieli neri, Altre forme di vita. Pierpaolo Capovilla invece esordisce con i One Dimensional Man, dal cui nucleo nascerà poi Il Teatro degli Orrori.

 

 

In questo grande fermento, con ormai 10 anni di gavetta alle spalle, cercavano di emergere dalla caotica scena alternativa milanese, gli Afterhours. Capitanati dal frontman di tutto rispetto Manuel Agnelli,  dopo due dischi cantati in inglese e dopo l’album Germi del 1995, erano già chiare le caratteristiche tipiche che avrebbero decretato la fortuna della band: incursioni punk che si alternavano ad intermezzi melodici,  ispirazioni noise ma anche psichedeliche, tratti post-punk e post-grunge. Musicalmente si ispiravano a Television e Velvet Underground (è dal titolo di una canzone di questi ultimi che il gruppo ha tratto il nome). Particolarmente  inusuali erano anche le scelte stilistiche nei testi di Manuel Agnelli : liriche anarchiche e sarcastiche si mescolavano ad un uso massiccio del cut-up, una tecnica letteraria stilistica molto cara alla Beat Generation e in particolar modo a scrittore statunitense William Burroughs,  che consiste nel tagliare fisicamente un testo scritto, lasciando intatte solo parole o frasi, mischiandone in seguito i vari frammenti e ricomponendo così un nuovo testo, a volte veicolo ambiguo di un nuovo significato, a volte invece semplicemente non sense, ma in ogni caso carichi di immagini e suggestioni.

 

Afterhours 1

Gli Afterhours capitanati da Manuel Agnelli

 

La formazione del gruppo varierà e si modificherà più volte negli anni, ma si stabilizza notevolmente nel momento in cui entrano a farne parte Giorgio Prette alla batteria e Xabier Iriondo alla chitarra. Dopo l’uscita di Germi, l’etichetta che li seguiva, la Vox Pop, fallì, lasciandoli in un limbo poco rassicurante. La sensazione di disorientamento, di perdita di fiducia nei confronti di un mondo desolato e tenebroso che appare senza via d’uscita, e anche della discografia italiana stessa, sono al centro delle 19 tracce che comporranno il disco. Non era ovviamente semplice trovare un’etichetta che potesse avere le larghe vedute che il loro suono necessitava. L’indipendente Mescal si prese questa briga, che si rivelò a posteriori una scommessa sul cavallo vincente.

 

Hai paura del buio? diciamolo, era un gran casino. Un meraviglioso aggroviglio  di stimoli sonori e poetici accatastati con intensità provocante, che si allargava in  territori musicali  inesplorati. Era il disco che parlava un linguaggio nuovo e viscerale, che parlava ai giovani e dei giovani con uno slang contemporaneo che centrifugava in modo rabbioso e poetico tematiche tra le più disparate: amore, noia, rivalsa, ironia e sesso, il tutto  tradotto in suoni che nessuno aveva mai sentito prima.

 

Afterhours 2

La copertina di Hai paura del buio?

 

Non a caso è una bestemmia ad aprire liricamente l’opera con 1.9.9.6., dove la voce storpiata di Agnelli condanna la società italiana ed in particolar modo la realtà milanese, un concentrato di apparenza perbenista con ai piedi mocassini e pantaloni bianchi. Ci sono richiami massicci  ai The Stooges, gli accordi monolitici e acidi, così come il titolo che ricorda molto la 1969 di Iggy & Co. Rapidamente la successiva cavalcata Male Di Miele sfodera una lucidità melodica ed una coerenza imbarazzante con le radici dell’alternative rock moderno, regalandoci un pezzo di esemplare spessore e personalità. Esiste al giorno d’oggi un pezzo contemporaneo che abbia la stessa ferocia e la stessa carica adrenalinica di questo pezzo? Probabilmente no. E’ diventato l’inno di una generazione raccogliendo nel migliore dei modi la lezione americana (Nirvana, Pixies e soprattutto gli Alice in Chains di Got Me Wrong) rielaborandola  in un cut up dal micidiale impatto emotivo. Una scossa elettrica di rabbia e insensatezza, melodica disillusione e rancorosa reazione. Due minuti e mezzo di Hard Rock minimale e psichedelico, urlato con grinta e trasporto. Ancora oggi, nonostante il tempo che passa è sempre incredibilmente attuale.

