Lavagne LIM, registri digitali, internet, Whatsapp. Come è cambiata la scuola oggi.

A guardarlo con distacco, sembrava un pranzo domenicale come tanti: la tavola imbandita, i miei cugini che mi guardano a fatica in attesa di consegnare i loro umori alla partita di campionato delle 15, mia nonna che brucia le patate arrosto, mio zio che discute sull’incidenza della pioggia nella nascita dei funghi, io che mi rintano nell’angolo destro della lunga tavolata patriarcale, pronto a raccogliere in parole l’eredità muta di mio padre, e lascio che le conversazioni sgocciolino via sul binario antico delle inutili rese dei conti familiari.

 

 

Una domenica tranquilla, di quelle in cui stai ancora cercando un senso al tuo sabato notte ultra percettivo e ti domandi se mai, tua zia, smetterà di chiederti perché ti sei lasciato con quella bella ragazza che “era così buona e ti amava così tanto”. Una domenica commensale di quelle che vorresti essere nato negli Stati Uniti, dove è già tanto se vedi la tua famiglia per natale… ma poi ti accorgi che nessuno dei tuoi cugini adolescenti ha ereditato lo spirito commensale del primo cattolicesimo, e ti ritrovi da solo, fra una zucchina ripiena e un coniglio al forno, a discutere di didattica contemporanea con tua nonna, moglie di un sindacalista regionale del secolo in cui i sindacati avevano un senso, a chiederti se la scuola abbia un senso. È allora, fra una patata al forno e una nostalgia di Berlinguer, che tua nonna spezza le ali del pollo, si rivolge al tuo cuginetto adolescente ricurvo sul cellulare, e se ne esce con una domanda non banale:

 

 

“Bambini” – perché saremo sempre bambini ai suoi occhi – “ma al giorno d’oggi fate anche i compiti sul cellulare?”

 

Che poi mia nonna è una grande. Quando, negli anni 50/60, la didattica era improntata ad un approccio verticale insegnante-alunno, trasmissivo e contenutistico, lei insegnava ai suoi bambini a produrre il gelato, dal basso, per condivisione. Nell’epoca del materialismo didattico industriale, lei esortava i suoi bimbi ad esplorare e diversificare le esperienze. Bellissimo, rivoluzionario, contemporaneo. Non piacque a nessuno. I genitori si ribellarono, i loro figli dovevano imparare l’arte del far di conto e dell’ottimizzare, la prospettiva di un figlio gelataio non scaldava gli animi di nessuno. Ma mia nonna non si arrese, continuò a portare avanti le sue idee inclusive, e poi andò in pensione a 50 anni, perché intuiva che erano cambiati i modi di comunicare, e lei non ne conosceva più i linguaggi. Quella sua domanda, nata come una provocazione, mi ricordò che erano passati ormai dieci anni dall’ultima volta in cui ero entrato in una classe come studente e che, probabilmente, erano cambiate un sacco di cose.

 

 

Gli smartphone, internet a portata di mano, le continue innovazioni tecnologiche, avevano cambiato qualcosa nel modo di stare e fare scuola? In preda a questi rovelli domenicali, pensai che sarebbe stato bello, per una volta, sottrarre mio cugino diciasettenne alla sua isola digitale e provare a parlare. Ne è nata l’intervista che segue.

 

 

Io: Cugino, quali sono i metodi più diffusi per copiare al giorno d’oggi? (ai miei tempi, bigliettini nascosti ai sette angoli del globo)

C: Bigliettini o indicazioni scritte sul banco, rari casi di scritte sugli arti.

 

scuola oggi

 

Io: E il cellulare non viene utilizzato per queste cose? (ai miei tempi, il cellulare poteva mandare SMS o MMS, ma quest’ultimi erano oggetti mitici e misteriosi, generalmente fastidiosi e considerati “roba da ricchi”)

C: Anche, dipende dalle situazioni, a volte si cerca qualcosa su internet, dipende.

 

Io: Utilizzate ancora i dizionari cartacei? (ai miei tempi, una discreta ancora di salvezza, indecentemente abusato, ho passato interi compiti in classe abbracciato al dizionario di latino)

C: Sì, Latino e Greco, Italiano per il tema.

