Emergenza Migranti: l'Europa si è fatta cogliere impreparata dalla attuale crisi umanitaria e sembra continuare a prendere tempo.

Sono entrato in contatto con l’emergenza migranti in maniera estemporanea, quasi senza volerlo. L’aria tagliente del primo mattino mi aveva completamente risvegliato al mio arrivo alla stazione centrale di Belgrado e la vista del grigiore tipico di un tale ambiente, accostato al disagio altrettanto tipico del contesto urbano, ridestò la mia abituale curiosità.

 

Ancor più curiosa fu la presenza di alcune tende da campeggio piantate nel parco antistante. “Che si tratti dell’ennesima iniziativa di occupazione illecita destinata alla sensibilizzazione della cittadinanza?”, mi chiesi d’istinto. Ma il mio interesse cedette sotto il peso dello zaino e della stanchezza del viaggio notturno e mi diressi istantaneamente all’alloggio poco distante. Era il 22 Agosto scorso.

 

Due giorni dopo ripercorsi lo stesso parco e notai con stupore che le tende si erano moltiplicate e un gran numero di persone giaceva in stato catatonico aspettando qualcosa. Interrogai al riguardo un fotografo del posto che mi rispose in maniera quasi scontata: “si tratta di rifugiati siriani giunti dalla Macedonia”, prima di riprendere meccanicamente la sua occupazione. Rifugiati. Etimologicamente questa parola appare contraddittoria. Non si direbbe che queste persone abbiano trovato un rifugio stabile, sembrano piuttosto alla ricerca di qualcosa e come appresi qualche ora dopo alla gremita stazione Keleti di Budapest quel rifugio si chiamava “Unione Europea”.

 

Come le autorità ungheresi hanno risposto all’emergenza umanitaria è chiaro perfino ai cittadini europei più distratti. Da giorni ci troviamo sotto il fuoco mediatico delle testate di tutto il mondo e le immagini di persone costrette a divincolarsi fra il filo spinato o a sfuggire ai pattugliamenti della polizia non stupiscono più nessuno. Scene toccanti che non inteneriscono i cuori più duri di coloro che nel gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) rifiutano il piano Juncker, ovvero la maggioranza della popolazione e i suoi rappresentanti.

 

L’Unione, che non pare perdere alcuna occasione per rimettersi in questione, si mostra ancora una volta all’altezza della sua fama e le coalizioni si fratturano su un problema della massima urgenza, tanto più che i flussi si intensificano anziché estinguersi. Esistono dunque tante posizioni quante sono le aree geografiche del continente: a Sud, in armonia con la secolare attitudine racchiusa nella formula “si stava meglio quando si stava peggio”, si ripete che l’operazione “Mare Nostrum” era ben più efficace e che i centri di accoglienza sono al collasso; a Est il concetto di “quote di ripartizione” provoca la nausea; al Centro alcuni dei paesi più ambiti, come Francia e Germania, iniziano a fare i conti col problema e ad intensificare i controlli alle frontiere; e a Nord c’è chi ha addirittura sospeso il traffico ferroviario in provenienza dal confine tedesco come hanno fatto i virtuosissimi danesi.

 

Ugualmente interessanti sono anche certe dichiarazioni dei partner d’oltreoceano: l’amministrazione Obama ha parlato di impegnarsi in prima linea per la gestione della crisi umanitaria secondo la consuetudine che vuole gli USA primus inter pares in caso di necessità. Si è parlato di accogliere 100mila profughi, poi 30mila ed infine 10mila. Un’asta al ribasso che stona con la responsabilità storica degli Stati Uniti.

 

La partenza improvvisa di un ingente numero di siriani dipende dal deterioramento delle condizioni di vita nei paesi limitrofi, dove a milioni erano stati accolti, dovuto anche all’espansione dello Stato Islamico di al-Baghdadi. Molti di loro non sfuggono solo al regime di Bashar al-Assad ma anche ad una conseguenza della fallimentare guerra in Iraq. In ogni caso la posizione geografica pone noi in prima linea e non ci conviene attendere l’iniziativa dello Zio Sam e i suoi discutibili piani d’azione.