 

 

Le successive Rapace ed Elymania si presentano nuovamente vestite della stessa forza d’impatto. Con la prima si  introduce un tono più  dolce, ma non c’è nulla di melenso, dal momento che la ballata è costantemente velata da rabbia e inquietudine. Il contenuto è un allucinante viaggio nel lato più oscuro, inerte e irrespirabile dell’amore e parla di una rinnovata delusione:

 

“nei sogni che sogni ci sono i tuoi amici, il re, la regina, sono vuoti lo sai, sono più vuoti che mai”.

 

In tutto questo la voce di Manuel Agnelli tira fuori la sua graffiante potenza vocale.

Si susseguono episodi più riflessivi e classici per il rock italiano come Pelle, semi-ballata dilatata che piacevolmente mostra una nuova e più profonda dimensione del gruppo, o la incantevole Voglio Una Pelle Splendida, manifesto della superficialità e della paura di scomparire ed essere dimenticati. L’arpeggio di chitarra radiofonico che copre l’intero brano, viene per alcuni attimi sovrastato da un scarica di distorsione per poi ritornare ad adagiarsi nella sua melodia intrecciata che rende indimenticabile questa ennesima perla della band milanese.  La presa di coscienza della sconfitta e la preghiera nella salvezza sono al centro del brano:

 

“stringimi madre, ho molto peccato, ma la vita è un suicidio, l’amore un rogo e voglio un pensiero superficiale che renda la pelle splendida, a salvarmi vieni a salvarmi e bacia il colpevole se dice la verità”.

 

 

Traccia che si riscoprirà incontrollabile ed esplosiva durante i live è Lasciami Leccare L’Adrenalina, una mitragliata post punk scritta da Agnelli in coppia con Alessandra Gismondi dei Pitch, che esplode liberando un desiderio di movimento selvaggio ed incontrollato. Nel bel mezzo di tutto questo vi sono strane ed oblique sperimentazioni che annaspano nel delirio generale, brani come Senza Finestra, carica d’angoscia e tremolii spettrali, o Simbiosi, arricchita da dialoghi registrati ed utilizzati come sfondo musicale per una ballata desertica e desolante.

Ennesima, fondamentale caratteristica degli Afterhours, è sicuramente l’ironia che, anche se rivolta a se stessi, inacidisce ulteriormente frustate punk rock come Dea o la celebre Sui Giovani D’Oggi Ci Scatarro Su, nella quale viene letteralmente demonizzata un’intera fetta generazionale del “sabato in barca a vela, lunedì al Leoncavallo”, colpendo al cuore l’ostentata borghesia giovanile portatrice di finta alternatività.

 

 

Punto G è una cavalcata malata e allucinata costruita intorno a un riff doloroso e strisciante. Un coro recita un mantra ossessivo che imprime il ritmo al pezzo, c’è ancora un forte richiamo agli Stooges, e in particolar modo a We Will Fall (“e voglio un’altra stronza rivoluzione, un orgasmo che mi plachi ogni reazione. Non so chi colpire, perciò non posso agire”).

Ancora sferzate punk dalle venature decadenti con Veleno, pezzo veloce, diretto dal potente gioco delle chitarre di Iriondo e Agnelli, che si rincorrono con buona sintonia e meraviglioso effetto di contrasto.

 

Come Vorrei ricama invece attraverso una dolce fuga pianistica, una morbida dedica al suo amico Edda dei Ritmo Tribale, importante quanto sfortunata band del panorama italico dei primi anni ’90. Il ritornello è un prezioso frammento elegiaco, colmo di trasporto e di sentimento:

 

“Edda come vorrei… Perché tutto questo volere non diventa energia e non ci spazza via”.

 

Infine brani come Questo Pazzo Pazzo Mondo Di Tasse e Musicista Contabile diventano chiari messaggi  delle difficoltà soprattutto economiche che attanagliano le giovani band. La prima in particolar modo si presenta come  una ballata sgangherata registrata in presa diretta, satura di rumori, tonfi minimali di batteria e chitarre ambigue, in cui si polemizza sullo strano e difficile destino dell’artista e del prezzo della musica. La sostanza si vendica sulla poesia.

 

 

L’ultimo brano, la beatlesiana Mi Trovo Nuovo, è una piacevole ballata pianistica che riesce ad essere simpatica e allo stesso tempo malinconica.

Il disco riscosse un enorme successo, era stato concepito come conseguenza di una serie di paure generazionali e divenne qualcosa di molto più grande. Sicuramente fu il trampolino di lancio per la scalata degli Afterhours. Oltre ad essere stato valutato da una giuria di giornalisti come miglior disco indipendente degli ultimi 20 anni, ha vinto anche la classifica di preferenza degli album italiani indipendenti degli ultimi 15 anni in un referendum tra il pubblico.

