Il sessismo e la sua evoluzione, riflesso dai contenuti che ci intrattengono ogni giorno.

La ricerca del grado di sessismo nelle storie che vediamo proiettate sui vari schermi, piccoli o grandi che siano, è sia uno sport di tendenza molto praticato, sia un indicatore interessante di come la rappresentazione della donna stia cambiando nelle menti degli sceneggiatori.

 

‘Stronzate’ e merito 

Alison Bechdel, fumettista e autrice del fumetto Dykes to Watch Out For venne incontro a queste esigenze stilando un regolamento, o meglio facendolo stilare ad un suo personaggio. Una storia, ma più precisamente un film, è giudicabile sessista se:

 

  • nel racconto ci sono meno di due donne;
  • due donne non parlano almeno una volta tra di loro;
  • le due donne parlano di un uomo.

 

Sul suo blog su il Sole 24 ore, Cristian Rocca, definì il Bechdel Test una stronzata. Legittimamente. Stando a questi criteri infatti anche Gravity è un film sessista: ci sono un uomo e una donna che nuotano nello spazio, Sandra Bullock e George Clooney. Fine. Può essere davvero, un film, sessista?

 

bechdel_test

 

Ci si dimentica che la Bullock per la parte di Ryan Stone ha guadagnato 70 milioni di dollari. Già, i milioni di dollari. Un altro criterio che possiamo utilizzare per dire se la produzione di un qualsiasi prodotto cinematografico o televisivo abbia avuto ingerenze sessiste e che francamente ci sembra anche più adatto del test di Bechdel.

 

Lo scorso anno. Jenji Kohan, la capoprogetto di Orange is the new Black, una serie che parla molto della condizione femminile e in particolare in un’istituzione totale come quella del carcere, ha rilasciato un’intervista all’Hollywood Reporter in cui affrontava il problema dell’equal pay. Ovvero: un uomo molto bravo e una donna molto brava a scrivere sceneggiature percepiscono stipendi molto diversi. La Kohan portò l’esempio di Matthew Weiner, quello di Mad Men, chiedendosi perché lei guadagnasse sensibilmente meno.

 

Rocca nel suo articolo le risponde secco: perché sei meno brava, ma anche perché, aggiunge, la Kohan non avrebbe saputo trovarsi un agente sufficientemente bravo da far lievitare il valore del suo lavoro. D’altronde in quel campo il record di cartellino, come si direbbe in gergo calcistico, spetta a Shonda Rhimes, quella di Grey’s Anatomy e Scandal, e prima di lei fu di Oprah Winfrey.

 

Un confronto: recentemente quattro importanti giocatrici della nazionale americana di calcio (la compagine più forte del mondo quando si parla di calcio femminile) hanno protestato contro la federazione perché i loro premi sono sensibilmente più bassi rispetto a quelli percepiti dai colleghi uomini. In questo caso non ci sono differenze ammissibili per questioni di merito, questo è sessismo.

 

Tornando sui contenuti. Qualche settimana fa sul Washington Post Jeff Guo ha riportato i risultati di una ricerca che ha analizzato il numero di parole che le principesse, o comunque le protagoniste femminili, pronunciano all’interno dei film Disney prodotti dal 1937 al 2013, da Biancaneve a Frozen.

 

 

Durante il cosìdetto Rinascimento Disney, quando furono prodotti La Sirenenetta (1989), la Bella e la Bestia (1991), Aladin (1992), Pocahontas (1995) e Mulan (1998). Si sarebbe assistito ad impoverimento drastico del dialogo assegnato alle protagoniste femminili.

 

Ad esempio, rispetto a Biancaneve, prodotto quasi sessant’anni prima e che vede un equilibrio perfetto di battute tra i sessi, in Aladin la protagonista femminile, Jasmine, parla solo per il 10% considerando tutti i dialoghi. Vero è che negli anni poi gli autori sembrano essere stati in grado di ristabilire una certa equità di genere: in Brave, del 2012, la protagonista ha il 75% delle battute.

 

Un film può essere giudicato davvero sessista o meno in base a quante parole vengono pronunciate dalla protagonista femminile? Sembra un’unità di misura abbastanza simile, per quanto più ponderato, del test di Bechdel, ma non così esaustivo. Fought e Eisenhauer, le ricercatrici citate dalla Guo nel suo articolo, si sono concentrate tuttavia anche su un altro indicatore: i complimenti. Com’è cambiato nei film Disney il modo di parlare alle donne?

 

Nei film classici i complimenti si concentravano sull’aspetto fisico soprattutto. La percentuale è scesa leggermente nel periodo del Rinascimento, quando hanno iniziato a salire di numero i complimenti indirizzati alle capacità e alle azioni delle protagoniste femminili. Con gli ultimi film poi è avvenuto il sorpasso. Un merito da attribuire alle persone in capo alla produzione, in grado di ribaltare gli stereotipi femminili. Ciò non significa ovviamente dare fattezze di maschiaccio alla protagonista: possono tenere una spada in mano, senza doversi travestire da uomo, come succedeva ad esempio in Mulan.

