Destino da giramondo quello dei Parquet Courts.

Dal Texas impiantati in quel di Brooklyn dove, insieme a molti altri gruppi interessantissimi come i The Men e i Big Ups, riescono a convincere il grande pubblico sfornando veri e proprio classici della nostra generazione come Light Up Gold e Sunbathing Animal, sino ad arrivare a Londra. Difatti ecco che i Parquet Courts escono per una delle etichette storiche della capitale UK, Rough Trade, e se in 5 anni circa ti fai il giro delle coordinate moderne (e non) della musica mondiale un motivo, sicuramente, ci sarà.

 

Unire l’hardcore, il noise, il lo-fi all’indie più ascoltabile e piacevole è divenuta ormai un’ossessione negli ultimi 30 anni. Partendo dai Dinosaur Jr. e i PIxies sino ad arrivare ai tanto amati Nirvana, in molti hanno cercato l’alchimia perfetta, ma in pochi ci sono riusciti; la ricerca di quel sound che riesce a mantenere l’ardire dell’underground sovrapposto al concetto di ascoltabilità tipico del mainstream. Ma ecco arrivare nell’agosto del 2012 un disco pubblicato in sole 500 copie da una piccola etichetta che svela un gruppo capace di avvicinarsi a tale concetto. Quel disco era Light Up Gold, e il gruppo naturalmente i Parquet Courts.

 

Eppure qualcosa sembra essere cambiato in questi tre anni, i quattro texani si sono districati tra progetti alternativi e un altro grande album, sino ad arrivare a questa atipica prima uscita sulla Rough Trade.

 

Un’uscita che come detto spiazza immediatamente. Tutti si immaginavano un approccio più immediato da parte di una band giovane all’esordio con una grande etichetta e invece non è così: i Parquet Courts non strizzano mai l’occhio all’ascoltatore, non cercano la grande hit ma si divertono a giocare ed a sperimentare per circa 35 minuti. Così ecco No,No,No!, unico episodio cantato del disco, che ipnotizza per poco più di un minuto per poi dissolversi nel caos del suo post-punk eclettico.

 

 

Dalla traccia successiva, Monastic Living I, si innalza un muro di noise strumentale frizzante e sincero. I feedback si uniscono al concetto di loop in una ripetizione quasi psichedelica (come nel caso di Vow Of Silence). Monastic Living II si erge a dimostrare quanto sia ludico questo ep, Alms For The Poor è un intro per un’ipotetica grande canzone interrotto dopo 40 secondi per sfociare nella quasi elettronica Poverty And Obedience. Infine Prison Conversion a chiudere il disco, in uno strumentale che sembra quasi provenire da dei Death In Vegas versione punk.

 

Quella del noise strumentale è una grande tradizione (da Glenn Branca a Roy Montgomery) che i Parquet Courts riescono a portare avanti con semplicità, lasciando spalancate le porte per un futuro più che roseo e cosa più importante, originale.

 

Certo, questo non è l’album della vita per i Parquet Courts. Ma talvolta è anche bello non cercare lo status di successo con l’ossessione propria di molti pseudo gruppi dei nostri tempi, e lasciarsi andare al grande gioco della musica.