 

Nel luglio 2013 gli Afterhours avviano anche un importante nuovo progetto che raccoglie la fortuna dell’album e soprattutto ne prende il nome. Il Festival Hai Paura del Buio? è un festival culturale itinerante al quale prendono parte non solo altri musicisti (tra cui Marta sui Tubi, Il Teatro degli Orrori, Daniele Silvestri, Negramaro), ma anche attori di cinema e teatro (Antonio Rezza con Flavia Mastrella), videoartisti, pittori, disegnatori e ballerini. Il progetto debutta ai Cantieri OGR di Torino il 30 agosto 2013, ospitato all’interno della decima edizione del Traffic Festival per proseguire con altre due date significative: a Roma, in un luogo centrale per la cultura come l’Auditorium Parco della Musica e a Milano, nello storico Alcatraz.

 

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Gli Afterhours hanno avviato un progetto importante chiamato Hai Paura del Buio Festival

 

L’11 marzo 2014 è stata pubblicata per Universal Music un’edizione speciale di Hai paura del buio?, contenente la versione rimasterizzata dell’album originale (Remastered) ed un nuovo CD che vede coinvolti diversi artisti di spicco della musica italiana ed internazionale, che hanno collaborato con gli Afterhours per reinterpretare tutti i brani che compongono l’album e proporre al pubblico una versione nuova e particolare (Reloaded). Alla realizzazione di questo lavoro partecipano tra gli altri Marta sui tubi, Il Teatro degli Orrori, Piero Pelù, Eugenio Finardi, Samuel Romano (Subsonica), John Parish, Mark Lanegan, Damo Suzuki, Rachele Bastreghi (Baustelle), Bachi da pietra, Piers Faccini, Nic Cester, Joan as Policewoman e altri.

 

Parlare di Hai Paura del buio? e dover fare i conti con la nuova collocazione di Manuel Agnelli, non più solo leader di una rock band ma giudice di X Factor fa pensare. Quel sistema mangiasoldi con cui si accaniva un po’ di anni fa ora non è lo stesso che gli paga il profumato stipendio? E qui ci si potrebbe riagganciare alla bestemmia iniziale di 1.9.9.6. E cominciare a riascoltarlo tutto, rimasticando non solo il boccone amaro di rabbia adolescenziale, che ormai è collocato lontano nel tempo, ma anche tutta la delusione e la presa di coscienza che la maturità comporta, quando le cose cambiano e spesso non come vorresti tu.

 

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Manuel Agnelli, da leader degli Afterhours a giudice di X-Factor

 

Perché un po’ come ha sempre detto Manuel Agnelli, la cultura è politica. Promuove idee e quindi prende posizione, stimola il pensiero e le idee nella testa della gente e quindi aiuta la gente a prendere posizione. È politica anche quando cerchi di fare informazione, perché tramite quella la gente pensa, riflette, si crea la propria idea. E il leader di un gruppo così catalizzatore che diffuse questo concetto importante e che una volta era dall’altra parte della barricata ora si ritrova nella posizione opposta, fa una chiara scelta politica, in più sulla pay tv! Che effetto devastante può avere su di noi, che insieme a lui urlavamo “Sei borghese, arrenditi!”.

 

C’è un lato sentimentale che in certi casi, come in questo è determinante e prevale su tutto, per cui concedi qualche buona giustificazione trattandosi di un gruppo che in ogni caso ha avuto un peso incredibile nella formazione musicale e di tutti quelli che erano adolescenti negli anni ’90 e quindi anche nella mia. E anche perché in certi casi la crescita determina lo smussamento di certe posizioni, che un tempo erano ideali inattaccabili. Probabilmente c’è solo da prendere atto che la diffusione musicale va tutta da un’altra parte rispetto a 20 anni fa e non ci si può accanire in posizioni così anacronistiche. C’è da tenersi al passo coi tempi, (Spotify l’ho scoperto anni fa e ora non ne posso fare a meno), ma guardare X Factor con una delle tue voci preferite che alimenta un sistema così superficiale, fa parecchio male.

Come avrebbe cantato qualche anno dopo il nostro caro Manuel in Non è per Sempre, “Tutto fa un po’ male”.

Un’affermazione che racchiude tutto. Come dargli torto?

 

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