Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Denis Longhi, fondatore del Jazz ReFound, per scoprire cosa significa organizzare un festival musicale in Italia.

Non è mai facile tornare da un festival. Rimettersi in carreggiata e ripartire con la vita di tutti i giorni. Certo si torna anche carichi di un bel bagaglio culturale, specie se quel Festival si chiama Jazz ReFound e da quasi 10 anni porta l’avanguardia musicale internazionale in quel di Torino, con un focus speciale sulla scena che va dal new-jazz all’house, passando attraverso l’hip-hop e la musica black.

Abbiamo deciso di fare due chiacchiere con Denis Longhi, fondatore e ideatore del Festival, colui che l’ha seguito nella sua crescita e maturazione, partendo dalla provincia di Vercelli fino ad arrivare alle più importanti location torinesi.

 

Ciao Denis, vorrei partire con una domanda classica: come è nato il festival e cosa ti ha spinto a intraprendere questo percorso?

Il festival nasce con la costituzione di una crew a fine anni ’90. Eravamo un gruppo di persone, un insieme di artisti di varia natura e con diversi background alle spalle. Tutto è iniziato dalla provincia di Vercelli, luogo con una forte identità controcorrente. Dal 2006 in poi abbiamo sentito l’esigenza di portare sul palcoscenico alcuni degli artisti da cui avevamo tratto ispirazione, ovvero dal mondo uk e dalla black music, passando per la jungle, drum and bass e trip-hop. Possiamo dire che Vercelli sia stata la nostra palestra, con una crescita costante che ci ha permesso di arrivare a Torino in piena maturità artistica.

 

Ci teniamo a fare i complimenti per quest’ultima edizione. Nonostante i problemi di programmazione dati dall’assenza improvvisa dei De La Soul siete riusciti a dare in tempo alternative valide. Per noi è stata quasi perfetta, voi come giudicate l’edizione 2016?

A freddo possiamo fare un bilancio alto, penso che siamo riusciti a salire su un ulteriore scalino a livello di brand image, riuscendo a stabilire un segno, un’idea che nel suo piccolo è diventata ormai riconoscibile ai nostri utenti, essendo sinonimo di qualità. Ricordiamoci che Jazz Re:Found a livello di produzione è formata da semiprofessionisti, perciò riuscire a raggiungere certi traguardi è una grossa soddisfazione. Ovviamente rimangono alcuni aspetti che vogliamo migliorare, ad esempio il discorso che riguarda la pre-produzione del festival e la logistica. Riuscire a modificare la line-up in così poco tempo non è stato facile. Penso che sia un ulteriore segnale che dimostra quanto il nostro pubblico sia disposto a seguire le nostre idee a prescindere dal singolo artista.

 

Il fatto di avere varie location, qualche volta anche due nella stessa giornata, lo considerate un vantaggio o uno svantaggio?

Il desiderio di avere molte location distribuite sul territorio corrisponde a un’esigenza di dare una visione intera delle varie identità torinesi. Da quelle più nobili e riconoscibili come il centro, fino alla visione più proletaria e anticonformista della periferia che da sempre ha un ruolo fondamentale nella crescita di Torino e nei movimenti artistico-culturali. Abbiamo cercato di definire un percorso per il nostro pubblico attraverso i contesti che meglio rappresentano le varie identità, è stata una grande fatica, e mi rendo conto che avere 4 venues in un giorno solo sia un dispendio enorme e faticoso. Il sogno per le prossime edizioni è di riuscire a svilupparsi su tutta la città, ma con qualche venues in meno.

 

Jazz ReFound 1

 

C’è stata una scelta che, parlando con gli addetti ai lavori, non tutti hanno apprezzato fino in fondo. Quella dei Colle Der Fomento che, aldilà della storia che ha e rappresenta questo collettivo, sono sembrati un po’ stonare nella line-up del venerdi allo Spazio Dora. Come la pensate?

Non sono del tutto d’accordo perché in realtà lo show dei Colle Der Fomento ha avuto un riscontro molto buono. Certo fare una proporzione con i De La Soul è improponibile, ma ritengo che in breve tempo siamo riusciti a trovare una band che rappresentasse il pathos e l’immaginario dei De La a livello di estetica musicale e liriche consciuos. L’ accoppiata con Gilles Peterson voleva cogliere anche l’immaginario internazionale che gira intorno ai territori jazz, hip hop ed elettronici. Penso sia stata una scelta importante e i feedback sono stati positivi.

 

Ce lo domandiamo molto spesso, ma non sappiamo ancora darci una risposta. Cosa manca a tuo avviso all’Italia per poter davvero proporre festival all’altezza degli altri paesi europei?

In Italia abbiamo un contesto in cui non è possibile proporre un festival internazionale. La mia sensazione è che anche festival come il Club To Club o altri, per quanto siano soddisfacenti nei numeri, non abbiano neanche il 10% delle possibilità degli altri festival. Non abbiamo un pubblico che arriva dall’estero, non possiamo fare paragoni con città come Barcellona o Amsterdam. Inoltre in Italia abbiamo un’incapacità anche economica per essere competitivi, difficoltà a fare rete, cioè networking per difendere le attività locali. Credo che una delle caratteristiche per il successo del futuro sia legare la proposta artistica al territorio italiano, quindi valorizzare le province e i luoghi spettacolari che abbiamo. Magari non puntando solo ai grandi numeri, ma ad un pubblico consapevole di intraprendere un’esperienza qualitativamente migliore di quelle che possono trovare altrove. A questo possiamo arrivarci.

 

Tornando a noi, qual è l’edizione di Jazz Re:Found che più ti è rimasta nel cuore e quale è stata, tra tutte, l’esibizione che più ti ha fatto emozionare?

L’ edizione più significativa è stata indubbiamente quella del 2009 (la seconda ndr), in cui abbiamo capito che il festival poteva avere un ruolo importante nel mondo dell’intrattenimento. Se vogliamo è stata anche una trappola perché a livello economico fu un’edizione disastrosa. Però penso sia stato un investimento per il futuro. Ci siamo confrontati con artisti importanti per la prima volta, che avevano delle esigenze diverse da quelle a cui eravamo abituati. Il concerto dei Lamb è quello che ricordo con più intensità ed emozione, anche perché loro erano reduci da Glastonbury. Inizialmente ho notato un po’ di diffidenza da parte loro, vuoi perché avevano organizzato un “piccolo” allestimento, vuoi per i concerti da cui venivano. Il risultato fu pazzesco, eravamo davvero commossi. Qualcosa di magico che ha innescato una dinamica per cui il festival è diventato davvero parte di noi.

 

Appena il tempo per godersi il successo dell’ultima edizione che siete già all’opera per la prossima. Parlaci dei prossimi appuntamenti.

Dal 2017 abbiamo intenzione di raddoppiare le attività del festival, in attesa della decima edizione che ci aspetta a dicembre. Invece ad aprile ci sostituiremo al Torino Jazz Festival, con il quale abbiamo già attivato una collaborazione. L’unica anteprima che vi posso dare è che ci saranno gli Snarky Puppy, storica jazz-band di Brooklyn. Inoltre abbiamo intenzione di attivare una vera e propria agenzia interna a Jazz Re:Found, la quale si occuperà di curare tutta la comunicazione, le media partnership, gli eventi e il nostro roster di artisti. Insomma pensiamo che il 2017 possa essere l’anno del nostro upgrade!

 

Grazie ancora al Jazz Re:Found e a Denis Longhi, ci vediamo ad Aprile!

 

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