I Tuxedomoon ripropongono per intero il loro capolavoro Half Mute. Noi siamo andati a sentirli al Duel Beat di Napoli.

L’anno è il 1977, Steve Brown uscì dagli Angels of Light e incontrò Blaine Reininger in un corso di musica elettronica al College di San Francisco e da allora i due cominciarono a suonare e sperimentare le melodie più stravaganti nella casa di Tommy Tadlock, loro futuro manager. I loro lavori cattureranno l’attenzione dei bulbi oculari con il cilindro (si, i Residents) che li scrittureranno per la loro etichetta, la Ralph Records, creando una delle scena musicali più originali del periodo. Il “quadrato di San Francisco” con MX-80 Sound e Chrome, oltre ovviamente i loro “padrini” Residents che, a differenza dei più noti gruppi post-punk residenti dalla parte opposta dell’oceano, si contraddistinguevano per una forte sperimentazione musicale. Ciò che illumina gli spigoli di questo quadrato non sta nella forza in quanto tale dell’impatto che essi hanno avuto, grandissima ovviamente, bensì il fatto che essa sia rimasta invariata da quasi 30 anni a questa parte e lo sarà per molto tempo ancora.

 

Half-Mute è il capovaloro dei signori Brown e Reininger. Un album che non lascia fraintendimenti e mette ben in chiaro le loro idee: “l’unica regola è il tacito consenso che qualsiasi cosa suoni come musica già in circolo è tabù”. Questa ricerca di un suono unico, potremmo chiamarla ossessione. Ho sempre avuto l’idea che un’ossessione avesse più conseguenze negative che positive ma i Tuxedomoon mi smentiscono. Non fosse stato per questa loro ossessione, non avremmo mai avuto quest’amalgama di suoni, strumenti e melodie che, appunto, prima di loro sembrava alquanto inconcepibile. L’aggettivo “bello” può essere assegnato a non pochi lavori o gruppi, ma a quanti possiamo attribuire gli aggettivi “unici”, “originali”?

Ai Tuxedomoon possiamo, e penso siano le qualità migliori che una band possa avere.

 

27 Novembre, Domenica. Tuxedomoon @Duel Beat Napoli, Half-Mute show

Come vivere quest’album? In maniera omogenea o vivere/ascoltare le canzoni singolarmente? Vi presento un altro punto di forza, possiamo farlo in entrambi i modi. Nel primo modo a fine ascolto ci ritroveremo alla fine di un viaggio, durata effettiva di circa 40min, ma il tempo è una concezione che viene persa qui. E’ impossibile tener conto del tempo trascorso, Half-Mute ci anestetizza. Ci estrania dal mondo, le dimensioni a noi conosciute perdono il loro senso. Non è questo quello che spesso cerchiamo?
D’altro canto, viverlo in maniera così irrazionale non ci permetterebbe di ascoltare le singole canzoni il che sarebbe un vero peccato. Quindi all’entrata del locale, dato che ho tutto il tempo per arrovellarmi il gulliver a causa della notevole affluenza, decido che avrei fatto un mix tra queste due modalità. La serata è aperta da un’ottima selezione musicale di matrice new-wave/post-punk (ma va’!) che rendono la sempre odiata attesa stavolta molto piacevole. Lo schermo proiettore piano piano mette a fuoco la prima immagine, il che si rivelerà una semplice ma importante scritta: “In loving memory of Bruce Geduldig”, visual-artist dei Tuxedomoon, cineasta e amico dei nostri venuto a mancare a Marzo.

 

Il primo a salire sul palco è Blaine Reininger, seguito a ruota dagli altri organizzatori del viaggio, che una volta ultimato l’itinerario saluta il pubblico per poi dire in maniera più che discreta “Adesso suoniamo Half-Mute”. Silenzio, il viaggio comincia.

 

L’introduzione al viaggio è affidata a Nazca, che sembra sussurrare “vieni con noi, ti portiamo in un posto diverso”. Ci fidiamo di Nazca, come possiamo dire di no a quel dolce e allo stesso tempo malinconico suono di clarinetto e a quel senso di pace dato dalla landa isolata dal mondo che scorre via sullo schermo? Quindi accettiamo la sua proposta e ci mettiamo in moto. La situazione degenera, la landa desolata scompare, veniamo proiettati lungo binari sulla quale ci muoviamo lentamente circondati da una città svuotata dai suoi colori, solo i suoi bianchi contorni sono visibili. E’ l’inizio di 59 to 1, un fulmine a ciel sereno e ci sentiamo quasi traditi da Nazca con le sue “buone intenzioni”. Il basso va su e giù, le sue note che scandiscono il tempo in maniera impeccabile sembrano quasi schiaffeggiarci, in ogni intervallo di tempo tra una nota e la successiva veniamo scaraventati da un posto ad un altro.

