L'emergenza migranti pone l'Europa di fronte a una grande sfida.

L’emergenza migranti in Europa

La questione relativa all’emergenza migranti ha, in questo periodo, ripreso forte centralità all’interno dei media, con una vera e propria crisi umanitaria apparentemente senza soluzione. La crescente instabilità in gran parte del Medioriente e nel Nord-Africa, zone coinvolte in sanguinose guerre civili e lotte feroci per la presa del potere, ha scatenato una fuga precipitosa di numerosi cittadini da quell’area, volenterosi di garantire un futuro migliore a sé stessi e ai propri cari.

 

I numeri di questo esodo sono impressionanti: secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) è più che raddoppiato il flusso dei migranti che hanno attraversato il Mediterraneo nel 2014. Più nel dettaglio, risulta che i richiedenti asilo siano quasi mezzo milione (432761), di cui 309356 sono arrivati via mare in Grecia, 121139 in Italia, 2166 in Spagna e 100 a Malta. Numeri che diventano ancora più rilevanti se confrontati con la situazione del 2014: i flussi migratori sono triplicati nel giro di un solo anno, soprattutto per la crescita dei rifugiati politici, di cui ne sono emblematico esempio i profughi della Siria.

 

Emergenza migranti: Ungheria

Profughi che stanno riparando in misura sempre crescente in Ungheria, divenuto il paese di transito per eccellenza per coloro che vogliono dirigersi verso la Germania o il Nord-Europa. I vertici ungheresi hanno però reagito duramente di fronte a questa situazione, predisponendo la costruzione di un muro lungo 175 kilometri e altro 4 metri per porre un freno a eventuali nuovi arrivi. Un provvedimento ritenuto necessario dal ministro degli Esteri Peter Szijjarto, atto a “proteggere i diritti dei cittadini ungheresi e di coloro che risiedono legalmente all’interno del Paese”.

 

Il piano Junker

Una decisione che va in netto contrasto con i valori della UE, che ha recentemente predisposto il piano Juncker. Esso prevede una suddivisione degli emigranti fra i vari paesi attraverso il sistema delle quote; si chiederà a Germania, Francia e Spagna di accogliere più di 70mila rifugiati per alleviare la pressione dei Paesi in prima linea nel flusso di arrivo (Italia, Francia e Ungheria), con la Francia e la Germania che si prenderanno insieme quasi la metà dei 120mila migranti che saranno poi ricollocati in base a dei criteri che lo stesso Juncker presenterà a breve di fronte al Parlamento Europeo. La Germania ne accoglierà 31mila, 24mila la Francia, la Spagna si farà carico di 14.931 persone.

 

Emergenza migranti: Germania

Proprio la Germania appare in prima linea nell’aiuto ai profughi della Siria: il governo di Berlino, per gestire il crescente afflusso dei richiedenti asilo, sbloccherà presto 6 miliardi di euro per accogliere i rifugiati politici dell’anno prossimo. La Merkel sembra quindi apparire come il primo difensore dei profughi siriani; una visione diametralmente opposta rispetto a un mese e mezzo fa, dove l’immagine della Cancelliera che fa piangere una bambina palestinese  in un dibattito televisivo aveva stupito il mondo intero.

 

 

Un cambio decisamente troppo repentino: fermo restando la disponibilità mostrata nei confronti dei rifugiati, non si può negare che dietro a questa volontà di accoglimento vi sia un deciso intento, ovvero quello di ottenere migliaia di lavoratori stranieri qualificati più facilmente integrabili rispetto ai profughi di altri Paesi (i siriani sono infatti spesso e volentieri provenienti da classi medie o elevate) così da tamponare le esigenze economiche e demografiche di lungo termine della Germania. Allo stesso tempo rappresenta una valida occasione per rinfrescare l’immagine del Paese di fronte alla comunità internazionale, allontanando le accuse di cinismo createsi in seguito alla gestione della crisi greca.

 

Ambito demografico

A proposito dell’ambito demografico, è proprio attraverso la raccolta statistica che è possibile comprendere maggiormente la diversa propensione dei Paesi ad accogliere o meno gli emigranti.

