Sorveglianza di massa, Pirate Party e democrazia diretta: intervista a Katharina Nocun

Abbiamo incontrato Katharina Nocun, attivista e hacker che è stata coordinatrice del Pirate Party tedesco, al Sónar+D durante il Sónar Festival 2016. Ad oggi Katharina organizza campagne di protezione dati per la sezione tedesca di Wikimedia, ed è membro della German Working Group Against Data Retention e anche del Whistleblower Network – un network che protegge coloro che espongono le attività illegali che prendono piede all’interno delle organizzazioni.

 

A Barcellona è venuta per presentare Diaspora* – un social network decentralizzato che fa parte del progetto The Federation e che ambisce a offrire un’alternativa sana al colosso Facebook –, ne abbiamo così approfittato per parlare della transizione verso l’information society e delle zone grigie non ancora coperte dalla legge create da questo processo; poiché sarà proprio il modo in cui le società supereranno i problemi attuali che definirà il futuro della nostra civiltà.

 

 

Mi piacerebbe che iniziassimo parlando del Pirate Party (PP). Uno dei punti del manifesto del partito riguarda l’uso della democrazia diretta, che dovrebbe essere esercitata tramite software di e-democracy, come strumento per colmare il gap tra cittadini e i loro governi. Mi piace l’idea e sono anche io convinto che dobbiamo ripensare il funzionamento delle nostre istituzioni, tuttavia non sono capace di capire come funzioni in termini pratici. Mi immagino che ci sarà un software o una piattaforma o una app che permettano l’interazione dei cittadini con i politici e con la politica…

 

Il PP tedesco usa un software che si chiama Liquid Democracy e funziona così: “Tutti conosciamo qualcuno che è più bravo di noi in un campo specifico; ad esempio la mia amica Pia, sa tutto riguardo le questioni ambientali. Con la democrazia diretta, a volte avrò bisogno di prendere decisioni anche su temi relativi all’ambiente. Qualora non mi senta in grado di esprimere un giudizio su una questione ambientale, potrei allora conferire il mio voto a Pia che può decidere per mio conto visto che mi fido del suo giudizio. [In Liquid Democracy] Si può scegliere l’argomento che si vuole e dare il proprio voto a qualcun altro perché voti per nostro conto; ma allo stesso tempo si può controllare il voto di chi ha votato per nostro conto, ed è possibile riprenderlo se non d’accordo. Inoltre il voto non è segreto perché nelle votazioni online senza trasparenza è molto facile manipolare i voti, come è stato mostrato in passato, per esempio quando un team di hacker tedeschi è riuscito a installare un software di scacchi su un computer per votare online…

 

Per dimostrare…

 

Per dimostrare che non è un sistema sicuro. Per questo dobbiamo iniziare a pensare a una democrazia diversa da quella che abbiamo ora. Dal mio punto di vista quello della e-democracy è un progetto molto interessante, e dei programmi pilota sono stati testati nelle scuole. Ad esempio, alcuni bambini sono stati messi di fronte a piccole scelte riguardanti la loro scuola attraverso questi strumenti. Tutti questi test permettono alle persone di familiarizzare con questo concetto, e agli sviluppatori di migliorare il software.

 

Katharina Nocun

Piraten Partei

 

Credi che si possa espandere su una scala più grande?

 

Si. Ad esempio a livello cittadino, invece che di sole scuole, puoi risolvere questioni come: “Vogliamo ristrutturare il parco? Vogliamo farlo più grande o più piccolo o volete che ci passi un’autostrada?”. E il software non ti permette solo di votare, ma anche di generare idee e dibattito: “Non mi piace questa idea, ma se ne modifichi questo aspetto, voterei si”. Dunque questo è un altro aspetto importante, in Liquid democracy c’è anche un periodo di dibattito dove le persone possono proporre anche altre alternative.

 

Questo non richiede elevate competenze tecniche? Voglio dire, mia nonna potrebbe capire il software e votare usandolo?

 

Beh, se prendi in considerazione il sistema elettorale negli Stati Uniti, devi prima registrarti, poi voti per un candidato di un partito, che poi sarà in lizza per diventare Presidente. Voglio dire, è anch’esso complicato. Dal mio punto di vista, se puoi ordinare una pizza online, puoi anche usare uno strumento di democrazia diretta senza problemi.

