L’articolo 18 e il Jobs Act sono al centro del dibattito politico in questi giorni, ve li spieghiamo come si spiegherebbero a un figlio.

Forse il suo è un cattivo rapporto con la porta. Forse il suo è un cattivo rapporto con la forza.

Tutte le volte che fa il suo ingresso in casa, il suo saluto si consta nell’imprimere una forza almeno quattro volte superiore a quella che servirebbe per chiudere quella maledettissima porta.

Nessun saluto. Solo il boato. 

Ed io, come un soccorritore dopo una calamità, lo vado a cercare in giro per la casa. In genere lo trovo stravaccato sul letto con delle cuffie enormi alle orecchie mentre sfoglia una rivista per gente stravaccata come lui.

Ieri, ad esempio, mi sono avvicinato e, spostandogli le cuffie, gli ho detto: “Così ti farai venire un acufene”.

Lui con tono deciso mi ha risposto: “A Pa’, l’acufene ti verrà a te!”.

Poi con naturalezza ha enunciato: “Pa’, a proposito, sabato sono andato in Piazza, invece che a scuola, a fare lo sciopero generale”.

Io: “Quindi, sei andato in Piazza a fare lo sciopero generale? Credo che sarai stato l’unico”.

Lui: “Maddeché, c’erano un milione di persone”.

Io: “Si ok, ma non per lo sciopero generale”. 

Lui: “E no, vedrai”.

Io: “No! Sono andati, e non tutti, per protestare contro il Jobs Act?”

Lui: “E che è? Sembra uno starnuto”.

“Ma in quale Piazza era stato?”, mi chiesi mentre valutavo se picchiarlo. Mi resi conto tuttavia che un calcio a questa apertura al dialogo sarebbe stata una scelta impulsiva. Ho sorriso, poiché non aveva tutti i torti. Ma come facevo a spiegargli cosa fosse? Dovevo provare. Un’occasione del genere non la dovevo sprecare. Non mi lasciò il tempo di riflettere che esordì: “A Pa’ ma che c’hai, una paralisi?”

In un certo senso ce l’avevo.

Io: “No, semplicemente riflettevo… Il Jobs Act è una riforma del lavoro”.

Lui: “Si bravo, quello con cui vogliono cancellare l’articolo 18”.

Io: “Non solo, ci sono diverse cose dentro, ma diciamo che questo è l’elemento scatenante. Mi fa piacere che conosci l’articolo 18”.

Lui: “A Pa’ tutti lo conoscono: grazie a quello, nelle aziende con più di quindici dipendenti non ti possono licenziare”.

Io: ”Magari, non è proprio così. Ad esempio nella mia azienda non si applica perché come sai lavoro in un sindacato. Anche per le imprese che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione, di religione e di culto l’articolo 18 non vale”.

Lui: ”Cioè ai sindacati non si applica e loro per gli altri non lo vogliono cancellare, perché?

Io: ”Non ho tutte le risposte, comunque se mi fai finire avrai un quadro più chiaro”.

Lui: ”Pa’ tra 10 minuti mi viene a prendere Sergio”.

Io: “Cerco di essere veloce…”. Prendo fiato e via: “L’articolo 18, imponeva alle aziende con più di quindici dipendenti di reintegrare quelli licenziati senza giusta causa o senza giustificato motivo. Più o meno funzionava così: supponi che per vivere in questa casa tu debba sottostare a due principi. Il primo consiste nel rispettare tutto un insieme di regole, come ad esempio rifarti il letto o aiutare in casa. Il secondo fa riferimento alla situazione economica: se ci sono i soldi rimani, altrimenti te ne vai”.

Lui: “Te piacerebbe”.

Io: “Si, molto… Comunque, riprendendo il discorso, se viene meno uno o l’altro principio tu sei fuori”.

Lui: ”Si me l’hai già detto”.

Io: “Perfetto. Allora l’articolo 18 entra in ballo proprio qui, se dimostri, attraverso un giudice, di non aver violato alcuna regola oppure se dimostri che di soldi ce ne sono, allora rientri in casa e io volente o nolente ti devo riprendere e ti devo dare inoltre tutte le paghette che non ti ho dato dal momento che ti ho messo alla porta”.

