2 novembre. Un cielo di vetro mi sveglia, infranto da un opaco raggio di sole. L’aria è così fine che sembra di potervi scorgere una miriade di invisibili crepe. Da quando sono qui mi sveglio ogni mattina con la consapevolezza che migliaia di persone come me, in quel medesimo istante, stanno guardando lo stesso cielo. E non intendo dire che tutta l’umanità affronta con fatica la propria giornata sotto lo stesso cielo indifferente. Mi riferisco a delle persone specifiche. Gli Italiani. O meglio, gli Italiani a Londra. Perché contrariamente a quanto si possa pensare, questo piccolo aggregato umano, pur variamente e vivacemente composto, costituisce una pittoresca comunità da queste parti, unita da un tragicomico legame dalle tinte di schizofrenia. Mi spiego meglio. La maggior parte di noi lascia la propria casa e si rintana in questa culla del caos non perché non ami l’Italia, per cui tutti ci accomuna una profonda nostalgia, né spesso perché ami Londra, col suo grigiore e i suoi soldatini in giacca e cravatta che marciano nei corridoi delle stazioni. La maggior parte di noi parte perché deve. Deve se vuole lasciarsi alle spalle la disoccupazione, la corruzione, il nepotismo, il qualunquismo, la mediocrità. È triste rendersi conto, mentre scrivo, che questo è il ritratto del mio paese al giorno d’oggi. Ma cosa succede allora quando due Italiani si incontrano a Londra? In tutta onestà la prima reazione quando una parola o un accento familiare tintinnano alle mie orecchie è un’incontenibile nausea. Si suppone che uno si trasferisca in un altro paese per cambiare aria, o no? Ma poi, in un istante, si insinua silenzioso un tepore, una dolcezza, che mi risveglia da quel torpore emozionale che sembra covare dentro ciascuno qui, e mi scioglie il cuore (un muscolo tendenzialmente poco apprezzato da queste parti). E d’improvviso ti riscopri ancora una volta italiano, col tuo abbraccio facile, il tuo gesticolare, e il tuo parlare a voce sempre troppo alta. E tuttavia sai di esserti amalgamato a questo posto. Lo sai perché qui non chiami gli amici per un caffè al volo, ma pianifichi i tuoi incontri, lo sai perché qui ci metti un’ora per arrivare, qualunque sia la tua meta, lo sai perché ce l’hai sempre a malapena quel tempo che preziosamente cerchi di guadagnare. Il tempo ti scivola via fra le dita, come l’ultima goccia d’acqua nel deserto.

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Ecco perché nonostante tutto questo proviamo un sottile piacere quando sappiamo che un gruppo italiano come gli M+A viene a suonare qui. Gli impegni non contano, non conta neanche che tu li conosca già o li abbia già visti, conta il fatto che per una volta, quando si tratta di Italia, ti senti orgoglioso e coinvolto. 9 pm Hoxton Square Bar & Kitchen. La sala è piena. E non solo di Italiani, per quanto quell’inglese dall’accento sgangherato salti spesso fuori mentre aspetto che mi servano al bar. Gli M+A non hanno bisogno di troppe presentazioni da queste parti. La band si conferma un vero spettacolo sul palco, avvolta da quella loro coinvolgente atmosfera tropicale. Ci mette l’anima, e la folla esaltata ricambia. A fine serata, tornando a casa, penso (in un’ora sull’autobus si pensa moltissimo) che chissà che rapporto ha un gruppo italiano del genere con questo posto. Una mail non tarda a darmi la risposta: “Il motivo per cui abbiamo nel mirino Londra non è tanto dovuto all’amore per questa città, ma piuttosto a un’esigenza, perché il mercato a cui stiamo mirando è proprio quello UK. Sia le persone con cui lavoriamo che quelle con cui vorremmo lavorare risiedono a Londra, e questo la rende per noi uno dei principali terreni d’azione. Personalmente ho vissuto qui per un anno, un paio d’anni fa, e quello che mi ha sempre affascinato di questo posto è che più che una città sembra un po’ il mondo in miniatura. Non l’ho neanche mai considerata la città degli Inglesi, bensì la città di tutti. Questo la rende in un certo senso neutra, e persino piatta in parte, dal momento che il rischio di avere mille colori, talvolta, è che è un po’ come non averne nessuno. Non c’è mai stato un vero e proprio amore a prima vista per questa città, ma è proprio questo il motivo per cui ci piace più di altre, perché per noi ha sempre rappresentato una meta lavorativa piuttosto che di svago: musicalmente parlando il bello di questo posto (UK in generale) è che qui la musica è un vero e proprio business, viaggiano tanti soldi, e di conseguenza la gente che lavora nel campo musicale non lo fa per semplice hobby. La musica qui è prima di tutto un lavoro, serio come ogni altro. La differenza che si respira in ogni aspetto di questo settore, festival, concerti, studi, agenzie, è infatti principalmente sul lato professionale. Tutto viene preso sul serio. Per quanto ci riguarda, in sostanza, le agenzie e le label a cui miriamo sono qua, il mercato musicale in cui crediamo la nostra musica possa collocarsi è qua, ed è quindi inevitabile per noi avere Londra come seconda casa.”