Nonostante il dovere Costituzionale (Art. 97) del “buon andamento della Pubblica Amministrazione” il nostro Paese è spesso protagonista di casi di inefficienza, figli di un sistema sicuramente da rivedere e da razionalizzare. Tale affermazione è ben esemplificata dal caso del bando Smart Cities del Miur, il Ministero preposto all’amministrazione dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. I vincitori del bando 2012, tra cui è presente la nostra Chiara, non hanno infatti ancora visto un euro del finanziamento previsto; una situazione di stallo estremamente disdicevole che rischia di far saltare i progetti promossi, dato che il tempo limite per il loro completamento era fissato per l’inizio del 2015. Un ulteriore slittamento porterebbe alla perdita dei finanziamenti Ue, compromettendo le speranze di chi, a buon diritto, aveva sperato in questo bando per mettere a frutto il proprio talento. Un senso di frustrazione che viene ben esplicitato dalla nostra Chiara, una delle ricercatrici rimaste inghiottite in tale situazione.

Partiamo dallo spiegare in cosa consiste concretamente il bando promosso dal Miur.

Il bando stanziava inizialmente 650 milioni di fondi per la ricerca relativa allo sviluppo della Smart City. Esso era rivolto per una parte ad enti di ricerca pubblici e privati, e per un’altra a giovani Under-30 che dovevano presentare progetti di innovazione sociale corredate da un business plan dell’importo massimo di 1 milione di euro. Ovviamente, io e i miei 4 colleghi rientravamo in questa seconda categoria.

Parlaci in cosa consiste il vostro progetto e quali erano le vostre aspettative.

Abbiamo partecipato con un progetto nel settore di “Architettura Sostenibile e Materiale”, che abbiamo denominato “Verde+”. Non posso entrare nel dettaglio della proposta perché il progetto deve ancora partire ufficialmente, e quindi è nostro interesse proteggerne la proprietà intellettuale; posso però dirti che si tratta di una proposta di innovazione sociale legata alla riqualificazione architettonica e ambientale dei nuclei urbani sul territorio italiano. Un progetto per il quale nutrivamo, e tuttora nutriamo, grandi aspettative e sul quale stiamo investendo molto tempo e passione.

A proposito delle vostre aspettative: immagino che inizialmente eravate molto entusiasti all’idea di poter mostrare le vostre competenze contribuendo a implementare l’idea di un contesto urbano maggiormente al passo coi tempi. Come descriveresti, sinteticamente, il vostro stato d’animo per questo stato d’empasse, che sovente il nostro apparato burocratico crea anziché semplificarlo?

Frustrazione, delusione, e una notevole incazzatura. Hanno letteralmente preso in giro i giovani che loro stessi dicono di voler aiutare. Stanno sprecando l’eccellenza intellettuale del nostro Paese. Ho avuto modo di parlare con molti di questi ragazzi che come noi hanno vinto il finanziamento, e ti posso assicurare che stiamo parlando di persone dalle idee interessanti e innovative. Giovani che in qualsiasi altro paese sarebbero considerate un bacino importante da cui attingere; qui invece si vive alla giornata, e si rimane nel limbo. Ti faccio un esempio concreto: nel mio gruppo siamo 3 architetti, tra cui 2 dottori di ricerca, un dottorando, una designer con esperienza all’estero e il titolare di una impresa. Non proprio gli ultimi arrivati, insomma.

Eccellenze che, dal 2012 ad oggi, non hanno tra l’altro visto ancora un euro del finanziamento……

Esattamente. Nel 2012 ci è stato ufficializzato il decreto di ammissione del finanziamento del nostro progetto. Da quel momento abbiamo ricevuto solo informazioni confuse e generiche. Viviamo ogni giorno senza avere la benché minima certezza sulle tempistiche. Puoi ben immaginare cosa significhi lavorare in queste condizioni.

Avete avuto modo, in tutto questo tempo, di poter rivendicare le vostre ragioni presso qualche figura di rilievo del Miur o del Ministero del Tesoro? O la comunicazione di questi enti si è limitata ai comunicati stampa che possiamo ritrovare sui loro siti?

Abbiamo avuto modo di parlare solo con il Miur rigorosamente per e-mail. La risposta è sempre stata la stessa “Ci stiamo lavorando”. Personalmente non ho avuto modo di parlare con qualche responsabile; altri colleghi, invece, hanno avuto questa possibilità, ma anche in quelle situazioni si sono limitati a fare rassicurazioni di pura facciata. Ci hanno detto che non ci avrebbero lasciati soli, che non ci avrebbero abbandonati. Come no…

Chi consideri in primis colpevole di questa situazione? Il Miur ha affermato di non avere la benché minima responsabilità per quello che sta accadendo.

Non è facile comprenderlo nemmeno vivendola personalmente. Siamo troppo coinvolti per capire oggettivamente di chi sia la colpa. Può sembrare un’affermazione banale, ma alla fine si ritorna sempre alle colpe del sistema in sé, piuttosto che di una sola istituzione. Nessuno vuole mai prendersi la responsabilità di quello che accade.

Teoricamente, tra l’altro, in Italia avremmo un’Agenzia deputata a promuovere la crescita digitale del Paese, ovvero l’AGID, creata dal governo Monti nel 2012. Secondo te questo ente ha le possibilità di rivestire un ruolo di primo piano per questo progetto?