Lui: “Giusto! Quindi tornando all’articolo 18 le imprese lo vorrebbero eliminare per poter licenziare a loro piacimento”.

Io: “Si, senza dubbio, anche perché negl’anni le distorsioni che si potevano innescare applicando l’articolo 18 sono state corrette”.

Lui: “Cioè?”

Io: “Me lo stai chiedendo davvero?”

Lui: “Boo, a volte mi sembri strano Pa’, se non ti ascolto ti lamenti e quando ti ascolto boo… mi verrebbe quasi voglia di non saperlo”.

Io: “No è che non mi sembra vero. Dove eravamo rimasti?”.

Lui: “Alle distorsioni”.

Io: “Già. Il vero dramma per le imprese in realtà non era tanto l’articolo 18 ma la possibilità che aveva il lavoratore di far valere suoi diritti entro 5 anni, lasciando l’impresa nel dubbio di un eventuale sentenza di reintegra che sarebbe potuta arrivare anche dopo otto anni dal licenziamento; con il rischio di dover concedere la retribuzione che fino alla sentenza non aveva corrisposto. Pensa a quante paghette arretrate ti avrei dovuto corrispondere? Be’, dal 2010 il termine è di 270 giorni per fare ciò. Senza considerare poi la riforma Fornero ancora in vigore, forse per poco, che stabilisce il canale diretto della reintegra per i soli licenziamenti discriminatori e per le altre tipologie di licenziamento un’alternanza tra pene risarcitorie e reintegra”.

Lui: “Quindi mi stai dicendo che l’articolo 18 è stato ritoccato e che sostanzialmente rimane la reintegra solo per i casi in cui realmente il datore di lavoro ha licenziato, ad esempio per antipatia più che per ragioni economiche o disciplinari?”

Io: “Si, è l’unico motivo per cui capisco la Piazza. Le imprese hanno tutti gli strumenti per licenziare se la motivazione è concreta, la reintegra resta oggi solo se le cause che hanno determinato quel licenziamento sono prive di consistenza”.

Lui: “Quindi il governo vuole fare contente le imprese?”

Io: “Si, ma non solo. Anche l’Europa che da sempre lo ha visto come una nostra anomalia. Si vuole eliminare l’ultimo muro ai licenziamenti liberi. Attento però perché la reintegra per i licenziamenti discriminatori rimarrebbe comunque”.

Lui: “Ho capito ma scontenta tutti i lavoratori”.

Io: “Si tutti i lavoratori ai quali si applica, che sono circa il 50% degli occupati in Italia”.

Lui: “E allora come pensa di avere forza a sufficienza?”.

Io: “È subdolo, lo propina come un Jobs Act, e già questo te la dovrebbe dire lunga. Perché non chiamarla Legge sul lavoro? Lo fa passare come l’ostacolo alla crescita e via dicendo. In più, essendo questo governo espressione di una volontà parlamentare forse lontana da quella espressa dal popolo attraverso il voto, non può fare a meno di cercare la coesione con il maggior numero di parlamentari e senatori e, su questo punto, con le altre correnti politiche sfonda una porta aperta”.

Lui: “Però sta facendo contenti i sindacati, erano spariti, adesso invece tutti hanno in bocca ‘sta CGIL”.

Io: “In un certo senso gli ha dato un motivo per ritrovare un po’ di coesione che in abbondanza avevano in tempi non troppo lontani”.

Lasciandolo nella posizione orizzontale assunta durante questa inedita conversazione mi allontanai per andare a prendere il codice civile. Tornato nella sua stanza, con il codice civile in mano, mi squadrò e poi sentenziò: “Vabbè ho capito. Mi hai chiarito tutto, grazie”. Si alzò dal letto, mi diede una bella pacca sulla spalla alla quale, dopo pochi istanti, seguì il boato. Segnale che era uscito e che la conversazione era finita.