Io: Usate mai gli smartphone per lo stesso motivo?

C: No, il computer di classe ogni tanto viene utilizzato, i telefoni no. Poi per le versioni di latino dobbiamo usare quello cartaceo, il Prof preferisce farci usare quello… poi su internet non esistono dizionari paragonabili a quelli cartacei per qualità.

 

Io: In classe, riuscite a concentrarvi per tutta la lezione o vi distraete al cellulare?

C: Spesso c’è chi ascolta venti minuti e poi inizia a guardare il telefono sotto il banco.

 

Io: Quindi internet viene utilizzato durante la lezione…

C: Sì, abbastanza, internet, Whatsapp, le applicazioni…

Io: E la lavagna LIM viene sfruttata? (la lavagna LIM è una lavagna digitale che permette l’accesso diretto ai contenuti multimediali, ai miei tempi, era una festa se in classe c’erano i gessetti colorati)

C: Diciamo di si, anche se dipende dalla materia – alcune volte però i professori devono farsi aiutare dagli alunni…

 

Io: Mentre il computer di classe invece? (I miei professori non si sono mai avvicinati al computer di classe, arrivato verso i miei ultimi anni di scuola e utilizzato solo per sanguinosi tornei di Puzzle Bubble)

C: Uguale, dipende dal Prof, in genere sì ma su certe cose più difficili ci chiedono una mano.

 

scuola oggi

 

Io: Hai la sensazione che i tuoi professori siano vecchi, che ci sia una distanza comunicativa?

C: No, fortunatamente no, anche se penso dipenda dall’età abbastanza bassa dei miei professori (fino ai 50, ndr), in certe classi non penso la situazione sia la stessa.

 

Io: Di quali strumenti tecnologici è dotata la tua classe?

C: LIM, computer.

Io: Credi che siano sufficienti o pensi che ci sarebbe bisogno di maggiori dotazioni?

C: Per me sono sufficienti.

Io: Il registro digitale rende più difficile marinare la scuola? (Il registro digitale è la copia, digitale, appunto, del registro di classe, dove il professore annota assenze, attività didattiche e avvenimenti significativi e a cui alunni, professori e famiglie hanno accesso. Ai miei tempi, il registro era un oggetto potente nelle mani del professore, da cui non poteva venire fuori niente di buono e che spesso veniva rubato per scherzo o come extrema ratio)

C: Da noi al classico la gente è difficile che lo faccia, però non credo che il registro elettronico cambi qualcosa… poi dipende, per esempio i miei genitori non sono mai entrati nel registro, entro solo io…

 

Io: Quindi i registri non sono utilizzati?

C: Sì sì, in genere dalle famiglie più “diligenti”.

Io: E i professori lo usano?

D: Sì, anche se spesso ci perdono tempo perché a volte non troppo intuitivi, ma penso che poi la cosa migliorerà…

Io: E senti, Whatsapp viene utilizzato? Penso agli usi possibili dei gruppi… (ai miei tempi, era tanto se riuscivamo ad organizzare un gruppo per una ricerca di geografia).

D: Si, i gruppi sono di vitale importanza per me. Abbiamo il gruppo di classe, dal quale però i prof sono esclusi, e lo usiamo per chiedere i compiti per casa, organizzare i calendari delle interrogazioni, discutere delle questioni di scuola, condivisione appunti, insomma tutti i dubbi sulla scuola.

 

Io: Avete un Wi-Fi a disposizione di tutti?

C: Il Wi-Fi è solo per gli insegnati.

 

Io: Ultima domanda, in cosa pensi che la scuola dovrebbe migliorare?

 

 

L’intervista finisce con questa domanda lasciata a metà, quasi profeticamente. Suona il telefono e mio cugino esce fuori per parlare, non lo rivedrò fino alla fine dell’estate, e comunque un’idea me l’ero più o meno fatta, potevo tornare nel mio angolo di tavolo e ricapitolare le sue parole, mettendole a confronto con la mia esperienza.

