Plush and safe, il nuovo disco di Godblesscomputers pone al centro il tema del controllo e della sua perdita.

L’epoca in cui viviamo è spesso contraddistinta da una mancanza di anima nelle cose. La velocità con cui gli eventi si susseguono in un processo di accadimento – immortalamento – condivisione globale, rende tutto estremamente volubile, immateriale, numerico e sfuggente. Lo stesso è accaduto alla musica, da quando è stato possibile comprimere dei suoni in un .mp3 niente è stato più lo stesso. Accade quindi che le cose perdano di valore, si svalutino e finiscano per diventare tutte uguali. Di riflesso e per contrapposizione, può accadere che si vada a cercare calore umano, forma analogica e tangibilità. Lo stesso è accaduto col nuovo album di Godblesscomputers. Avevo già avuto modo di parlare della sua musica nel miglior modo possible, parlandone direttamente con l’interessato. In attesa di poterlo incontrare nuovamente mi sono tuffato nell’ascolto di Plush And Safe, il secondo capitolo della sua giovane quanto fortunata carriera musicale.  

La prima cosa che si avverte rispetto a “Veleno” – l’episodio precedente – è che il nuovo album suoni molto più umano: un maggiore utilizzo, o forse semplicemente un utilizzo diverso, degli strumenti acustici e suonati, fanno trasparire il lato emozionale ed emotivo che ha coinvolto la scrittura dei pezzi molto più di quanto accadesse con il glitch (ammeso che il termine sia corretto) del suo primo lavoro. Me lo conferma il video di “Closer”, singolo anticipatore, dove al centro è posta una ragazza, un essere umano, colta in un bilico di incertezza fra detenzione e perdita del controllo sul mondo circostante, concetto, quello del controllo, attorno cui ruota tutto l’album, in un’alternanza di beat serrati e vuoti emozionanti.

 

 

Clouds”, posta a metà della scaletta, forse ne è l’esempio più lampante rappresentando in qualche modo una summa dell’intero disco: su un tappeto di piano elettrico e percussioni post hip hop si staglia la voce calda, ma distante, di Francesca Amati (già con gli Amycanbe), il brano alterna percussioni pulsanti, ansiose ed ansiogene a momenti di distensione ammalianti in un susseguirsi senza soluzione di continuità. “Clouds I see” recita il refrain del brano: esiste un’immagine-non immagine più calzante di una nuvola? Qualcosa di materiale ma di immateriale allo stesso tempo, che puoi vedere ma non controllare, che conosci ma non domini, di cui non puoi prevedere movimenti e sviluppi se non con una buona percentuale di incertezza. 

 

Le mie sensazioni riguardo a Plush And Safe sono state confermate dal recente release-party cui ho avuto modo di assistere, il nuovo live-set di Lorenzo Nada incorpora infatti maggiori elementi suonati live, è quindi maggiore l’apporto umano (anche in questo caso) rispetto al set del tour precedente. Che ci sia un doppio filo che lega l’umanizzazione di Plush And Safe e l’umanizzazione del suo concerto? Sono l’una conseguenza dell’altra? Rimando ad avere risposta a questo quesito e a molti altri non appena avrò modo di parlane nuovamente con lui, intanto scopro con piacere che il titolo dell’album è un omaggio ad un artista che Godblesscomputers apprezza particolarmente, Jean-Michel Basquiat: “Plush Safe He Think” scriveva l’artista newyorkese, esprimendo anche lui un dualismo di condizioni umane diverse, da un lato le comodità, anche materiali, che con i loro comfort facilitano e stimolano il lusso di pensare e riflettere, dall’altro l’instabilità e l’incertezza come motore creativo e spinta artistica. Dualisimi, conflitti che ritroviamo nella bellissima musica di Godblesscomputers.

 

Plush and safe