 

59 to 1 against you.

59 to 1 against me.

 

Tuxedomoon 1

 

Steven Brown è ossessivo, con tono di voce standard nei primi versi per poi acutizzarsi nel ritornello e dare un punto esclamativo alla suspense e alla paura venutesi a creare. Suspense e paura saranno punti chiave del viaggio, i principali artefici del nostro essere anestetizzati. Magari vorremmo concludere il nostro viaggio, in fondo perchè dovremmo impaurirci così, gratuitamente? La paura va eliminata, non scansata, quindi il viaggio deve continuare. Incredibile lo stile di Principle, il quale suona con una freddezza inquietante e lo sguardo rivolto al pubblico che si abbina perfettamente con la suspense del disco. Fifth column permette di riprenderci dal brusco impatto avuto con 59 to 1; sembra quasi una Nazca pt.2. Il viaggio rallenta, il clarinetto stavolta sembra quasi lamentarsi. Vuole essere vicino a noi, frastornati dall’esperienza precedente.

 

Tuxedomoon 2

 

 Lo schermo del proiettore si fa rosso, Reininger imbraccia il violino e Brown si avvicina alle tastiere: è la volta di Tritone (musica diablo). Ritmi velocissimi ed esasperanti con il violino di Blaine che fa da padrone della scena dove ogni sua nota sembra una piccola scarica elettrica. Non ci si può staccare gli occhi da Reininger e non si può che rimanere incatenati al suono del suo strumento.

La suspense torna da padrona in Loneliness, con il titolo che non lascia spazio all’immaginazione. E’ un avvertimento straziante, inquietante che sua santità, l’unica ci colpirà.

E arriverà il sole del mattino

E arriverà un altro giorno

 

Non c’è solo suspense, qui si raggiunge quasi la disperazione; ogni singolo giorno potrebbe portare un carico maggiore di noia e di monotonia e il signor violino esprime nella maniera più consona possibile quest’idea. La paura stavolta si fa davvero forte, ma è solo un’idea, è solo un avvertimento, Loneliness potrebbe arrivare, oppure no e anche se arrivasse noi saremo pronti.

 

Tuxedomoon 3

 

Da grandi amanti del cinema quali sono, intitolano una canzone James Whale, regista del celebre film Frankenstein, il quale non poteva che essere accompagnata da immagini del suddetto film. Campane funeree, toni e ritmi blandi non possono che enfatizzare l’atmosfera horror, da paura. What use è invece la canzone più “orecchiabile” dell’album con una struttura musicale e testo da “comuni mortali”. In questa linearità musicale del tutto estranea ai nostri, troviamo tuttavia nel testo la loro fede e la loro identità:

 

I need to see more
Than just three Dimension

 

Una linearità musicale era necessaria per far arrivare a tutti il loro messaggio. E’ il tema del viaggio da loro organizzato: sperimentare, cercare sempre qualcosa di nuovo, essere diversi, varcare confini non ancora conosciuti. Ma stiamo cominciando a venirne fuori, con Volo Vivace abbiamo nuovamente una situazione da thriller ma oramai siamo abituati. Il violino di Reininger ci porta per l’ultima volta sulle montagne russe e le vertigini non sono più spaventose. Ci fermiamo, arriva 7 years. La prima sensazione che dà è proprio quella di staticità: niente stavolta ci porta sulle montagne russe.

 

Sit in your chair
You sit and stare
Think about moving
But you don’t do it
‘Cause thinking about it
Is just enough

 

Siamo fermi, il viaggio è terminato. La paura termina, siamo persone più forti adesso. Abbiamo avuto un’idea di come sia possibile affrontare la vita in maniera diversa, con questa esperienza di ascolto. Ma questa è ancora solo un’idea: Seeding The Cloud è il ritorno alla realtà, banale, che conosciamo. Il basso è lento, cupo, così come i fiati.

 

Nonostante la suspense e la paura che ci hanno accompagnato, la somma finale del viaggio è l’estasi. Provare qualcosa di diverso può essere davvero una via di uscita dal quotidiano assassino. Questo maledetto quotidiano presente in Seeding The Cloud, dove tutto è così uguale che:

 

You’ll find you have that same old dream.

 

Il concerto continua, i nostri suonano altri brani, East/Jinx, This Beast, Time to Lose, Muchos Colores per concludere con un acclamato bis. Ma il grosso l’hanno fatto, terminata l’esecuzione di Half-Mute l’atmosfera si è come distesa, tutti volevano compiere il loro viaggio e l’hanno fatto, questo era l’essenziale.

 

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