 

Credi dunque che movimenti come il Movimento 5 Stelle rappresentino i primi tentativi di democrazia diretta e/o segnalino che questo è quello che vogliono le persone?

 

Si chiaro. Ci sono molti partiti che provano a introdurre nuovi sistemi o che sono essi stessi laboratori di nuove idee e credo che abbiamo bisogno di questo: nuove idee, nuovi partiti, nuovi movimenti, per migliorare le nostre società. Qualche hanno fa quando studiavo economics e scienze politiche ho letto “Post-Democracy” di Crouch e mi sono detta: “Cazzo, questo è un processo in atto e devi agire”. Non bastano i nuovi partiti, dobbiamo anche avviare un dibattito su come migliorare la democrazia rappresentativa perché tutti i sondaggi dicono che le persone non si fidano più della vecchia politica.

 

Vorrei parlare del recente caso riguardante Facebook e la sua capacità di influenzare un’elezione. L’argomentazione economica in difesa del social network, vuole che Facebook non farebbe mai niente del genere perché il suo business si basa sulla fiducia e un comportamento del genere andrebbe proprio a minarne le fondamenta. Rimango dubbioso in merito… Non trovi che ogni governo dovrebbe intervenire per legiferare riguardo a cosa un’azienda così potente può e non può fare nel suo Stato?

 

Ci sono dei mercati in cui è molto probabile che emerga un monopolio. I mercati di internet, telecomunicazioni, telefonia e tecnologia in generale, sono altamente regolati perché altrimenti ci sarebbe un unico provider che può fare quello che vuole dato che non ci sarebbero alternative. Abbiamo imparato che quando vediamo questo tipo di strutture formarsi è necessario un rapido intervento governativo, perché appena il monopolista consolida la sua posizione di monopolio siamo fottuti. E nel caso di Facebook non c’è più una vera competizione, è troppo conveniente andare su Facebook perché è gratis e tutti i tuoi contatti sono già lì e tutti lo usano. Facebook è una comunità chiusa che non permette la comunicazione con altri social networks, è come firmare un contratto con una compagnia che ti permette di chiamare solo utenti dello stesso operatore.

 

Katharina Nocun

“No tranquillo, non ti sto influenzando”

 

Però in questo caso c’è un marcato network effect che rende accettabile il contratto con la compagnia che permette di chiamare ‘solo utenti dello stesso operatore’ dato che l’utenza è molto alta. Tutti sono su Facebook.

 

Esatto, questa è un’ulteriore ragione per cui i governi devono intervenire. L’effetto network è presente in molti mercati digitali o tecnologici. Stiamo parlando di monopolisti. Credi che, ad esempio, la Microsoft se andrà da sola?

 

Questo mette al rischio la stessa democrazia…

 

Ovviamente. Voglio dire, prendi il tuo esempio riguardo a Facebook. Immaginati che tra qualche anno spunti un partito in corsa per il governo e che uno dei punti della sua agenda sia: “Google e Facebook minacciano la nostra democrazia, dobbiamo regolamentare queste due compagnie”. Tu dicevi prima che manipolare le informazioni andrebbe contro l’interesse di Facebook, credo tuttavia che in questo caso la compagnia avrebbe un interesse in andare contro il candidato che vuole tarpargli le ali. Stiamo regalando la libera informazione a un pugno di aziende, questa è una infrastruttura essenziale per il funzionamento del processo democratico. Ma quando sono solo poche compagnie a poter decidere qual è la opinione prevalente in rete, la democrazia è a rischio e dobbiamo assolutamente intervenire.

 

Immagino che una delle alternative per rompere questo circolo vizioso è il progetto Diaspora*, il social network decentralizzato parte di The Federation. Come funziona?

