Casa base Cuba.
La nascita della diplomazia del baseball
A L’Avana il 28 marzo del 1999 c’è un sole meraviglioso. Fidel Castro raggiunge il centro del diamante dello stadio del Baseball della città. Con lui ci sono Peter Angelos, proprietario della squadra di baseball professionale Baltimora Orioles, e Bud Selig, commissario della Major League, il campionato americano di baseball. Sugli spalti ci sono cinquantacinquemila spettatori. Qualche minuto e inizierà l’incontro amichevole tra gli Orioles e la nazionale cubana. In campo sfilano le bandiere cubana e a stelle e strisce. Prima suona l’inno dell’isola. Poi ecco risuonare, a Cuba, The Star-Spangled Banner.
Tre anni prima gli Stati Uniti avevano varato la legge Helms-Burton che andava ad inasprire ulteriormente l’embargo nei confronti della repubblica cubana, rendendo così ancor meno distesi i rapporti tra i due stati. La svolta della partita di baseball fu un’idea del giornalista del Washington Post Scott Armstrong, che per primo contattò il proprietario degli Orioles nel 1998 per organizzare l’incontro amichevole a L’Avana. Fu difficile tirar su il tutto, soprattutto per le resistenze del dipartimento di stato, preoccupato per la sicurezza e l’incolumità dei giocatori della squadra. A sostenere l’iniziativa c’era anche la Casa Bianca, presieduta allora da Bill Clinton.
Alla fine, quel giorno di primavera si giocò. Vinsero gli Yankees 3-2, ma due mesi dopo i cubani ebbero la loro rivincita a Camden Yards vincendo contro gli Orioles per 12-6. Come scrive Peter Kornbluh sul The National, la distensione creata da quel doppio incontro amichevole durò poco, a causa della morte del piccolo Elian Gonzales e della madre, annegati nel tentativo di raggiungere la Florida da Cuba su un’imbarcazione di fortuna. Tuttavia, fu un evento straordinario.
Nella prima delle due amichevoli all’interno dello stadio cubano sembra ci fossero più di seicento giornalisti; di questi, trecentoventisette erano americani. Alla vigilia dell’incontro, Arcobelli Stefano, giornalista de la Gazzetta dello Sport, scrisse che nemmeno per la visita di Giovanni Paolo II su suolo americano si erano visti così tanti giornalisti.
La partenza degli Orioles per L’Avana suscitò non poche polemiche e clamore tra i cubani migrati a Baltimora, circa un milione e mezzo. Soltanto un giocatore, a causa di queste pressioni, non partì: Juan Gonzalez, portoricano, con tanti amici cubani nel suo quartiere.
In un video di Youtube caricato da Associated Press si vedono alcune immagini della partita giocata a L’Avana: la polvere, i verdi spalti, l’eleganza delle casacche da baseball, migliaia di cappellini, quelli americani. Ad un certo punto un tifoso cubano interviene alla telecamera. Dice che tra le due squadre in campo c’è una differenza abissale: una è amatoriale, l’altra è professionista. Poi sembra dica che a fare la differenza in campo saranno la calma e la tranquillità. Nell’anno precedente gli Orioles avevano speso in stipendi 73 milioni di dollari. Nella nazionale cubana, invece, non c’è nemmeno un giocatore professionista, ragion per cui la vittoria di qualche giorno dopo a Baltimora ha un sapore quasi rivoluzionario.
17 anni dopo, Obama
Il 21 e il 22 marzo Barack Obama visiterà Cuba a quasi novant’anni di distanza dall’ultima volta che un presidente americano ha messo piede sul suolo cubano. Era il 1928, il presidente in questione era Calvin Coolidge e attraccò sull’isola con una nave da guerra. Con Obama si è assistito al progressivo disgelo tra i due paesi, a partire dal 17 dicembre del 2014, quando Obama e Raul Castro, il presidente cubano, annunciarono la ripresa dei rapporti diplomatici tra i due paesi che si erano interrotti nel 1961 (partite di baseball a parte). L’11 aprile del 2015 Raul Castro ha partecipato per la prima volta al vertice delle Americhe, a Panama. Lì ha un altro colloquio con Obama. Un mese dopo l’amministrazione Usa ha cancellato Cuba dalla lista degli stati che sostengono il terrorismo, e qualche mese dopo, in agosto, l’ambasciata americana a Cuba ha riaperto. Nello scorso settembre poi, Castro ha chiesto durante un’assemblea delle Nazioni Unite l’eliminazione dell’embargo commerciale. L’ultimo evento registrato è l’annuncio di Obama del suo viaggio a Cuba.
La giornalista cubana Karelia Vazquez ha scritto su El Pais Semanal che per la prima volta i cubani non sembrano intenzionati ad insultare un presidente degli Stati Uniti. Il giorno successivo all’annuncio del disgelo tra i due stati, i giornali locali scrivevano non più del ‘Nemico del Nord’, ma ‘dell’Amico vicino’. Il clima a L’Avana sembra sereno e di attesa. Ad essere in disaccordo con il viaggio di Obama sarebbero alcuni membri del congresso americano, di entrambi gli schieramenti, seccati e delusi dal fatto che il presidente si impegni in questo viaggio diplomatico con un Castro ancora al potere. In questo senso, il parere e gli umori dei membri del congresso non possono essere sottovalutati, visto che è questo l’organo in grado di togliere l’embargo.
Una nuova partita
Tra le varie visite e i vari speech di Obama durante la sua permanenza a Cuba, è in programma una partita di baseball, quella tra i Tampa Bay Rays, squadra di St. Petersburg (Florida) e la nazionale cubana, ancora. Il baseball dunque torna ad assumere quella funzione diplomatica che ebbe nel 1999, stavolta in un contesto ancora più disteso. La speranza, sia dei cubani che di Obama, è che sia il presidente USA a poter fare il lancio di inizio della partita, che, al di là del risultato, potrebbe assestare uno dei colpi decisivi alla fine dell’embargo e delle ostilità tra i due stati.
Gli Yankees portarono il baseball a Cuba all’inizio del secolo scorso, scrive Kornbluh, quando le forze d’occupazione distribuivano mazze, palle e guanti per conquistare i ragazzi cubani. Da allora il baseball è un passatempo nazionale nella repubblica cubana, tanto da far diventare la selezione nazionale una delle più vincenti nelle ultime edizioni olimpiche (tre ori e due argenti dall’edizione di Barcellona nel 1992).
Ancora qualche giorno e chissà che il baseball non possa far fare al paese socialista la corsa decisiva per tornare in casa base, a quasi sessant’anni dall’inizio dell’embargo.