 

Ad oggi i vertici europei esitano ed ogni decisione importante è presa di norma dalla leadership nazionale. Eccezion fatta per le iniziative bottom up di cittadini consci dell’importanza di un piccolo aiuto per chi si è trascinato per migliaia di chilometri con ciò che gli resta della propria esistenza o della propria famiglia.

 

Lo scorso 6 settembre mi sono recato personalmente al campo dei rifugiati allestito da alcuni volontari a fianco della stazione Nord di Bruxelles. Non si tratta di un luogo designato dalle autorità ma di uno spazio dove rifugiati e migranti stanziano in attesa di poter ricevere i documenti necessari alla permanenza. E là alcune associazioni, ONG e altri volontari li hanno raggiunti per fornire assistenza, cibo e primo soccorso.

 

Penso che quel giorno il numero di volontari presenti abbia quasi eguagliato quello degli assistiti. Su tutto il sito erano presenti stand di ogni genere e all’ingresso campeggiava la scritta “niente più vestiti, grazie”.

 

Senza dubbio la risposta della società civile belga a un tale problema ne ha commossi più d’uno…E indignato altrettanti.

 

Dal punto di vista microsociologico lo slancio di solidarietà in questione crea delle sub categorie fra gli stessi migranti; in altre parole se il rifugiato ha diritto a installarsi in virtù delle indicibili sofferenze che il regime gli ha inflitto, il migrante in provenienza da un’altra regione che spera di poter migliorare le sue condizioni di vita non gode delle stesse agevolazioni. Inoltre le persone senza fissa dimora potranno anche vivere in paesi prosperi ma provano la stessa miseria sulla loro pelle da tempo immemore e nessuno se ne cura.

 

Non è dunque un caso se fra essi ed i nuovi accorsi non sono mancate dispute per la fruizione delle risorse messe a disposizione. Coordinare questo tipo di iniziative non è semplice ed ogni sforzo è apprezzabile purché non sia mosso da uno slancio ipocrita ed effimero. L’assemblea dei volontari di Bruxelles ha lanciato varie iniziative in vista della costituzione di una rete di solidarietà internazionale–spero che l’autogestione continui senza incidenti e che l’organizzazione dei cittadini mostri qualcosa a chi sta facendo prova di incompetenza da mesi, se non anni.

 

L’accoglienza dei rifugiati costituisce comunque la prima fase di un progetto più ampio di contenimento della crisi siriana che ha destabilizzato ulteriormente il Medio Oriente. Le ripercussioni ormai toccano anche la Turchia causando la recrudescenza del conflitto tra stato e minoranze kurde. E non ci si lasci trarre in inganno, sono i kurdi che da sempre monitorano e si impegnano contro il terrorismo fondamentalista alle frontiere mentre le autorità di Ankara approfittano del pretesto per intensificare i controlli nella regione spingendo lo status quo al parossismo.

 

Chiusa questa breve parentesi vorrei soffermarmi sul “Piano approvato dai capi della difesa europea per l’intervento militare contro le navi dei rifugiati in Libia e nel Mediterraneo”. Questa operazione, divulgata da Wikileaks e smentita dai ministri dell’Unione, prevedrebbe una serie di raid volti alla detronizzazione delle cellule di trafficanti di uomini localizzate in Libia cui corrisponde come corollario la violazione della sovranità nazionale.

 

Oltre al costo immanente di una tale iniziativa ci sarebbero molteplici conseguenze di ordine diplomatico da tenere in considerazione. Alla fine dei conti, non sarebbe più semplice e meno oneroso gestire in modo oculato l’affluenza di qualche decina di migliaia di migranti con politiche più efficaci?

 

In linea di principio la risposta al quesito sarebbe affermativa.

 

Tuttavia fino a quando il modus operandi dell’esecutivo dell’UE resterà una versione moderna di quello di Quinto Fabio Massimo detto il “Temporeggiatore”, l’efficienza dell’iniziativa politica resterà relegata al dominio dell’austerity.