 

The Federation è una alleanza tra diversi social networks decentralizzati (Diaspora*, Hubzilla e Frederica). Un social network decentralizzato funziona diversamente da uno centralizzato come Facebook dove il proprietario del network è uno solo e può decidere che regole implementare (censura, standards, cosa è appropriato e cosa no, ecc.); in un social network decentralizzato l’utente può scegliere su quale server appoggiarsi. Per esempio, ti ricordi della mia amica Pia che ‘sapeva tutto sulle questioni ambientali’? Ecco, supponiamo che lei abbia anche un server, dal momento che mi fido di lei posso scegliere di registrarmi al social network appoggiandomi al suo server. Ovviamente diversi server del social network comunicano tra loro. Inoltre Diaspora non ha scopi commerciali, non c’è una compagnia profit-oriented dietro che colleziona le informazioni per rivenderle per pubblicità targetizzate o che le immagazzina senza che io possa fare niente.

 

Facebook sull’ultimo aspetto è decisamente invasivo.

 

Considera che negli States un dataset di Facebook è venduto in media per 9/10$. Dimmi, se ti dessi 10$ mi daresti tutte le informazioni che posso estrarre dal tuo iPhone?

 

Decisamente no! Il problema è che spesso gli utenti di una piattaforma come Facebook non si curano di sapere come Facebook tratta i suoi dati. A mio avviso c’è proprio un problema strutturale, di ignoranza generalizzata, e sicuramente far sì che le persone siano consapevoli di questo aumenta la loro libertà di decidere. Nel caso di un social network decentralizzato però, dove si ha la garanzia di anonimato e libertà, queste verrebbero garantite anche a un criminale – cosa che ci riporta al trade-off Baumaniano tra sicurezza e libertà. Credi che il permettere l’accesso anche a un malvivente, sia il prezzo da pagare per avere anonimato e libertà?

 

È una domanda complessa. Se hai un coltello, lo puoi usare sia per cucinare che per ammazzare qualcuno. Però questa non è una ragione perché non si usino coltelli. Credo che abbiamo bisogno di un nuovo sistema. Se vengono individuate attività illegali online la polizia debba aver accesso ai dati di quella persona, ma solo quando c’è una prova che qualcosa è realmente successo. È questa la differenza con i sistemi di sorveglianza di massa dove si spia a tappeto tutta la popolazione perché c’è uno zero-virgola-qualcosa per cento di questa che può commettere qualcosa di illegale. I servizi dovrebbero agire in maniera mirata, su obiettivi specifici invece di sputtanare milioni e milioni di tasse dei cittadini in sistemi di controllo di massa che non aiutano nessuno.

 

Katharina Nocun

“If you want more security, you’re going to have to give up a certain amount of freedom; if you want more freedom, you’re going to have to give up security. This dilemma is going to continue forever”.

 

Da poco Shane Smith di VICE ha intervistato Edward Snowden in Russia riguardo lo stato dei sistemi di sorveglianza di massa. Dall’intervista emerge uno scenario particolarmente cupo e distopico. Sono anche io convinto, come poi dimostrato dai molteplici episodi di violenza che avvengono negli USA, che sorvegliare l’intera popolazione non sia un sistema efficiente…

 

Potremmo iniziare mettendo al bando le armi! Questo è il vero problema: ci si focalizza su problemi specifici e non si osserva la big picture. Voglio dire con una politica più severa riguardo all’uso delle armi, che non permette ad ogni lunatico che vuole commettere un crimine di procurarsi una pistola, molti degli attacchi probabilmente non ci sarebbero stati. È un’assurdità! Per questo ritengo che il “trade-off” libertà-sicurezza sia una cazzata: sono fermamente convinta che ci sarebbe molta più sicurezza con maggiore libertà. Anche perché una società che è ben istruita, con delle opportunità per tutti e dove nessuno è abbandonato, rende ognuno più sicuro. Perché pensaci, che cos’è il terrorismo in fondo? Il terrorismo persegue come scopo la destabilizzazione della società, ed è proprio quando i governi iniziano ad abolire i diritti e a ridurre le libertà che allora il più grosso attacco terroristico è stato efficace dal mio punto di vista. Questo è quello su cui dovremmo riflettere.

 

Vorrei parlare di hacking e hacktivismo. Supponiamo che ho due casi: Anonymous che combatte l’ISIS cancellandone i profili, e Anonymous che dichiara guerra a Trump. Il secondo attacco non è legalmente giustificabile. L’hacktivismo può essere oggettivo?

