Ecco cos’è la criptomoneta.

L’abitudine di bermi una birra dopo lavoro è indubbiamente un’eredità di quando vivevo a Londra – insieme a qualche rara comparsata di una flessione cockney nel mio accento quando parlo inglese. A Roma la suddetta abitudine ha trovato un perfetto universo all’interno del quale esprimersi. La domanda per la birra è molto alta e la passione italiana per tutto quello che rientra nella sfera del mangiare e bere bene ha portato questo mercato al next level: vi è stata una diffusione a macchia delle birrerie artigianali dove si bevono prodotti “maltati” in grado di soddisfare ogni palato.
 
Mi piace documentarmi e provare birre e birrerie diverse, sfruttando così l’occasione per conoscere meglio la Capitale. È così che sono finito a Beertime a Monte Mario. Le recensioni erano ottime e non ero ancora stato in questo rione. Prendo una pinta e mi siedo all’aperto. Nell’uscire, la mia attenzione è attratta da un adesivo sulla porta. “Accettiamo il bitcoin”, riportava lo sticker. Così prima di andare via mi fermo a chiedere informazioni all’indaffarato proprietario. Ma andiamo per gradi.
 
Che cosa è Bitcoin? È stato definito come, riporta il Financial Times, un Gold Standard digitale, un miracolo di internet, un modo per condurre transazioni illegali, una bolla finanziaria e in svariati altri modi. Concretizzando, Bitcoin è una piattaforma digitale open source per l’estrazione (si noti il parallelo con l’attività estrattiva di pietre preziose, o direttamente di oro), cioè la creazione, di monete digitali spendibili internazionalmente sul web. I “minatori” creano nuova valuta risolvendo degli algoritmi e venendo ripagati con una piccola percentuale di quanto prodotto. La piattaforma è stata creata nel 2009 dalla mente visionaria del tutt’ora ignoto Satoshi Nakamoto. La moneta che si scambia su Bitcoin si chiama, qua la sconfinata fantasia di hackers e cervelloni si è rivelata deludente, bitcoin (la “b” è minuscola).
 
Sorge spontaneo domandarsi se questa moneta possa, per via del suo totale scollegamento con una autorità centrale che ne regola la produzione, essere considerata tale a tutti gli effetti. L’autorevole The Economist è, alla luce della formidabile diffusione del bitcoin, più volte entrato nel merito dell’argomento. In particolare, in un articolo spiega che, secondo la definizione comunemente accettata, affinché si possa parlare di moneta, tre sono le caratteristiche che questa deve avere. Innanzitutto, deve essere un affidabile veicolo di scambio per l’acquisto di beni e servizi; ancora, deve essere un deposito di valore (relativamente) stabile; ed infine, deve assolvere la funzione di unità di misura. Dunque, ad esempio, possiamo definire l’Euro una moneta, in quanto soddisfa tutte e tre le proprietà sopra elencate. Il bitcoin invece, argomenta sempre la testata britannica, è ancora carente su due delle tre proprietà. È molto volatile e soggetta a potenziali truffe (si veda ad esempio il caso Mt.Gox). Per questo non può essere considerata una unità di misura. Consapevoli di queste considerazioni, ci riferiremo lo stesso al bitcoin chiamandolo valuta o moneta. Per semplicità.
 
Perché si è avuta una così massiccia diffusione di questa moneta? Comincerei dicendo perché il bitcoin è la realizzazione di un’utopia: è una moneta indipendente da ogni banca centrale che ha – oltre al suo romantico appealing per lo scollegamento dai poteri forti – costi molto ridotti, poiché taglia fuori gli intermediari; ancora, è una valuta internazionale che permette, tramite l’attuale tecnologia, di semplificare gli scambi in modo consistente. Un’altra caratteristica che ha contribuito a rendere il bitcoin popolare è il quasi-anonimato nelle transazioni garantito da questo.
 
L’ultimo aspetto sopramenzionato apre ad un problema: il quasi-anonimato tutela anche i clienti del mercato nero del web (ad esempio l’ormai defunto Silkroad) e coloro che hanno bisogno di una “lavatrice” dove lavare i loro soldi sporchi. Aldilà della possibilità di impiego del bitcoin in attività illecite, altri possibili rischi sono legati alla sicurezza dei portafogli digitali, spesso oggetto di scippi virtuali – anche se su questo il mondo dei digitalgeeks sta lavorando per sviluppare portafogli inaccessibili. Un altro aspetto, che annovererei tra i dubbi riguardo al bitcoin piuttosto che tra i rischi relativi a questo, è che lo stock di moneta producibile è fissato a 21 mln di unità. Questo ha conseguenze di vario tipo sull’offerta di moneta – apprezzabili a detta dei liberali anti-banche centrali che controllano l’inflazione; molto incerta a detta dei tabloids specializzati. Al momento si ha una domanda di bitcoins impennata, che ne ha spinto il valore alle stelle (mentre sto scrivendo 1 bitcoin = US$ 661.33, lo vedete qua), riducendo il prezzo delle cose in termini di bitcoins. Ma il fatto che lo stock di moneta è, in gergo, capped potrà portare a due conseguenze: l’introduzione di commissioni sulle transazioni una volta raggiunto il limite o la perdita di interesse nella valuta o quantomeno la circoscrizione dell’uso di questa a pochi utilizzatori o settori.
 
Abbandonando i pro e i contro e la politica monetaria, a Beertime (dove peraltro pure LA7 è stata a intervistare gli imprenditori 2.0) mi hanno spiegato che da loro il giorno degli acquisti in bitcoins è solo il giovedì, il costo di una birra varia a seconda della quotazione del bitcoin e che, in realtà, i pagamenti sono fatti sul conto di un amico che investe in bitcoins e che ripaga i ragazzi in Euro una volta che chiudono il registratore di cassa il giovedì sera. Dunque è, per il proprietario del portafoglio bitcoin, un modo alternativo per “estrarre” valuta, per il proprietario di Beertime un modo di farsi pubblicità.
 
A prescindere da quale sarà il futuro di Bitcoin, trovo il suo passato (e presente) immensamente affascinante. Ed, in generale, la storia di questa moneta del web estremamente futuristica. Se la piattaforma Bitcoin un domani dovesse rivelarsi una bolla, un obiettivo l’avrà sicuramente raggiunto: aprire un possibile sentiero ad una moneta del futuro che, con gli opportuni miglioramenti, potrebbe cambiare il mondo.
 
Voglio dire, se venti anni fa ti avessero detto che un domani avresti potuto sbloccare il tuo Iphone con la tua impronta digitale o vedere tua madre su Skype mentre ti trovavi in Angola, ci avresti creduto?