Andare? Non andare? Devo essere sincero, fino all’ultimo momento sono stato diviso tra due idee contrastanti riguardo il concerto dei Rolling Stones. E per ovvi motivi. Il primo, purtroppo, di natura economica. Il costo del biglietto non era tra i più accessibili, e conoscendo la mia  tendenza costante al vizio avevo messo in conto una spesa che oscillava tra i 200 e i 500 euro (fortunatamente me la sono cavata con molto meno). Il secondo motivo era un dubbio lacerante, ed era quello sulla tenuta fisica (ed artistica) dei nostri cari signori arrivati ormai ad una certa età. In più, tenete  conto che non vado particolarmente pazzo per gli Stones (e qui in molti si alzeranno dalla sedia maledicendomi). Difatti,  tra i grandi gruppi che hanno fatto la storia, sono sempre stato orientato più verso i Velvet Underground, i Pink Floyd, i Beatles, etc., confinando la band londinese ai margini del mio olimpo personale dei dinosauri del Rock. Ok, sono un gran coglione. Ebbene sì, mi sono ricreduto. Su tutto. Al termine della vicinissima nottata del 22 giugno al Circo Massimo mi sono scoperto totalmente innamorato dei Rolling Stones. Questo perché avevo fatto un grande errore: li avevo giudicati senza averli mai sentiti dal vivo. Difatti, durante i miei viaggi in macchina (che per me sono un vero inferno essendo leggermente claustrofobico, e quindi bisognoso di distrarmi continuamente con della musica, sparata ad alto volume se possibile) spesso ho provato difficoltà ad ascoltare per più di un minuto senza cambiare – causa noia – qualsiasi canzone dei Rolling (e vorrei anche vedere, ormai ce li hanno propinati fino alla nausea, e in più quando cominci ad ascoltare l’underground e molta musica sperimentale e innovativa magari il rock classico può indurre a sonnolenza e suonare leggermente “sorpassato”, con tutto il rispetto per Mick Jagger e compagnia che hanno preso il blues e lo hanno trasformato in una macchina da guerra che non si fermerà mai). Ma dal vivo tutto è diverso e prende significato. E oggi mi rallegro per aver fatto la scelta giusta ed aver comprato quel fottuto biglietto a due giorni dal concerto, giusto in tempo.
Ok, partiamo dall’inizio. Me ne sto in treno, direzione Roma, e comincio ad essere leggermente teso, comincio già a sentire quell’adrenalina pre-concerto che mi attanaglia lo stomaco tutte le volte. Sto andando incontro alla storia della musica, e probabilmente anche incontro alla storia dei concerti italiani, visti i 70000 partecipanti previsti che spero infuocheranno insieme agli Stones il Circo Massimo e l’infinita notte romana. Me ne sto seduto con le occhiaie coperte da un paio di occhiali, contenuto all’interno di un bolide di metallo che a 250 km/h sta andando a schiantarsi verso il Rock. Ma saltiamo la tediosa descrizione del mio arrivo e stronzate varie. Arriviamo al dunque. Arriviamo nel luogo del delitto, nel luogo in cui entreremo in contatto con un’entità infernale che al posto delle corna esibisce una linguaccia simbolo di intere generazioni. La prima cosa percepibile al C.M. è il caldo, e una folla oceanica. Ci sistemiamo nel prato cercando una buona posizione. Comincia l’attesa. Un’attesa in cui cerco di sbronzarmi a suon di birre e cuba libre preparati da miei compagni di concerto (impresa non certo difficile visto il caldo, difatti dopo la prima birra comincio già a sentirmi alcolicamente felice). Alla mia vista si presentano persone di ogni tipo e di ogni età, dai 5 ai 70 anni. Il tempo passa (e fortunatamente, anche con una certa velocità). Arrivano anche IT e Maste (ebbene sì, abbiamo formato un tridente interamente appartenente al cARTEllo). Finalmente alcune nuvole assorbono il sole e, verso la fine del crepuscolo, comincia lo show. Ad introdurre i Rolling (compito alquanto difficile) ci pensa John Mayer (a mio padre era venuto un colpo perché, vista la somiglianza del nome, aveva capito John Mayall (che, parentesi nella parentesi, ha suonato anche con Mick Taylor che sarà veramente presente nel palco ritrovando i suoi vecchi compagni). Quando, tornato dal concerto, gli ho spiegato che aveva capito male e che si trattava di un giovane artista blues-rock ha abbassato lo sguardo sconsolato, ma fa niente, piacevolissima sorpresa della serata. Difatti il chitarrista statunitense dimostra una buona tecnica e ha un ottimo repertorio di canzoni, apprezzate dalla maggior parte del pubblico. Poi, l’inizio (e la fine) di tutto. Il palco si illumina, uno speaker li annuncia come è giusto che sia (Ladies and Gentlemen, the Rolling Stones!!!) e quel maledetto bastardo di Keith Richars lascia andare dalla sua chitarra Jumpin’ Jack Flash

