Wong Chi-fung ha svolto un ruolo chiave in Occupy Central HK: la protesta che ha portato in piazza migliaia di manifestanti. Ne ho parlato con un’amica di HK.

Hong Kong ha fatto molto parlare di sé il mese scorso, trasformandosi da “Porto Profumato” della Cina a “Spina nel Fianco” di quest’ultima. Quando la Mainland ha fatto sapere che avrebbe preselezionato i candidati a governatore per le elezioni del 2017, i più giovani prima, ma anche “i più grandi” poi, non ci sono stati. Sono scesi in piazza. E dalla fine di settembre in poi hanno indetto proteste e manifestazioni pacifiche, hanno colorato di fiocchi gialli la città mentre organizzavano raduni studenteschi e sit-in. Tutto questo attivismo, a cui il terzo centro finanziario del mondo non è abituato – e men che mai la Madrepatria cinese-, ha fatto gradualmente salire la tensione fino a quando la corda si è spezzata: il folto corpo di polizia di Hong Kong ha deciso di disperdere la folla con metodi tutt’altro che pacifici. La reazione degli agenti ha creato ulteriore rabbia e scompiglio, ed altri cittadini, armati di ombrelli e mascherine antigas per proteggersi dai lacrimogeni, si sono uniti ai manifestanti per supportare la causa democratica e dar man forte a chi già nelle strade.

Occupy Central HK

La Protesta degli Ombrelli, come è stata etichettata dai media, non ha sortito gli effetti sperati dai manifestanti, ma ha solo “aperto uno spazio per discutere su come rendere più democratica la scelta dei candidati”, come dichiarato alla stampa dal governatore Leung Chun-ying. Le affermazioni del politico fanno trasparire come la Cina, acquietatasi la protesta, imporrà il suo volere: a fronte di alcune (probabilmente esigue) concessioni, niente di concreto sarà realmente ottenuto e le direttive della Madrepatria saranno nondimeno applicate. Più o meno subdolamente. Tuttavia, se sul fronte politico l’indipendenza dell’ex colonia britannica si andrà via via restringendo, sul fronte sociale la mobilità che si è avuta nei giorni della protesta è stato un fenomeno interessante, che pone i cittadini hongkonghesi di fronte a delle inevitabili riflessioni.

Ho cenato con Pj, un’amica di Hong Kong, e non ho perso l’occasione per farmi raccontare che cosa è stata la protesta per una persona che vi ha partecipato.

La aspettavo seduto al banco del bar a tapas dove avevamo appuntamento. Davanti a me una birra ghiacciata e nella vetrina che protegge il cibo dagli avventori il riflesso del mio volto, in parte oscurato da una tortilla gigante. Mentre il mio sguardo indugiava sulle decorazioni in stile tipicamente galiziano del posto, riflettevo sulla protesta. Uno degli aspetti che più mi ha incuriosito è il fatto che alcuni giovani di tenera età abbiano potuto svolgere un ruolo così attivo nella protesta. Su tutti il membro di Scholarism, Joshua Wong Chi-fung

Wong Chi-fung - Occupy Central HK

Ero assorto in questi pensieri quando Pj fece il suo ingresso. Dopo esserci salutati e aver ordinato due bei tranci della tortilla che pregustavo, abbiamo iniziato la nostra lunga conversazione.

L’aver iniziato a lavorare ha cambiato il modo in cui Pj vede Hong Kong. Da un lato la città offre molte opportunità, i salari sono buoni, ed è una città estremamente dinamica e internazionale dove gli scambi culturali sono all’ordine del giorno. Peraltro, “a meno che tu non vada in certe zone”, la città è estremamente sicura nonostante l’alta disuguaglianza sociale. Questa iperattività economica e sociale ha tuttavia i suoi risvolti negativi. “Noi giovani siamo parte di una società dinamica ma basata sull’apparenza, una società che offre molte opportunità ma che è al contempo cinica e non risparmia giudizi negativi al primo errore commesso”. Anche le relazioni sono alterate, più fredde, non c’è senso di colpa a tradire il proprio partner perché tanto “tutti lo fanno” e quando succede a te “avanti un altro”. Ancora, ridendo per velare la malinconia, Pj mi spiega che un’ulteriore minaccia alle relazioni viene dalla tecnologia: chat e incontri virtuali la fanno da padroni, “durante alcune cene mettiamo i cellulari in un cestino e chi lo tocca prima della fine paga il conto per tutti. È l’unico modo per avere una conversazione reale”.

