Ci siamo recati a Christiania e ne siamo usciti con svariati interrogativi: sembra arrivato il consumismo e non essere più un sogno di anarchia e amore.

Dall’alto del campanile della chiesa del Santo Redentore, Copenhagen non appare incantevole come quando si striscia come topi fra i canali e le case di mattoni dai tetti aguzzi e i comignoli di rame. Le pale eoliche dello stretto di Oresund roteano come girandole di carta e ovunque il cemento regna sovrano tuffandosi nel blu profondo del mare del Nord senza soluzione di continuità. Ma se si aguzza lo sguardo verso Sud-Est una macchia verde si staglia in mezzo a quello stupro urbanistico, una macchia che resiste ormai da quattro lunghi decenni alla fagocitosi del progresso: la città libera di Christiania. Quella piccola striscia di terra è l’Eden dei “deviati”, un approdo sicuro per coloro che hanno deciso di prendersi una pausa dalla frenesia e gli studenti che in estate ancora non sanno che ne sarà della loro esistenza. In molte occasioni proprio noi studenti siamo andati nella città libera a scrollarci di dosso le nostre preoccupazioni riscaldati dal sole di settembre; a destra i canali, a sinistra facce vuote di fantasmi che rotolano come fuochi fatui sui sentieri in terra battuta cosparsi di tappi di bottiglie e sigarette. Ricordo che una volta una ragazza rumena in preda alla più tenera eccitazione sintetica ha insistito per danzare in cambio di una sigaretta mostrando i seni in segno di riconoscenza. Tutto attorno i presenti battevano le mani neanche si esibisse Paco de Lucia e ognuno, a suo modo, assisteva ad uno spettacolo diverso senza capire bene cosa stesse accadendo. Quella ménade danzante pareva intrappolata in un universo che non comprendeva, che nessun altro comprendeva, dove tutti sguazzavano senza questionare secondo un accordo tacito e spontaneo. Quel giorno decisi che dovevo saperne di più su quella Babele indistruttibile.

Ed eccomi nella hall di Christiania qualche mese dopo in posa per la foto di rito con il mio bel faccione à la Fred Buscaglione versione 2.0. 3…2…1…click!

 

Christiania 1

Foto di gruppo a Christiania

 

Il comitato organizzativo di Christiania, in collaborazione con l’Università di Copenhagen, da tempo promuove visite guidate nell’intento di spiegare che la città libera è molto più di un manipolo di spacciatori su Pusher street e luoghi comuni sul rastafarianesimo. Un appuntamento a cui non potevo mancare di certo ed infatti, come potete vedere, mi sono addirittura messo in prima fila come un baffuto scolaro diligente. Passano i minuti senza che accada niente, mi perdo nella cartina geografica di Christiania dipinta a mano immaginando come doveva essere negli anni ’70 quando tutto é cominciato, in pratica la Woodstock autogestita di una lunghissima Summer of Love

Finalmente la nostra guida dall’aria stordita fa il suo ingresso con passo incerto, il suo volto tradisce gli eccessi di una vita spericolata ma il suo inglese è perfetto. Esordisce con qualche battuta, ridiamo per pietà cristiana e lo ascoltiamo parlare di un universo distante anni luce dal nostro. “Qui a Christiania ci sono poche regole da rispettare benché essenziali, tutto è deciso in comune e l’uno non esiste senza l’altro. Abbiamo dovuto vietare le droghe pesanti perché era un far west da queste parti”. Altro che Summer of Love. La città libera nasce in una fabbrica di armamenti dismessa e ha sempre dovuto lottare contro il governo comunale per continuare ad esistere, almeno fino a quando gli abitanti non si sono decisi ad acquistare dallo Stato i terreni su cui già vivevano. E come hanno pagato? In fiori? Non proprio. La maggioranza degli abitanti ha un lavoro retribuito e l’economia della città libera è fondata sui “servizi” forniti agli innumerevoli visitatori. Si direbbe che il contributo del “mondo schiavo” sia più che fondamentale per l’esistenza della città libera. “Non saltiamo a conclusioni affrettate”, mi dico mentre mi rimetto ad ascoltare la guida che ci invita ad uscire dalla hall. Ipnotizzati dai suoi capelli color forfora e platino lo seguiamo nei meandri del quartiere e subito rivolgo la domanda tipica “dove posso trovare una stanza per sistemarmi da voi?”. “Non è facile come pensi”, tuona lapidaria la guida ammirando il rivolo di urina che timidamente si fa strada fuori da un vespasiano. Poi riprende il suo discorso come se nulla fosse, “qui c’è uno skate park. Lo sapevate che gli skate park erano proibiti in Danimarca? Ne abbiamo costruito uno per dare spazio ai giovani. Ed eccoci a Nemoland dove potete trovare del caffé e quant’altro volete”. Fango, ganja e alienazione.

Il tarlo del dubbio che si era insinuato dentro di me riemerge quando mi rendo conto di come immagini e descrizioni stridano violentemente. Il nostro Cicerone parla di comitati, di assemblee, di società autarchica e di lavorare in gruppo per il solo bene della comunità e non per il vile denaro. Io invece vedo kebab mainstream, banchetti di chincaglieria e souvenir, un fornaio che come una Mecca attira gli stomaci più provati dall’assunzione di THC, stand senz’anima dove acquistare hashish e marijuana, bar, tabacchi e ristoranti. A questa città libera mancano solamente un McDonald’s e uno Starbucks a quanto pare. Ma poi libera da cosa? A me non è concesso di venire liberamente a vivere in questo luogo pur osservandone usi e costumi. A me non è concesso di costruire liberamente la mia palafitta sul canale o ancora di girare liberamente nudo per le strade. Se non altro mi è concesso di venire a spendere liberamente il mio denaro, inebriarmi e poi andarmene a casa con il rammarico di aver speso forse troppi soldi in loisirs. Per intendersi, un po’ come ci si sente all’uscita di un bordello o di un casinò. Oltre la facciata alternativa a tinte orientali, la Christiania odierna appare affetta dall’inguaribile malattia del consumismo. Ciò è accaduto perché i suoi abitanti potessero continuare a viverci, isolandosi come comunità e apprendendo l’abile mestiere imprenditoriale al contempo. Sento di non potermi tenere questa intuizione solo per me quindi sussurro all’amico che mi accompagna: “Hey Til, ma non ti pare che questa storia della città libera sia una boiata? Secondo me è solo un egoistico tentativo di vivere secondo le proprie regole continuando a dipendere totalmente dal resto del mondo. Facile così… te ne stai al bancone del tuo bar a fumare razzi e a vendere birre Tuborg e poi quando si fulmina una lampadina te ne vai al Fakta all’angolo ad acquistarne una nuova e magari ti compri pure l’ultimo Penthouse!”. Ride. Non ha neanche il tempo di rispondere che intanto la mia amica Mya ritorna con un elegante chai latte che desta subito la mia curiosità. “Senti, quanto lo hai pagato quello?”. “Bah 40 corone!” (circa 5 euro e 50). Preso dal disgusto lascio la comitiva e mi avvio alla bicicletta che servizievole come sempre mi riporterà a casa fra mille congetture sulla deriva consumistica di Christiania.