In base alla mia esperienza ho scarsa fiducia nelle iniziative di innovazione provenienti dal nostro settore pubblico, dove ho denotato scarso interesse concreto nello stimolare la crescita intellettuale e tecnologica. Se mi parli dell’AGID, faccio notare che dal 2012 a oggi non ha ottenuto nessun risultato di rilievo. Si parla di una agenzia che ha ancora scoperti gran parte dei posti di lavoro, a distanza di 3 anni dalla sua fondazione. Dimmi come faccio ad essere ottimista.

Ma per voi in cosa consiste una Smart City? È possibile ricercare lo sviluppo urbano attraverso un equo investimento tra capitale umano e Ict? Se sì, come?

Quando si parla di Smart Cities si intende un ambiente urbano in grado di agire attivamente per migliorare la qualità della vita dei cittadini, soddisfacendo le loro esigenze nonché quelle di imprese e istituzioni. La Smart City è una città che risponde ai bisogni contemporanei di tutti i soggetti che la vivono, in termini di salute, educazione, amministrazione, tecnologia, mobilità, economia e ambiente. L’Ict è lo strumento più potente che abbiamo per connettere questi ambiti e per rendere, per l’appunto, “intelligenti” le strategie che noi applichiamo a questi settori. Ti faccio un esempio banale riguardo la mobilità: una Smart City promuove la mobilità dolce, come la bicicletta; l’Ict rende, per il cittadino, agevole la ricerca del mezzo di cui necessita. Con una applicazione posso richiedere un servizio, ma se il servizio non funziona, se non adottiamo un approccio globale, tutto questo è inutile.

Hai appena accennato all’importanza dell’adottare un approccio globale per poter ottenere risultati tangibili in questo ambito. Uno dei più grandi problemi del nostro apparato istituzionale è proprio la frammentazione delle competenze. Ritieni più funzionale un approccio top-down o bottom-up? Lo Stato deve accentrare su di sé le principali mansioni, o lasciare ampi margini di manovra alle amministrazioni locali?

A mio parere quando si interviene sulle città, che si parli di Smart City o meno, è opportuno avere un approccio “site-specific” per rispondere alle esigenze di ogni territorio, tenendo conto delle opportune differenze che li connotano. Parlando da architetto, la mia professione mi sta insegnando che bisogna partire dalle esigenze e poi agire di conseguenza. Quindi, le amministrazioni locali devono recepire gli impulsi che provengono dalla loro comunità, e fornire i loro resoconti agli enti superiori, che devono partire da questi input per tracciare una visione d’insieme. Quindi, tornando alla tua domanda, sarei propensa nell’affermare che bisogna partire da un approccio bottom-up, affinché i vertici possano stilare programmi effettivamente adeguati alle esigenze. Un efficace direttiva top-down, per ragioni organizzative, non può prescindere dagli impulsi dal basso.

Il Report Ambrosetti (report dedicato specificatamente alle potenzialità della Smart City, ndr) sostiene che investendo nella giusta direzione sia possibile incrementare il PIL dai 3 ai 10 punti percentuali entro il 2030. Secondo te è una stima attendibile?

Sinceramente non so rispondere a questa domanda, perché non sono sufficientemente competente in materia. Sicuramente siamo obbligati a percorrere l’innovazione se vogliamo stare al passo con i paesi più evoluti. L’Europa stessa classifica le potenzialità dei paesi in base a quanto essi investono nell’innovazione, dividendole in 4 categorie: A) Leader B) Paesi che tengono il passo C) Innovatori moderati D) Paesi in ritardo. L’Italia è attualmente stata piazzata tra i “moderati”, seguita da Romania, Lituania, Lettonia. Un dato che desta preoccupazione, e che ci dice che è l’ora di imprimere una svolta in questo senso.

Intanto a Bologna hanno avuto luogo, il 22 e il 23 ottobre, i bandi Smart Cities 2014. Secondo te anche questi progetti rischiano di finire nello stesso stato di empasse?

Non ho seguito i bandi in questione, ma in linea di massima i finanziamenti pubblici sono una tra le pochi fonti per coloro che vogliono fare ricerca, che si tratti di fondi nazionali, regionali o europei. Rispetto ad altri bandi, quello a cui ho partecipato io non richiedeva di afferire a un centro di ricerca, e per questo rappresentava una grande opportunità per i giovani che avevano il desiderio di contribuire all’innovazione.

Avete perso le speranze riguardo ai vostri progetti, o credete ancora che sia possibile salvare la situazione? Col senno di poi, consiglieresti ai giovani ricercatori di credere in questo progetto o consiglieresti di tentare altre strade?

DEVE essere possibile salvare la situazione. Purtroppo, si parla tanto di voler rilanciare l’Italia, di puntare sui giovani, sulla loro voglia di fare e sulle loro idee. Solo parole, e questa esperienza ne è lampante dimostrazione. Allo stesso tempo, anche contraddicendo quanto può trasparire dalle mie parole, ti dico che rifarei la stessa scelta, perché se smettiamo di provarci noi giovani è finita. Qualcosa ai vertici deve però necessariamente cambiare, per questo attualmente stiamo cercando di far venire alla luce questa problematica, in modo che la cosa non si ripeta.