Una panoramica storica sul mestiere più antico del mondo nel capoluogo toscano.

L’ordinanza firmata recentemente dal sindaco Nardella contro la prostituzione prevede, per i clienti, fino a tre mesi di carcere e multe che possono arrivare a 206 euro. Una soluzione definitiva per far «spengere» le lucciole in città? In attesa dei primi effettivi riscontri al provvedimento, ecco una panoramica storica su questo antico fenomeno nel capoluogo toscano.

 

Per capire quanto anche a Firenze, culla del Rinascimento, il «mestiere più antico del mondo» sia parte integrante del tessuto sociale cittadino, è sufficiente studiare l’etimologia del termine «baldracca». La parola, ieri come oggi spregiativa, deriva proprio dall’allora celebre – siamo nella prima metà del ‘500 – Osteria della Baldracca, situata nell’omonimo e malfamato rione attualmente occupato dagli Uffizi.

 

Il locale, con avventori «selezionatissimi» tra ladri e ribaldi, era appunto frequentato da molte signorine a caccia di clienti. Insomma, nomen omen, un po’ come nel caso di piazza della Passera – già piazza dei Sapiti – in zona Oltrarno, che deve il suo «curioso»appellativo popolare ad un altro bordello, anch’esso risalente al XVI secolo, tra i cui habitué sembra figurasse nientemeno che Cosimo I, granduca de’ Medici. I postriboli fiorentini, del resto, erano così famosi da ispirare i nomi delle stesse strade in cui sorgevano.

 

E così ecco«via delle Belle Donne», via Vergognosa (oggi via Borgognona), via delle Serve Smarrite (a causa delle contadine che arrivavano a Firenze in cerca di un futuro migliore, trovandosi invece costrette al lavoro nelle case chiuse della zona; oggi via del Parlascio o del Parlagio), via dell’Amorino (le cui storie pruriginose ispirarono La Mandragola di Machiavelli; qui attualmente un trilocale costa 300mila euro): un tempo tutte sedi di vecchi bordelli che in città – fino al 1958, anno della fatidica legge Merlin – arrivarono a venti unità tra centro e periferia.

 

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Tra centro e periferia i bordelli arrivarono a 20 unità

 

Già, perché anche al di fuori delle mura esistevano case chiuse, come ad esempio la Rina di via Lungo l’Affrico, che diventò location di «movida orizzontale» per gli ufficiali militari del vicino campo d’addestramento. Le ragazze – secondo il metodo delle «quindicine» – avevano l’abitudine di spostarsi di casino in casino ogni due settimane, in modo da evitare che i clienti si affezionassero troppo. Il costo? Naturalmente dipendeva dall’appeal delle signore e dai tempi. La famosa Madame Saffo – maitresse dell’omonima casa chiusa di piazza Antinori bazzicata pure da Indro Montanelli; quasi un salotto per il suo lusso – riceveva al secondo piano dell’edificio ed era tra le più costose nelle prime decadi del XX secolo.

 

Nel merito, durante gli anni ’50, il prezzo per una cosiddetta «semplice» – una performance da dieci minuti – era di 500 lire per le proposte più economiche, mentre negli indirizzi «premium» come la prima citata maison fiorentina si arrivava a 1500 lire: un operaio, per rendere l’idea, ne guadagnava 30mila al mese. L’attività del lupanare di piazza Antinori, d’altronde, era riservata all’élite: negli anni ’30 Carlo Bo, Eugenio Montale e Carlo Emilio Gadda frequentavano assiduamente Madame Saffo («Era come stare al caffè», ebbero spesso a dire), intrattenendosi per mezzore decisamente «poco poetiche».

 

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Anche Carlo Bo, Eugenio Montale e Carlo Emilio Gadda frequentavano le case chiuse di Firenze

 

Davvero altri tempi, perché come detto dopo il 1958 tutto cambia. Niente più tasse, niente più pensioni, niente più ceri accesi per espiare i propri peccati davanti alla vergine di San Cristofano: le prostitute, non tutelate dallo Stato, sono costrette a spostarsi dal cuore di Firenze. E se nel 1300 erano molte coloro che si ravvedevano – spinte dai richiami di una religiosità totalizzante – nel convento di Santa Elisabetta del Capitolo tra Borgo Allegri e via de’ Macci, negli anni ’60 il bigottismo dell’epoca non ha la stessa efficacia deterrente: comincia il mercimonio di «amore»per le strade.

 

Dapprima, seppur raramente, ancora in centro – negli anni ’70 è famoso in via Tornabuoni il trans Romanina, tra i primi in Italia a cambiare sesso – poi sui marciapiedi delle Cascine – dove negli anni ’80 si fa largo la leggenda di un’altra transgender, Carlotta, ricordata dal fotografo Nicola Casamassima con la frase «È più conosciuta lei a Firenze, che Andreotti in Italia» – ed infine verso la periferia di Novoli.

 

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Carlotta, storico transessuale di Firenze, nelle foto di Nicola Casamassima

 

Sempre più straniere, sempre meno italiane: l’ombra dello sfruttamento – comunque presente pure ai tempi delle case chiuse con i placeurs – diventa una piaga sociale difficile da debellare tutt’oggi. L’amministrazione comunale prova così la linea dura verso gli aficionados del sesso a pagamento e la notizia fa scalpore. Sia per le multe severe, sia per la preoccupazione dei comuni limitrofi su un’eventuale invasione di fiorentini in fuga dalla nuova «Magistratura dell’Onestà». Nel 1403, infatti, a Firenze ci avevano già provato a controllare la moralità cittadina attraverso otto funzionari della rettitudine, eletti ogni sei mesi, incaricati di mettere alla gogna in piazza dei Tre Re coloro che si fossero macchiati di atti impuri. E dire che da principio il magistrato doveva arginare la sodomia, ma tanto era praticata quest’ultima dai potenti che l’ostracismo passò appunto alla prostituzione di una città che, parole di Pio II, era e rimane profondamente «meretrice».

 

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