 

D’altra parte però, proprio in Mulan, era la storia ad imporre il travestimento della protagonista e senza questo espediente il racconto non avrebbe avuto senso di esistere.

 

Non solo Disney, non solo film

Ma quanto è sessista allora Game of Thrones? Le donne vengono uccise, sfruttate e stuprate e il tutto piuttosto in chiaro. Tuttavia, l’universo creato da George Martin nei suoi libri è difficile definirlo sessita, come scrisse Scotty Bixty su The Daily Beast.

 

Facciamo due conti: Joffrey morto avvelenato, 163 masters crocifissi, il figlio incestuoso di Craster ghiacciato. E poi ancora, la Montagna che spreme la testa di Oberyn Martell, il mastino abbandonato ad una morte solitaria e dolorosa, i guardiani della notte cascati a terra come passeri, anzi corvi. La tesi è questa: alle donne non va bene, ma non è che i personaggi maschili se la passino meglio. E’ una storia violenta, tutto qua. Dove c’è la violenza è difficile che ci sia parità di sessi e come diceva Padre Pizarro, “te guardi il film e te stai zitto”.

 

Lasciamo il fantasy e analizziamo invece altri esempi con i piedi ben a terra e con le teste tutte (più o meno) sul collo.

 

Claire Underwood è la regina degli scacchi

Su jezebel.com troviamo un articolo di Tracie Morrisey che ci spiega come Claire Underwood, l’elegante e opportunista moglie di Frank, sia l’elemento più powerful della serie trasmessa da Netflix. Se House of Cards è un gioco di scacchi, Claire allora è la regina. Nella seconda stagione (spoiler) Claire racconta che di non aver mai avuto figli e di aver scelto di abortire quando era rimasta incinta.

 

Fa riferimento a scelte autonome. Si è costruita da sola. Sì, certo, sale sul carro del marito quando lui (spoiler) conquista una carica dopo l’altra, ma non è mai in ombra. Non si ha mai l’impressione che Claire sia una galoppina, quanto un personaggio che non regala nulla, nemmeno a Francis, e che d’altronde si meriti tutti i privilegi derivanti dal successo politico del marito. C’è sessismo? Probabilmente no. Claire Underwood è una femminista? Probabilmente lo è, ma non sappiamo dirlo. Non fa di lei una eroina femminile il fatto che porti avanti una campagna contro la violenza sulle donne. Claire Underwood cerca di incamerare quanto più potere possibile e di essere sempre in una posizione di dominanza sempre maggiore. Se avete pensato ad House of Cards come una storia all’insegna della parità di genere, per quanto spietata, forse avete pensato bene. Se lo avete fatto portando come esempio Claire, avete pensato male.

 

Il caso Quantico

Vi è poi la serie prodotta dalla ABC, Quantico, con un cast ben costruito e con una trama convincente che sembra davvero mettere sullo stesso piano protagonisti maschili e femminili. A Quantico, appunto, si addestrano le nuove reclute dell’FBI. Ad entrare sono il meglio del meglio che ci si può aspettare sotto il profilo fisico e intellettuale: straordinari capacità di resistenza e forza, ma anche problem solving, ragionamento, tecniche di investigazione.

 

Le stanze dei protagonisti e delle protagoniste sono vicine, non ci sono dormitori. Nella prima puntata, dopo le prime istruzioni, gli allievi dell’accademia si ritrovano tutti vestiti nello stesso modo: jeans marroncino, e maglietta blu.

 

“Divise unisex? E’ questa la parità dei sessi?”

 

Si chiede una recluta. Probabilmente no, non basta vestirla la parità dei sessi, ma certo, in Quantico, la direttrice della scuola è una donna, il suo vice è un uomo. Durante le esercitazioni gli uomini si battono con le donne, e non sempre vincono anche nelle prove di forza. Certo, le forme della bella Pryanka Chopra, già Miss Mondo, sono spesso in evidenza, ma lo sono anche i pettorali dei protagonisti maschili.

 

Cosa conta davvero

Non c’è dubbio che le rappresentazioni femminili siano cambiate nel corso degli anni, ma c’è da chiedersi se davvero una storia può essere valutata o meno sessista. Una storia è una storia, oppure c’è sempre bisogno di legare il politicamente corretto a qualsiasi espressione umana? Cosa facciamo con le storie in cui le donne non hanno ruoli significativi? Come le raccontiamo? Una donna si sente maggiormente tutelata se un film dal contenuto (e non dal messaggio) misogino viene vietato nelle sale? Non facciamo prima a cambiare la realtà, ahimè ancora misogina e lontana dal concetto di parità dei sessi, e poi a raccontarla?