Con il secondo giro di tapas e di birra la malinconia se ne va ed entriamo nel tema Occupy Central HK. Così, le chiedo la sua opinione su Wong Chi-fung.

Occupy Central HK

Il ragazzo ha avuto un ruolo molto influente specie per i più giovani. In un contesto sociale come quello di Hong Kong non è frequente trovare tanto coraggio e avere un pensiero indipendente, in particolare per quelli della generazione del giovane leader. Il sistema scolastico della metropoli asiatica viene definito “duck feeding style”. Gli studenti acquisiscono le informazioni, accettandole senza porsi domande, proprio come quando si mette un’oca all’ingrasso.

In classe non si interviene, o per vergogna o per paura di “disturbare i compagni”. È dunque l’idea dello studente obbediente e silenzioso a prevalere, idea che ha radici antiche e che si legano al tema di non contraddire i più anziani e allo stesso confucianesimo. “Anche io ero una di loro, non volevo importunare gli altri studenti e avevo paura di sbagliare”, dice Pj sghignazzando.

Nei discorsi della mia amica il tema dell’obbedienza assume il ruolo di protagonista. Capisco come anche con la transizione al mondo del lavoro l’imposizione ad obbedire continua. In questo caso però le cause “strutturali” prevalgono su quelle culturali: l’indipendenza economica ha il caro prezzo di non lasciare il tempo per pensare. “Le persone sono esauste, perché lavorano troppo”. È per tale motivo che secondo Pj in molti hanno ignorato la protesta o l’hanno contestata.

È dunque questo contesto che ha (parzialmente) determinato il personaggio di Wong Chi-fung. Il giovane attivista, che già si era messo in mostra con altre proteste con il gruppo Scholarism, è stato elevato a simbolo della protesta e divenuto depositario della disobbedienza verso lo strapotere del Partito Comunista cinese – con le ovvie conseguenze che questo comporta. 

Tuttavia se da un lato Wong è stato una calamita per i più giovani, dall’altro è stato fonte di scetticismo e dubbi per i più adulti. “Pure io, nonostante la stima per il giovane, all’inizio avevo delle riserve”, mi confessa Pj.

In ogni caso, Wong Chi-fung non era solo. È stato uno dei tanti manifestanti che come lui combattevano per non perdere i loro diritti e la libertà, che a detta di Pj da qualche anno si sta gradualmente riducendo.

Prima di pagare e di andare a fare un giro per il centro di Barcellona, Pj ha voluto tirare le somme della nostra conversazione con il seguente commento, che ho deciso di riportare senza modifiche. 

“Quello che questa protesta ha messo in luce è che il problema più grosso di HK è l’assenza di senso civico – e che la gente non ha tempo per averlo. Molti dei miei coetanei, nonostante esponessero il fiocco giallo simbolo della protesta come immagine profilo su Facebook, ritengono che la protesta sia stata inutile e che provare a far valere i propri diritti in questo modo sia una perdita di tempo. Ma si sbagliano. Questa non è stata una protesta qualunque. Come poteva esserlo con la polizia che scaricava su una folla di manifestanti inermi violenza gratuita e lacrimogeni? In strada si combatteva per i nostri diritti, e per questo al vedere le immagini in televisione altre persone si univano alla folla. “Più siamo, più sicuri sono i manifestanti”, era l’idea di fondo. Essere là in mezzo alla folla, arrabbiata e piangente, spalla a spalla con i miei concittadini è stata una cosa forte. Non so quanto effettivamente sia stato ottenuto, ma spero che questo sia servito per piantare nella gente il seme del civismo e per dargli una scossa dal quotidiano torpore”.

hong kong teargas - Occupy Central HK