 

Henry Miller ha detto: “Essere neutrali, significa essere morti”. Credo che ci sia una differenza tra il mio punto di vista e quello legale in molti casi. Credo anche che ognuno di noi sia chiamato a fare una scelta a un certo punto. Perché verrà un momento in futuro in cui i nostri figli ci chiederanno: “Tu cosa hai fatto per prevenire lo stato di sorveglianza?”. E dovremo rispondere; e io voglio essere dalla parte della lotta per la democrazia e la libertà, perché credo che la tecnologia possa rendere la nostra vita molto migliore ma stiamo mandando tutto a puttane.

 

Da poco scrivemmo riguardo l’Hacking Team, la azienda di cyber sicurezza..

 

Anche questo può essere un esempio relativo alla questione del punto di vista legale di cui sopra, perché quello che l’Hacking Team fa è legale ma dal punto di vista morale lo definirei criminale.

 

Anche io fatico a comprendere come sia possibile che aziende con attività così borderline vengano lasciate operare liberamente. Che cosa si può fare in merito? Gli Stati dovrebbero intervenire o solo facendo sì che la gente prenda coscienza si può cambiare qualcosa?

 

Io come attivista uso solo strumenti di protesta legali. Per esempio al momento sono in causa con il Governo per via di una nuova legge riguardo alla sorveglianza in Germania; quello che potremmo fare legalmente per fermare così tanti governi dal comprare questo tipo di informazioni non è chiaro. Però è necessario agire perché sono sempre di più gli interessati – e puoi letteralmente fare milioni con questi dati. Quello che possiamo fare in Europa per provare a arginare questo fenomeno è fare pressione sui singoli Stati affinché non siano parte di tutto questo e perché favoriscano l’avvento di una industria dell’IT che sia cool – invece di avere aziende che esportano dati sulla vulnerabilità in luoghi come il Bahrain, implicando la morte di attivisti e blogger.

 

Con l’avvento dell’information society siamo in una fase di costante eccesso di informazioni dove veniamo bombardati da notizie tutto il tempo. Recentemente ha catturato la mia attenzione come lo scandalo dei Panama Papers sia già passato e, a parte per Messi e per il premier islandese, non ho visto le conseguenze che mi aspettavo. Pensi che questo eccesso di informazioni contribuisca a zittirci?

 

Anche io ho avuto l’impressione che molte persone hanno notato lo scandalo ma poi dopo non è successo niente, trovo che la ragione per cui questo sia successo non è sorprendente, non credo che ci sia niente di nuovo nel fatto che la maggior parte dei politici usi delle strategie per non pagare le tasse. Voglio dire, sappiamo che Google applica l’evasione fiscale su larga scala così come Facebook, non serve uno scienziato, usano lo stesso sistema che usa Starbucks.

 

Katharina Nocun

“Shh, non è successo niente”

 

Negli ultimi anni le figure del data scientist e quella del programmatore sono diventate sempre più importanti. Portando questo trend all’estremo, e mischiandolo con un po’ di passione per i romanzi distopici o sci-fi, credi che stiamo andando verso una società comandata dai programmatori?

 

Anche io amo il genere sci-fi, ma non credo che andrà così. Ho l’impressione che stiamo realmente andando verso un futuro distopico e non molto luminoso. Però non penso che saranno i programmatori a dominarlo, ci saranno delle compagnie e queste compagnie avranno molti più dati di quanti l’NSA ne avrà mai, o molte più risorse di uno stato medio. Però ecco secondo me non ci saranno i programmatori a comandare questa società distopica ma ci saranno i manager di queste compagnie che diranno ai programmatori cosa fare – e i programmatori ci diranno: “Ve l’avevamo detto, vi avevamo messo in guardia”. Per questo sono molto contenta di essere parte della comunità di hacker che sta cercando di allertare le persone e vuole usare la tecnologia a beneficio dell’uomo e non contro l’uomo.

 

L’arma più forte che la comunità hacker ha, è dunque quella di diffondere e far si che le persone prendano coscienza.

 

Esattamente. Stiamo provando a far capire alle persone che dobbiamo riconsiderare e definire nuovamente la nostra società e fare delle nuove regole, e dobbiamo usare questa opportunità fino a quando ce l’abbiamo ancora. Perché a un certo punto questa compagnie saranno ‘too big to fail’.