 

 

 

  • Contro ogni pronostico, in certi generi di scuola il cartaceo si conferma ancora il supporto più utilizzato per l’apprendimento, vuoi perché offre uno spazio di lavoro “tangibile”, vuoi perché alcuni professori “esperti” oppongono ancora resistenza alle nuove soluzioni (anche in virtù di un apparato scolastico non ancora del tutto al passo coi tempi. Impossibile studiare soluzioni multimediali se per ogni classe c’è un solo computer e una lavagna LIM ogni due. Dotare di un tablet ogni alunno potrebbe aiutare, ma gli investimenti, in genere, sono sempre rivolti verso settori sociali considerati più “produttivi”, per quanto non esista investimento più produttivo di una scuola ben fatta, nelle moderne democrazie).

 

  • Anche se gli anni passano, bigliettini e Uniposca sembrano essere ancora oggi gli strumenti più comodi per copiare, ma è chiaro che la tendenza possa cambiare a seconda delle esigenze scolastiche. Di certo, è strano che non venga fatto un uso massiccio di internet via Smartphone, credo che la mia generazione, se avesse potuto, ne avrebbe abusato oltre i limiti della legalità.

 

 

  • Esiste uno squilibrio spaventoso fra le competenze digitali dei “nativi” e quelle dei professionisti che sono chiamati ad “istruirli”, quest’anno le scuole superiori italiane accolgono la generazione dei nati nel 2002, la prima che non ha mai conosciuto la lira, una delle tante che è cresciuta e sta crescendo col Wi-Fi a casa e l’internet a portata di Smartphone. Il gap generazionale è sempre esistito ed esisterà sempre, e per questo esisteranno sempre dei vuoti comunicativi fra una generazione e l’altra; nel mio caso questa distanza si percepiva ed era acuita sicuramente dall’età poco verde dei miei professori, ma la distanza rimaneva sul piano delle diverse percezioni della vita, su un diverso inquadramento mentale dovuto alla lontananza linguistica fra i rispettivi registri lessicali e, conseguentemente, filosofici. Nel caso dei nativi digitali e dei loro istruttori, la distanza si è estesa al piano delle competenze. Questi ragazzi sono immersi in un mondo di iperstimoli, instant messaging e tecnologie in continuo divenire. Wi-Fi, Internet, Whatsapp, Condivisione, Social Network, sono solo alcune delle numerose parole del loro nuovo paradigma sociale. Come può un professore che sa a malapena utilizzare un browser di navigazione riuscire a tenere il passo e, conseguentemente, l’attenzione, di questo esercito di “nerd” fuori controllo senza essere messo nelle giuste condizioni?

 

scuola oggi

 

  • C’è una risposta che mi ha colpito, il Wi-Fi è riservato solo ai professori. Credo che buona parte del problema sia racchiuso in questo paradosso. Ai nativi digitali è impedito l’accesso al Wi-Fi e alle maggiori strutture, mentre i “dinosauri” possono accedere ma non le sanno sfruttare fino in fondo. Il vuoto comunicativo si capisce anche da queste cose. La scuola italiana, così come buona parte della società, sta vivendo una fase di passaggio, il suo linguaggio è ancora abbastanza confuso. La rivoluzione tecnologica, avviata negli anni ottanta con l’avvento di internet e che vive oggi uno dei suoi momenti di massima spinta, ha trovato impreparata gran parte della società italiana. Ma, se per certi settori questo problema può lasciare margini di attesa, nella scuola, che è un organismo vivo ed è sempre il primo ad essere investito dalle rivoluzioni sociali, questa ondata di innovazione ha compromesso, nel lungo periodo, il rapporto alunno-insegnante. Per certi versi, potrebbe anche essere letta come una cosa positiva, un passo verso quell’idea di scuola inclusiva, vista come un organismo le cui parti (professori, alunni, famiglie) cooperano alla costruzione delle competenze in un’ottica di condivisione. Ma, se gli strumenti non sono aggiornati, questo effetto si annulla e il superato rapporto di verticalità insegnante-alunno è recuperato e invertito in una trasmissione dei saperi da alunno a insegnante che non fa crescere l’organismo nel suo insieme e che quindi, per riflesso, lascia la società in un limbo confuso di rapporti di forza incostanti.