Ogni età conosce i suoi sconvolgimenti ed ognuno di noi conosce le proprie folgorazioni sulla via di Damasco: c’è chi ha visto Maradona, c’è chi ha avuto un figlio, c’è chi a 14 anni decide di suonare la chitarra. Per chi è nato a cavallo fra gli anni ‘80 e i ‘90, il 2000 ed il 2001 non sono stati anni anonimi, soprattutto se all’epoca ci si interessava di musica rock. Gli anni ‘90 erano oramai morti e sepolti, con Kurt Cobain andato altrove, i Sonic Youth in pasto alle major e l’unica grande band inglese del decennio – i Blur – oramai irrimediabilmente compromessi dalle loro acredini personali. Una volta lessi un articolo su Rolling Stone a proposito della crisi del mercato discografico: un giornalista illustrava una teoria affascinante per la quale è la musica stessa, attraverso le sue mutazioni e rinnovamenti a risollevarsi da sola, portando l’esempio di come la vendita dei primi dischi in vinile fosse stata messa in ginocchio dalla diffusione delle radio nelle case d’America. L’avvento di artisti come Elvis Presley, Jerry Lee Lewis e l’esplosione del rock and roll a metà degli anni ‘50, fecero sì che l’industria discografica scoprisse un età dell’oro senza precedenti. Questa tesi voleva aprire scorci di speranza in un momento storico in cui di dischi se ne vendono sempre meno e in cui la musica per sopravvivere si affida quasi esclusivamente alle esibizioni dal vivo. In attesa che questa grande rivoluzione musicale auspicata dal giornalista americano arrivi, torna alla ribalta una band che la sua piccola rivoluzione l’aveva fatta.

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Giorni fa, nel pieno centro di Barcellona, è apparso un enorme cartellone pubblicitario raffigurante il celebre logo dei The Strokes. Grande mistero sulla natura di una operazione pubblicitaria che non alludeva a nient’altro se non al nome della band stessa, fino a che, calata la sera, una serie di riflettori ultravioletti illuminava la cima dell’imponente cartellone svelando il logo e la dicitura di PRIMAVERA IS 15. Tombola! The Strokes saranno headliner del Primavera Sound, il festival di proporzioni apocalittiche che ogni anno nel mese di Maggio si svolge nella città catalana. La notizia mi ha lasciato imbambolato per qualche secondo, vedere di nuovo quel logo scintillante ha riportato alla memoria tanti ricordi oramai vecchi di quattordici anni, tanti ne sono passati dal Settembre del 2001 quando per la prima volta ascoltai “Is this It”. Cos’erano gli Strokes? Cos’hanno rappresentato? I più dotti ed eruditi di voi potranno sicuramente minimizzarli musicalmente, bollarli come banali, a tratti semplici e semplicistici. Per quelli della mia generazione sono stati qualcosa di più: erano messianici, profetici, rivelanti. Erano la dimostrazione che agli albori del ventunesimo secolo si poteva ancora fare rock and roll in modo scarno, a tratti punk ed essere cool, essere dei fighi, senza recitare la parte del capellone emarginato che suona la chitarra da solo e per se stesso. Nell’Italia del 2000, a tredici o quattordici anni di età, quello era un concetto assolutamente alieno ed impensabile. Una nazione che nello stesso anno metteva in cima alle classifiche un quartetto bolognese di nome Lunapop, composto da figli degli Oasis e di una madre ubriaca, non poteva abbandonare così bruscamente gli anni ‘90 e gettarsi in qualcosa di nuovo, anticipatore di una vera esplosione di band che riportavano il rock in cima alle classifiche e a campeggiare sulle copertine delle riviste.

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La musica nel 2001 vista dalle due sponde dell’Oceano Atlantico.

Eppure a modo suo anche l’Italia c’è arrivata e il mio ricordo dei gli anni immediatamente successivi è legato letteralmente alla deflagrazione della musica in tutti i coetanei che frequentavo; improvvisamente avere una band non era una cosa da strampalati ma era eccitante, aggregante e per molti rappresentò anche l’impatto, violento, con la vita adulta. Tutto merito dei The Strokes? Non credo, molti altri scuotevano le cuffie dei lettori cd in quel periodo: Black Rebel Motorcycle Club, The White Stripes – che fa tenerezza ripensare come una formazione sghemba, di nicchia -, Interpol, The Libertines, a dimostrazione che quello del 2001 fu sì un calcio di inizio, ma fu anche la classica goccia in un vaso colmo di band che suonavano, che producevano, e che aspettavano un cavallo di troia per aprirsi la strada nel mercato discografico. The Strokes, newyorchesi, suonavano musica chiaramente retrò ma con piglio moderno, che raramente scadeva nel revival; il look era assolutamente fantastico, figlio del punk e dei jeans attillatissimi e strappati e delle Converse rovinate, e debitore dei 60s per le giacche militari e i completi avvitati, un po’ come se i Beatles o The Byrds avessero potuto sbirciare avanti fino al ‘77. Musicalmente proponevano un incrocio affascinante che univa Television, garage anni ‘60, un filo di tammarismo 80s in stile The Cars e linee vocali estremamente debitrici della lezione di Lou Reed. Una sezione ritmica lineare sorreggeva un suono di chitarra che sarebbe rimasto impresso a lungo per la sua diretta crudezza, e il songwriting era in grado di dare all’intera generazione dei loro fans quelle perle immortali che immediatamente ed indissolubilmente si sarebbero legate a quel preciso momento delle loro vite. Questo erano gli Strokes, erano quella band che non credevi possibile finché non arrivò, erano quella band che a diciassette anni ascoltavi nei club di Londra e ti pareva impossibile, pensando a quello che sentivi nei locali di casa. Forse non sufficientemente forti come musicisti, non lasciano una grande eredità, persi nelle loro produzioni successive fatte per lo più di passi falsi con pochi sprazzi di classe ed audacia. Non me ne vogliate, ma il quintetto fu capace di due grandi album e poi più o meno il nulla. Mi chiedo quindi cosa sarà la loro apparizione al Primavera quando un anno fa lo stesso trattamento fu riservato agli Arcade Fire, anche loro figli dei primi 2000 ma decisamente più contemporanei e poliglotti, forti poi dell’imponente album partorito con James Murphy. Sarà quindi, oramai, un revival? Sarà una sorta di Greatest Hits che attraversa la loro carriera? Sarà semplicemente un modo per far quadrare due conti? Non saprei. Piuttosto di una cosa sono sicuro, io al Primavera non ci sono ancora mai andato e ora che i venticinque si allontanano e i trenta sono un po’ più vicini, penso proprio che la gioia di ritrovarmi afono dopo aver berciato tutte le parole di Last Nite, non me la tolga nessuno.

La Fine Non Ha Fine.