Un vero e proprio affronto all’elettronica intera: gli Autechre non sono i grandi headliner dell’evento.
Osservo il programma del Sonar 2015 e noto che, come tutti gli anni, la line-up ha una qualità mostruosa. Ma c’è qualcosa che non mi convince a pieno. Alcuni piccoli particolari che non riesco proprio a digerire. OK i Chemical Brothers (anche se ce li siamo sentiti un bel po’ di volte, non trovate?), ok il genietto hiptronico Flying Lotus, Roisin Murphy, Hot Chip, interessante Jamie XX e pure il nuovo guru dell’elettronica Arca (fresco di collaborazione con Bjork). Benissimo Laurent Garnier, idolo elettro-techno indiscusso che ha fatto ballare intere generazioni, Ten Walls, Lcc e Kate Tempest, vero e proprio colpaccio del festival a mio avviso che con lo spoken-rap di Everybody Down si è guadagnata il titolo di grande sorpresa del 2014. Poi, improvvisamente, arrivano le note dolenti. Skrillex e Die Antwoord tra gli headliner dimostrano come la cultura rave stia definitivamente svanendo a favore di fuffa da teenager (pacchiani, tra l’altro). I Duran Duran punta di diamante dell’intero festival mi lasciano decisamente allibito (nonché divertito, in piccola parte) e, in fin dei conti, FKA Twigs non è proprio la grande artista che vogliono farvi credere. Insomma, si può notare un piccolo calo rispetto alle passate edizioni (solo per farvi alcuni esempi l’anno scorso al Sonar si esibivano i Massive Attack, Bonobo, Four Tet, Moderat, James Holden, Royksopp, Todd Terje etc), ma nonostante tutto il divertimento sarà assicurato, e in quel di Barcellona si susseguiranno tre giorni epici, come di consueto. C’è solo una cosa che mi ha fatto innervosire veramente, escludendo Skrillex, ed è un vero e proprio affronto all’elettronica intera: gli Autechre (insieme a Squarepusher di cui parleremo in futuro, visto che il 20 aprile uscirà il suo nuovo album!!!) non sono i grandi headliner dell’evento.
I motivi del misfatto possono essere molteplici, ma in realtà non del tutto convincenti. Tutti si possono tranquillamente condensare in un solo insignificante aggettivo: superati. Ma gli Autechre sono veramente superati, dimenticati, sorpassati? Per arrivare alla risposta dovremmo concentrarci su due periodi, due fasi storiche vissute dal genere dell’elettronica. Quello iniziato con gli anni 90 e conclusosi all’inizio del nuovo millennio (2002/3 circa) e il suo successore, cominciato subito dopo con l’uscita dell’album Rounds di Four Tet. E chiederci: può il secondo periodo, quello attuale, veramente competere con il precedente? La risposta probabilmente è no. Viviamo in un mondo musicale che sembra spostarsi sempre di più verso derivazioni elettroniche, addirittura inserite anche nel rock. Elettronica che assume un ruolo fondamentale con il passare degli anni, ma sembra aver perso la propria anima, la propria freschezza e potenza espressiva, finendo oscurata da quel famoso primo periodo che ha visto tra i suoi massimi esponenti gente del calibro di Aphex Twin, Squarepusher, Amon Tobin, Mr Oizo, Orb, Mouse On Mars, Plaid, Underworld, Biosphere, Daft Punk, Pan Sonic, Chemical Brothers, Fat Boy Slim, Boards Of Canada e infine proprio loro, gli Autechre. Tutti artisti veri e decisamente differenti l’uno dall’altro, che producevano arte che sembrava provenire direttamente dal futuro, mentre quella attuale pare più ancorata al passato. Chi veniva dal periodo techno di Detroit, chi da quello acid di Chicago, chi attingeva dalla musica psichedelica, dall’hip-hop, qualcuno dal punk addirittura. In questo gli Autechre si sono confermati come uno dei gruppi più completi dell’epoca. Tutto grazie alla loro confusione, che veniva sempre inevitabilmente corretta in ordine. Difatti i due inglesi, provenienti da una certa città che fino a pochi anni prima veniva chiamata Madchester, dichiararono in un’intervista di non avere un vero e proprio genere di riferimento, spaziando in un universo che partiva dai New Order per passare dall’hip hop all’acid di Chicago fino al soul di Marvin Gaye. Il tutto diramandosi verso sonorità jazz, sinfoniche, ambient e chi più ne ha più ne metta. Tutto questo, gli permise di suonare come un Brian Eno che incontra Jeff Mills, come dei Tangerine Dream partecipanti ad un festino industrial dei Chrome, dei Kraftwerk in rotta di collisione con i Coil. Così nel 1993 ecco arrivare il capolavoro, quell’Incunabula che ancora oggi sembra provenire da un futuro oscuro e minaccioso, alienante e psichedelico come è l’ascolto dell’album. Improvvisamente, l’idm fa capolino per la prima volta tra le note dell’lp e una desolazione post apocalittica sembra minacciarci in ogni singola canzone, disorientando l’ascoltatore verso una trance meccanica. Elementi questi presi in prestito dalla prima industrial, quella dei Throbbing Gristle, dei Cabaret Voltaire e dei Chrome (che, a mio avviso, solo con l’oscuro minuto finale di Tv As Eyes hanno contribuito alla creazione di gran parte della musica elettronica che comparirà poco più di un decennio dopo). In più, la freddezza sprigionata dai componimenti degli Autechre fa pensare ad un umanità ormai vinta dalle macchine, senza possibilità di emozione. Solo l’elaborato calcolo dei robot, strisce di suoni codificati da marchingegni con una propria coscienza predominante. Questo li avvicina maledettamente agli enormi Silver Apples, probabilmente i fautori del primo album di musica elettronica della storia. Essi difatti si definivano come un meccanismo organico più che un gruppo, quasi come se fossero un tutt’uno con le macchine da loro create per suonare. Tutto ciò partendo da una base. La musica psichedelica, portata all’eccesso con l’uso di un arsenale tecnologico costituito da ben 86 controlli.
Lasciatosi alle spalle Incunabula, gli Autechre producono altri album memorabili, tra cui il maestoso Amber (dove in alcuni tratti riescono a superare perfino il precedente capolavoro), Tri Repetae e Chiastic Slide. Intanto artisti del calibro di Aphex Twin, Bjork e Radiohead li citano come fonte di ispirazione. Con l’avvento degli anni 2000 entrano in un periodo più astratto e introverso, per arrivare sino al loro ultimo lavoro del 2013, Exai. Un album immenso, che dimostra quanto ancora siano lontani dall’essere sorpassati, e, anzi, come continuino nonostante il passare degli anni ad influenzare. Exai infatti entra con prepotenza a far parte dei grandi monoliti di quel secondo periodo dell’elettronica che stenta a trovare nuovi protagonisti, insieme a Luxury Problems di Andy Stott, The Inheritors di James Holden e ISAM di Amon Tobin. Quasi a voler dimostrare che gli anni passano, ma i geni restano.
Che dite, vi ho convinto a lasciar perdere Skrillex ed andarvi a sentire gli Autechre al Sonar 2015 di quest’anno?