Come sono solito fare, ogni sera mi metto davanti al computer e alla televisione per informarmi sulle novità riguardanti il panorama nazionale ed internazionale. Mai come in questo periodo ho avuto la netta sensazione che il mondo intorno a me sia ormai una grande polveriera; non passa giorno che sui media a farla da padrone non siano le situazioni del Medio Oriente, del terrorismo islamico o la disputa che attualmente è in corso tra i filo-russi e i filo-ucraini nell’Europa dell’Est. Si ha il timore che questo possa essere il preludio per una futura Terza Guerra Mondiale, ma ha probabilmente ragione Gunter Grass quando afferma che “ultimamente si parla molto del pericolo di una III Guerra Mondiale. A volte mi domando se non è iniziata già da tempo”.

La situazione attuale non è però una guerra in senso classico; non parliamo (per ora) di un conflitto armato su scala globale, ma di una situazione di crisi che investe vari ambiti della nostra vita quotidiana. Una crisi iniziata con l’11 settembre 2001 e i cui effetti si stanno ora manifestando in tutto il loro vigore. Una epoca, quella contemporanea, che vede l’Isis avanzare in maniera inesorabile fino alla Libia, facendoci capire come il terrorismo sia ormai arrivato a due passi da casa nostra. Un fenomeno allo stesso tempo a noi vicino e lontano, come ci ha mostrato il massacro di Boko Haram; 2000 vittime, 16 villaggi rasi al suolo, nel silenzio quasi assordante dei media occidentali evidentemente troppo impegnati nel raccontarci quali sono le ultime tendenze in fatto di vestiario. Ma il terrorismo, seppur stia giocando un ruolo cruciale nella percezione di questo clima di guerra, non è l’unico fattore in gioco; il conflitto riguarda anche il settore economico, con i paesi emergenti che stanno trovando sempre più difficoltà a sostenere il continuo crollo del petrolio e la continua rivalutazione del dollaro. Emblematici in tal senso sono i negozi vuoti in Venezuela, il crollo delle valute dei paesi vicini alla Russia, la grave situazione economica giapponese e il rallentamento della Cina. Una crisi finanziaria che è particolarmente acuta nell’Europa Meridionale, con paesi come la Grecia vittime di classi dirigenti incapaci di attuare politiche sostenibili e di una Unione Europea che non ne vuole sapere di rendere meno stringenti i vincoli di bilancio, unica mossa possibile per poter rilanciare concretamente l’economia di queste nazioni.

Il conflitto attuale è quindi definibile come “multidimensionale”. Sicuramente, in tutto questo, l’attentato di Parigi ha rappresentato la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso; l’intolleranza verso i musulmani ha raggiunto i massimi storici, tanto che in Germania abbiamo assistito alla creazione del PEGIDA, un movimento che ha già superato i 40000 iscritti e che si oppone fermamente alla islamizzazione dell’Europa. Un clima di crescente tensione che, senza le dovute attenzioni, ha insito il rischio di una deriva in un conflitto armato. Scenario che si potrebbe presentare prima di quanto possiamo pensare se non si troverà una risoluzione positiva alla guerra attualmente in corso in Crimea. Questione che mette in gioco il predominio economico della Russia sugli Usa, e viceversa, ricordando, per certi versi, il lungo periodo antecedente al crollo del Muro. Sono proprio ragioni di natura economica la causa del diverbio: l’Ucraina è una nazione che ha uno sbocco sul Mar Nero che apre alla Siria, il porto di Sebastopoli. Sostanzialmente se dovesse crollare quella roccaforte, gli Usa riuscirebbero ad indebolire notevolmente il potere navale russo, date le scontate ingerenze nei traffici marittimi. Obama vuole quindi depotenziare la Russia, la quale controlla il mercato nel Mediterraneo a scapito delle potenze arabe che con gli Usa, si sa, hanno un ottimo rapporto. È quindi interesse degli Usa che l’Ucraina entri nella Unione Europea; opzione che la Russia scarta per principio dato che questo comporterebbe lo schieramento di missili Nato al confine con le regioni di Kaluga, Belgorod, Brjansk, Rostov e Orel.

La prospettiva non è quindi delle più confortanti, soprattutto perché tale situazione, come ho sottolineato nella prima parte dell’articolo, è alimentata da una congiuntura economica negativa che sembra non conoscere fine e dalla crescente inquietudine della popolazione mondiale di fronte alla diffusione del terrorismo islamico. Diventerà determinante, al fine di scongiurare un conflitto armato a livello mondiale, trovare un punto di accordo tra Usa e Russia relativamente al riconoscimento della legittimità del referendum per l’autodeterminazione della Crimea e la possibile adesione alla Federazione Russa. Vicenda nella quale il punto di vista dei paesi occidentali e di Mosca divergono completamente. La Russia si rifà al precedente del Kosovo, quando l’Occidente ne riconobbe l’indipendenza e il diritto degli albanesi all’autodeterminazione. Cosa che le diplomazie occidentali si sono guardate bene dal fare dopo il referendum con il quale gli abitanti della Crimea hanno espresso la loro volontà. Abbiamo, in pratica, a che fare con una diversa interpretazione delle norme del diritto internazionale, fatto questo che in prospettiva mette in discussione la loro stessa esistenza.

Occorre quindi rendersi conto che questo clima può portare a uno sbocco indesiderato (il conflitto armato) dalle tragiche conseguenze e che tale esito è tutt’altro che impossibile; d’altronde non sembrava impossibile anche un attentato diretto contro gli Usa prima di quel fatidico 11 settembre? Non prendere la situazione sottogamba è quindi la prima misura da approntare, sedendosi ad un tavolo e trovando un punto d’incontro al più presto per evitare di scrivere altre pagine di storia di cui volentieri faremmo a meno.