È il delirio totale, una sorta di caduta negli abissi del Rock, quello più sporco e maledetto, quasi mistica. Mick Jagger è li, davanti a noi, con le sue movenze inimitabili che riescono a infuocare qualsiasi pubblico del mondo (e dopo questo concerto, ne sono certo, è il più grande showman di sempre) e tutto questo è bellissimo, esaltante. Mick si ferma, saluta Roma e parte Let’s Spend The Night Together. E che così sia. Passiamo questa notte insieme, con un fervore proveniente da tempi remoti, ormai lontani ma resi lucidi dalle immagini dello schermo che ripercorre a ritroso scene clou degli anni d’oro degli Stones. Il tutto seguito da It’s Only Rock ‘n’ Roll (But I Like It), parole sante, un titolo che riassume tutta la loro carriera, e dalla splendida Tumbling Dice (unica canzone, purtroppo, della scaletta proveniente dal capolavoro Exile On Main Street, il mio album preferito dei Rolling, forse l’unico che riesco ad ascoltare per intero senza annoiarmi nei miei famosi viaggi in macchina). Poi Streets Of Love (commovente dal vivo) e una parte centrale che è un po’ la parte debole del concerto. Tra le varie Doom And GloomRespectable (che tra l’altro è un po’ la descrizione del rock ai tempi dei social network, canzone inserita nella scaletta tramite scelta twitteriana del pubblico, suonata con un emozionatissimo John Mayer) Out Of ControlCan’t Be Seen e Midnight Rambler le uniche a salvarsi sono Honky Tonk Women e You Got The Silver (cantata da Keith Richards). 


Ma ok così, perché da qui in poi si aprono le porte dell’inferno, in una presenza scenica dei Rolling Stones quasi faustiana (difficile credere alla loro età a vederli sul palco). Da Miss You in poi ricordo di aver perso completamente la testa. Insieme ad un gruppo di ragazzi che abbiamo conosciuto durante il concerto, abbiamo fatto partire un pogo fatto di spinte, balletti confusi, battute di cinque e abbracci sudati che ci ha aperto un cerchio attorno, allontanando di qualche metro le persone che ci stavano vicine quasi scocciate dalla nostra follia (ma, ehi, siamo ad un concerto Rock, no?). Più o meno, era circa dal 2003 che non pogavo (anni lontani in cui ero un punk convinto), quindi provate a immaginarvi il mio stato di esaltazione. Stato che cresce con la successiva Gimme Shelter, in cui comincio a saltare come un Johnny Thunders facendo il verso di una chitarra immaginaria e con Start Me Up, che non ha bisogno di descrizioni. Ma il culmine arriva con Sympathy For The Devil e Brown Sugar, dove la mia foga diventa quasi violenta e sudato ed esausto ballo sulle note dei due capolavori senza tempo dei Rolling Stones, due manifesti. Infine arriva You Can’t Always Get What You Want, dove per la prima volta durante il concerto mi rendo veramente conto di quello a cui sto assistendo e mi commuovo guardando Mick Jagger, guardando Keith Richards, guardando Ron Wood e Charlie Watts. 




Cazzo, i fottuti Rolling Stones. E comincio a piangere per qualche minuto, tentando di nascondermi sotto la lente scura degli occhiali da sole. Ma non ho neanche il tempo di asciugarmi le lacrime che parte (I Can’t Get No) Satisfaction. Vabbè, non sto neanche a descrivervi cosa è accaduto qui, provate ad immaginarvelo.

E poi? Poi il concerto finisce, e dentro di me sale prepotente ed improvvisa la convinzione di aver assistito ad uno dei migliori concerti della mia vita (e un po’ credo di averne fatti), forse il migliore. Sicuramente l’unico in cui il gruppo sul palco mi ha fatto totalmente perdere il controllo, ogni sorta di razionalità, e mi ha mostrato cosa è il vero rock’n’roll. Grazie Rolling Stones.
No, non vi aspettate che finisca tutto così. Sì, sono stati fantastici, mi hanno fatto emozionare, mi hanno fatto commuovere, ballare, mi hanno esaltato maledettamente. Ma qualcosa che è andato leggermente storto c’è stato. Per prima cosa la scaletta, che dimostra quanta ignoranza musicale ci sia ai nostri giorni. Difatti i Rolling Stones hanno suonato proprio quello che la gente si aspettava, e non è stato un vero e proprio best of della loro carriera, anzi. Certo, ce n’è per tutti i gusti e specialmente per tutte le generazioni (con l’inserimento di Streets Of Lovedall’ultimo album, un’ottima canzone ma non al livello dei classici del passato e della imbarazzante, quasi adolescenziale, Doom And Gloom, anch’essa recentissima) ma molti capolavori sono stati totalmente evitati a discapito di canzoni decisamente pessime (Ruby Tuesday, Wild Horses, Angie per dirne alcune. E non fatemi pensare all’esclusione di Can’t You Hear Me Knocking, vero e proprio affronto agli amanti della musica, una canzone che dovrebbero suonare ad ogni concerto. In più, neanche una traccia dal capolavoro Aftermath per suonare cosa? Can’t Be Seen da Steel Wheels, forse il loro album peggiore…). Ma Sympathy For The Devil è stata suonata, come Satisfaction, quindi il pubblico pagante è allegro e va tutto bene. Quindi.

