Tame Impala live al Market Sound, tra pop e coriandoli.
Milano, 5 luglio: i nostri amatissimi Tame Impala non si sono fatti aspettare. Come previsto, alle 21.30 circa, dopo l’apertura della prodigiosa band danese/finlandese Liima, i nostri amici di Perth hanno fatto la loro magica apparizione sul palco del Market Sound.
A differenza delle precedenti date italiane, Kevin Parker e soci hanno dato il via al loro etereo spettacolo sulle note distorte di Nangs, perfetta colonna sonora per il tramonto, per poi dissolversi sulla psichedelica esplosione di synth di Let it happen, lasciando tutti senza fiato. Un’esplosione nel vero senso del termine appunto, accompagnata da un concreto sparo di coriandoli colorati sulla folla.
Vale innanzitutto sottolineare quanto questa citata “folla” sia cambiata nel corso degli anni. Scommetto che sarà stato uno shock per molti trovarsi di fronte ad una miriade di ragazzine preoccupate di farsi selfie durante il 99% del concerto o a una serie di gorilla alla ricerca disperata di pogo. Sì, perché la musica dei Tame Impala sembra suggerire tutt’altro, mentre ci culla tutti insieme in una sorta di abbraccio di anime collettivo.
Ma dobbiamo accettarlo, non si tratta più di una band di nicchia per i pochi intenditori: dai tempi di Innerspeaker (al 4° posto degli album più venduti in Australia) la loro fama ha scavalcato l’oceano, e i loro brani han preso una impronta sempre più “poppeggiante” che indubbiamente ha reso la loro orbita di fans molto più ampia. E attenzione a non pregiudicare il termine pop: come Kevin Parker stesso ha precisato in un intervista per MOJO, scrivere musica di questo genere, che coinvolga un così grande numero di persone è un impresa tutt’altro che semplice (“When I became a ‘rock musician’, I assumed pop music was easy to write, and that interesting rock music, or alternative music, was hard. It was only later I realised that writing a pop song is the hardest thing musically”- MOJO, settembre 2015).
Ad ogni modo i nostri Impala australiani sono riusciti a farci chiudere un occhio di fronte a tutti quei presenti che parevano “intrusi”. La scaletta innanzitutto non ha deluso nessuno: un mix equilibrato fra il vecchio e il nuovo, dove pietre miliari come Why Won’t You Make Up Your Mind?, Alter Ego, It Is Not Meant to Be, Elephant si intrecciano con le nuove arrivate The Moment, The Less I Know the Better, Eventually (tanto per citarne alcune). Altra novità è Daffodils, suonata per la prima volta da Kevin e Cam Avery (l’attuale bassista dei Tame Impala) in un live segreto del progetto collaterale psych-funk che prende il nome di “Kevin Spacey”, e successivamente quasi “prestata” a Mark Ronson per il suo “Uptown Special”. Una vera bomba di energia che dopo aver sfondato il palco del Primavera Festival non è mancato mai.
Inoltre Kevin Parker si è dimostrato in formissima, il suo falsetto è stato un orgasmo per le nostre orecchie, perfino durante Yes I’m changing, dove forse i più scettici potevano aspettarsi che la sua voce non sarebbe arrivata agli acuti della versione studio. Kevin ci ha dimostrato di non essere più il timidone di una volta e ha cercato spesso il dialogo con i fans, i quali però sembravano non capire una parola di quello che dicesse, creando più volte situazioni imbarazzanti. Ad ogni modo il potere dei Tame impala è stato quello di riuscire a coinvolgere tutti in un mega trip collettivo, reso ancora più efficace grazie alle proiezioni di visual psichedelici occupanti lo sfondo del palco, che davano al tutto un non so che di onirico. Sembrava che nessuna loro canzone finisse mai: il passaggio da un brano all’altro avveniva partendo dalla graduale decostruzione del precedente, e dalla sua successiva ricostruzione in quello seguente, tassello per tassello, dando il via a un infinito loop allucinogeno. Quasi due ore di live meglio di qualsiasi droga su questa terra.
Ad ogni modo nessuno è perfetto e a malincuore dovrò fare una nota a riguardo. Il concerto da tanti atteso pare essere stato organizzato in modo un po’ “artificioso”, bruciando quella naturalezza che scaturiva da ogni loro performance passata e che faceva la loro differenza. Il tutto infatti è stato strutturato in modo forse troppo teatrale: possiamo perdonargli il fatto che siano scomparsi dal palco dopo Apocalypse Dreams, facendosi acclamare per l’encore, ma la questione dei coriandoli da loro proprio non me la aspettavo. Questi sono stati sparati a cannonate in momenti ben precisi, in un continuo crescendo: all’inizio, dopo la loro fuga dal palco, e due volte di seguito in chiusura. Una grande strategia da “star” che si allontana dall’immagine che i loro primissimi fans avevano di loro. Ma come ho già spiegato, bisogna accettarlo come parte del loro percorso verso il successo, che meritano appieno e senza ombra di dubbio. Insomma questo concerto a parte qualche piccolo dettaglio non ha niente da ridire, e non ha lasciato nessuno con l’amaro in bocca, a parte i meno fortunati che non hanno avuto l’occasione di essere presenti. Vi resta soltanto di aspettare il loro nuovo album e non esitare nemmeno un istante. Vi assicuro che non ve ne pentirete.
SETLIST
Nangs
Let It Happen
Mind Mischief
Why Won’t You Make Up Your Mind?
Why Won’t They Talk to Me?
The Moment
Elephant
The Less I Know the Better
Daffodils
Eventually
Yes I’m Changing
Alter Ego
Oscilly
It Is Not Meant to Be
Apocalypse Dreams
Feels Like We Only Go Backwards
New Person, Same Old Mistakes