 

Tutte le misure relative all’immigrazione, favorevoli e contrarie, sono infatti prese in base alla situazione corrente e alle prospettive demografiche future (in breve, si tratta, a livello statistico, di fare un confronto fra la “popolazione stazionaria corrente” e la “struttura di riferimento”); per intendersi, dove la Popolazione in Età Lavorativa (Pel) è elevata si cercherà di sbarrare la strada agli ingressi mentre, viceversa, si cercherà di promuovere i flussi migratori laddove, in determinati settori, vi siano settori disertati o insufficientemente coperti dalla manodopera locale.

 

Proprio da questo punto di vista, possiamo affermare che gli immigrati possono essere più una risorsa che un problema; è indubbio che un non-controllo dei flussi sia deleterio, e che la legislazione in materia di diversi Paesi (Italia in primis) sia altamente deficitaria in questo senso. Ma quello di cui spesso non ci rendiamo conto è che essi possono rappresentare anche un notevole surplus per il paese di accoglienza; basterebbe dare una occhiata ai dati offertoci dai principali laboratori di statistica per comprendere che gli immigrati sono infatti perlopiù giovani in età lavorativa, e incoraggiare la loro assimilazione nel nostro sistema produttivo apparirebbe quindi la scelta più lungimirante.

 

La Germania questo l’ha capito. Gli immigrati, contrariamente a quanto si dice, “non hanno né aumentato il tasso di disoccupazione, né abbassato il livello medio dei salari”, ma anzi contribuiscono in modo importante al PIL dei singoli Paesi.

 

Rifugiati

 

 

Si pensi all’Italia. Gli immigrati rappresentano il 12% del nostro PIL, fermo restando il loro scarso contributo a livello di entrate fiscali (solo il 3%); segno che il problema non è tanto dato dalla emigrazione in sé, ma dalla gestione e dalla regolamentazione del lavoro sommerso, che riguarda principalmente i datori di lavoro.

 

Alla stessa maniera, i dati ci mostrano inequivocabilmente che l’immigrato presente in Italia non è tanto colui che viene qui per delinquere, che non paga i contributi e che “ci ruba il lavoro”; la stragrande maggioranza dei clandestini è, in realtà, composta da «overstayers», cioè da persone che entrano legalmente (con un visto turistico, generalmente) e poi prolungano il loro soggiorno oltre i termini di legge, confidando in una regolarizzazione futura.

 

Quindi, anche in quest’altro caso, il problema è causato da una inefficienza della nostra regolamentazione; l’Italia è semplicemente ancora ferma su una visione regredita e semplicistica del fenomeno in questione e non riesce, ancora, a trarne concreti vantaggi, colpa anche di una legislazione inefficiente che permette il perpetuarsi di una immigrazione poco qualificata e più difficile da integrare nel nostro tessuto sociale.

 

Uno stato che sembra averlo capito è la Gran Bretagna. Il grafico presentato di seguito mostra il contributo dato dai migranti presenti nel Paese, che supera di gran lunga i soldi elargiti dal welfare britannico a loro favore. Merito di un sistema capace di inserire efficacemente i nuovi arrivati nel proprio sistema produttivo (specialmente il terziario), e di attirare molti giovani “estremamente qualificati”, con ovvio alleggerimento della bilancia statale in termini di sussidi.

 

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Analizzando questi dati, e prendendo come spunto il caso italiano, l’opinione che mi sono fatto è che il problema non sia l’immigrazione in sé, ma risiede nella capacità o meno del paese di accoglienza di gestire il fenomeno. È chiaro che rimanendo impassibili o prendendo provvedimenti non adeguati si possa creare un contesto problematico; l’integrazione con la società autoctona e col contesto sociale più in generale è parte fondamentale di qualsiasi piano atto a considerare l’immigrazione come risorsa, ma non sempre questo è attuato nella maniera più idonea.

 

Una soluzione alla crisi

Una soluzione? Fissare ogni anno, per ogni Paese appartenente alla UE, la quota di immigrati di cui la base produttiva ha bisogno perché non sostenuta dall’offerta lavoro locale. I clandestini verrebbero così gestiti in base a questa mappatura, con i singoli Stati che dovrebbero ricevere contributi ad hoc da parte della UE stessa. A mio avviso potrebbe essere una valida opzione per cominciare a sbrogliare finalmente la matassa e porre una risposta efficace alle crescenti sfide a cui dobbiamo far fronte a causa della globalizzazione.

 

Perché spesso e volentieri non è l’immigrazione il problema ma l’incapacità di chi sta ai vertici di avere una visione che guarda più lontano.