 

Altre piccole critiche non vanno verso i Rolling Stones, anzi al contrario. Mi sento quasi di difenderli. In questi giorni ho letto molti articoli di pseudo giornalisti che enunciavano errori tecnici del gruppo durante il concerto e molti altri che rizzavano sterili polemiche sulla fine del Rock, su come sia totalmente morto, su come siano ridicoli i ragazzini ad andare a sentire un gruppo nato negli anni ’60 e su come dovrebbero cercarsi delle proprie icone all’interno della loro generazione che non riesce a sfornare niente di buono. Bla bla bla. 

Consiglio a tutte queste persone che, se cercano qualcosa di veramente Rock, vadano a farsi fottere. Keith Richards sbaglia un assolo? Fanculo, stiamo parlando del Rock, un genere che non fa della perfezione il suo marchio di fabbrica. Sentitevele nelle versioni studio le canzoni, se è questo che cercate. Il Rock è morto? Forse, ma non per colpa del Rock. Purtroppo le tendenze vanno verso la parte opposta del genere, le tendenze vanno verso musica più elettronica e più vendibile, musica più noiosa e lobotomizzante, musica facilmente ascoltabile da qualsiasi persona. Ed è triste che i massimi esponenti del genere siano sempre questi vecchietti arrivati alla terza età che portano avanti ormai da 50 anni questo baraccone crea soldi fatto di musica (sì ok, mi sono ricreduto sui Rolling Stones ma non sono così buono, non diventeranno mai uno dei miei gruppi preferiti), ma tutto è la conseguenza di qualcosa. Disinformazione, per prima cosa. Che porta all’ignoranza. Dite che non esistono grandi gruppi nel panorama moderno e che le nuove generazioni trovano difficoltà a trovare dei portavoce? Cercateli, invece di continuare a parlare di Lady Gaga e di tutto ciò che vi porti ad un guadagno sicuro. La massima causa della disinformazione viene proprio da chi diffonde in modo sbagliato l’informazione. Guarda caso, i giornalisti. Che ancora non si sono resi conto che il Rock ormai è morto da molto tempo (anche se per me può ancora dare qualcosa), finito con il termine dell’era Grunge e sepolto da molti sottogeneri (che provengono proprio da esso) che hanno portato alla nascita del post-rock. Andare avanti è l’unica soluzione e la musica c’è in parte riuscita. Che poi non abbia trovato esponenti (che ne dite di Thom Yorke?) è un’altra storia. 


Ma non sono d’accordo neanche su questo. Solo negli ultimi 15 anni potrei fare una lista infinita di gruppi con un immenso fervore Rock (per fare un solo esempio,  i Liars , portavoce  ideali di questo movimento. Ascoltatevi un po’ questa canzone e ditemi se non sentite una certa rabbia), gruppi purtroppo che non sono conosciuti ai più perché privati della visibilità proprio dalle stesse persone che continuano a lamentarsi del concerto dei Rolling Stones invece che parlare delle band sopra citate. E, nonostante tutto, il Rock riuscirà a sopravvivere anche perché è uno stile di vita. Stile di vita che in molti non abbandoneranno mai, e neanche io penso di farlo e per questo rinnovo ancora il mio invito verso chi cerca di fermarlo, di andare a farsi benedire. 


Anche a causa di tutto questo un’altra piccola delusione del concerto è stata il pubblico. Un pubblico poco presente, poco trascinato dalla musica. Insomma un pubblico poco Rock. Sono arrivato al Circo Massimo con l’aspettativa di sentire l’odore del sesso, della droga e dell’alcol, ma l’unico odore che ho sentito è stato quello del sudore della persona che avevo accanto. Forse esagero io, ma mi aspettavo qualcosa di più epico, di più sporco (e purtroppo dubito che ci ricorderemo di questo concerto come quello dell’82, anche a causa del disinteresse generale delle nuove generazioni). Invece mi sono ritrovato davanti ad una massa di ragazzini con il cellulare continuamente in mano,  venuti al concerto solo per vantarsene il giorno dopo con gli amici, accompagnati da genitori dimentichi dei tempi passati e annoiati. Una massa informe di magliette con la lingua comprate all’abominevole cifra di 35 euro intenti a farsi selfie e ad immortalare maniacalmente quello che non riescono a vivere e che ricostruiscono solo attraverso l’immagine distorta dei touch screen, un esercito omogeneo e privo di fantasia. Per non parlare di chi neanche c’era, e magari gli 89 euro preferisce spenderli stando ad un bar qualunque di un paesino qualunque cercando di bere il più possibile per cancellare il vuoto da cui è accerchiato. 


Ma tutto questo non importa ormai, il concerto della vita (perché per me lo è stato) si è concluso e non voglio fare inutili polemiche come le persone che ho criticato. Volevo fare solo un articolo Rock, sui Rolling Stones.


Qui il link alla Parte 2 scritta da Valentino Masucci e Iacopo Tonini