How does it feel (to win the Nobel Prize, Bob Dylan)?

Chi è Bob Dylan?

È una domanda così abusata da essere diventata retorica, tanto è stata posta attraverso i decenni dello scorso secolo: è un folk singer? No, suona in elettrico. È un rocker? No, non fa assoli e non urla nei microfoni. È un pacifista? Forse, ma non lo ha mai detto apertamente. È un poeta? Per molti sì, e da ieri lo è anche per l’Accademia Reale Svedese che gli ha tributato il Premio Nobel per la Letteratura, motivando il riconoscimento perché “ha creato una nuova espressione poetica nell’ambito della tradizione della grande canzone americana”.

 

Che tipo Bob Dylan, così contraddittorio e in continuo mutamento sia artistico che fisico tanto che il Bob Dylan di ieri non sembra neanche parente del Bob Dylan di oggi e viceversa, come se il suo personaggio cambiasse con la sua musica in un intreccio inesplicabile. In questo senso il film – bellissimo – del 2007 “I’m Not There” è il miglior racconto dylaniano possibile. Ci saremmo mai immaginati che il cantante di “you’d better start swimmin or you’ll sink like a stone, cause the time they’re a-changin’” avrebbe prestato il proprio volto per un controverso spot televisivo di un grande conglomerato automobilistico americano, promuovendo la filosofia car-culture in salsa nazionalista? No, eppure lo ha fatto.

 

Qualunque cosa faccia, anche la più strana, non riesce comunque ad intaccare la qualità del suo lavoro, soprattutto di quel pugno di album incisi nei primi anni ‘60 quando il mondo era davvero a-changin’ e lui di quel cambiamento ne era un attore protagonista. Neanche i suoi lavori più agghiaccianti, quelli figli della conversione temporanea al cristianesimo, sono riusciti ad offuscare la luce crepuscolare e cristallina di cui brillano i suoi capisaldi, forti di un suono rivoluzionario e classico allo stesso tempo che li incastona in una sorta di limbo temporale al salvo dell’invecchiamento; e forti di testi magnifici, naturalmente.

 

 

Forse è per quella poetica surreale che ha creato poco più che ventenne che gli è stato assegnato il Nobel, per “la malinconia da autostrada di Mona Lisa che puoi riconoscere dal suo modo di sorridere” ora che “tutti i clown che hai commissionato sono morti in battaglia o in vano” o forse perché oggi non ci sono più veri intellettuali capaci di scuotere il mondo anche in superficie e di marchiare l’immaginario pop, quello di tutti.

 

Io sono troppo ignorante di letteratura per giudicare o meno se quella dell’Accademia sia stata una scelta giusta, lo ammetto. Mi chiedo quindi se, più semplicemente, il Premio Nobel abbia mutato significato e valore in un mondo che i propri significati ed i propri valori li ha cambiati radicalmente rispetto sia a quando il Premio fu istituito, sia rispetto a quando Dylan fece la sua comparsa sulla scena musicale mondiale. Penso al Premio Nobel per la pace a Barack Obama, al suo valore di speranza (mal riposta?) e mi piace immaginare che anche questo sia un premio di speranza, affinché il mondo conosca altri artisti interpreti della propria epoca, capaci di pescare nella tradizione e tradurla in un nuovo linguaggio così forte da sopravvivere più di 50 anni e forse all’infinito perché, parliamoci chiaro, un Premio Nobel non si vince tutti i giorni.

 

Congratulazioni Mr. Bob Dylan.

 

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