Il progresso tecnico nel campo della robotica fa pensare che presto molte mansioni saranno svolte da automi, robot. Quanto di vero c'è in uno scenario dai sapori così distopici?

Oscurare il cielo non ci salverà, oppure non sarà nemmeno necessario. Morpheus, uno dei migliori personaggi guida mai concepiti dall’uomo, nel primo capitolo di The Matrix spiega a Neo come quel mondo sia arrivato a quel punto. Racconta che furono gli uomini ad oscurare il cielo, appunto, per evitare che le macchine (o robot se preferite) continuassero a crescere e che il loro dominio si allargasse ulteriormente. Il resto della storia sta tutto nel lato ironico del destino: se ci togliete il sole, noi vi prendiamo il sangue.

 

Allontaniamoci – ma non troppo – dalla logica del robot grande che mangia, letteralmente, il piccolo uomo per addentrarci nell’allusione metaforica di questo banchetto. Nel 2011 il supercomputer dell’Ibm Watson ha stracciato a Jeopardy! (un game show statunitense che consiste in una gara di cultura generale tra i vari concorrenti) i due più capaci concorrenti della trasmissione fino a quel momento. Uno dei due disse: “Partecipare al quiz sarà il primo lavoro che Watson toglierà agli esseri umani, ma sono sicuro che non sarà l’ultimo”.

 

 L’apprendimento automatico

L’apprendimento automatico e la legge di Moore ci dicono che le mansioni ripetitive, stancanti e che non hanno bisogno di uno sforzo cognitivo complesso saranno presto attività svolte da robot, ma non solo quelle. Pensiamo a Google Translate: non sono certo stati centinaia di specialisti sottopagati copiando liste infinite di vocaboli sui circuiti del software a far sì che nel giro di meno di dieci anni si passasse dal ridere delle imprecise e improbabili traduzioni fatte dal programma allo stupore per la velocità con cui lo stesso riesce a tradurre testi complessi in pochi centesimi di secondo in tutte le lingue del mondo.

 

No. È stato l’apprendimento automatico dovuto al sempre più cospicuo utilizzo di Google Translate da parte degli utenti del web. Testo oggi, testo domani (elevato alla diciottesima), ed ecco il risultato. Per la legge di Moore: «La complessità di un microcircuito, misurata ad esempio tramite il numero di transistori per chip, raddoppia ogni 18 mesi». Mettete questi due processi insieme, applicateli al mondo del lavoro e scoprirete che se i robot non hanno ancora spodestato l’uomo dal suo turno giornaliero dietro ad una macchina, appunto, o dietro ad una scrivania, è grazie ad una benedetta imprecisione.

 

 Automi e automazione

Nel saggio Second Machine Age gli autori Brynjolfsson e McAfee hanno scritto che nelle fabbriche e nelle aziende più automatizzate non vi è totale assenza di personale umano. Citano l’esempio di una fabbrica di vasetti di marmellata: i robot riescono a riempire ogni vasetto con la stessa quantità di marmellata, mettono l’etichetta, avvitano il tappo ma indovinate chi è a mettere il vasetto vuoto sul nastro trasportatore? Uno di noi. Perché? Perché i vasetti arrivano in fabbrica in scatole da dodici. Nel tragitto non stanno sufficientemente fermi e quell’imprecisione spaziale manda i robot in crisi. Questione di millimetri, distanze molto piccole che garantiscono a quell’operaio di non essere già per strada o impiegato da qualche altra parte.

 

L’automazione è un processo che non riguarda solo i lavori strettamente manuali. All’inizio di quest’anno Associated Press ha diffuso un comunicato riguardante questo tema. A scriverlo, il comunicato, è stata una macchina. O ancora, Phil Parker è oggi l’uomo che ha pubblicato (e non scritto, badare bene) più libri nella storia. Nel 2013 i suoi libri, tutti reperibili su Amazon, erano più di un milione. Pezzi di materiale rovistato tra le pagine del web messi insieme da un algoritmo senza troppi fronzoli narrativi o espedienti letterari. Diremo, chi è il folle che approfitta di un algoritmo simile e che però spende milioni di euro per la stampa dei suoi prodotti? Non Phil Parker. I ‘suoi’ libri vengono stampati solo se c’è un acquirente. Alla faccia degli scaffali pieni zeppi di merce invenduta. La cosa più incredibile è che Parker della Sindrome di Stickler non sa nulla, ma ci ha scritto un dizionario per medici e addetti ai lavori.

 

 La classifica dei mestieri

Uno studio condotto ad Oxford da due economisti ha avuto come obiettivo quello di creare la classifica dei mestieri che più probabilmente sopravviveranno anche di fronte alle macchine della prossima generazione. Qualora ve lo steste chiedendo i primi cinque lavori minacciati sono l’assicuratore, il tecnico matematico, il sarto, l’esaminatore di titoli di proprietà e l’operatore di call center. Quelli che invece sembrano ancora lontani dal competere con qualcosa fatto di circuiti sono il terapeuta ricreativo, il supervisore di operai meccanici, il dirigente di servizi d’emergenza, l’operatore sociale che si occupa di salute mentale e dipendenze e l’audiologo. Come a dire, quando si tratta di relazione, di contatto con l’altro, la macchina soccombe, ancora.

 

Lo scrittore è al 120esimo posto. Quelli che con le parole ci lavorano non sono al sicuro, anzi. Prendiamo ad esempio un poeta, non è esattamente un mestiere, ma è un caso da analizzare visto che qualcuno grazie alle poesie ci ha mangiato e ci mangia tutt’ora. Nel 2011 un certo Scholl ha elaborato un algoritmo in grado di dar forma ad una poesia. Ne ha inviata una alla redazione di una antica rivista letteraria inglese affinché venisse pubblicata sul numero autunnale. Non era niente di eccezionale. Si intitolava “For the Bristlecone Snag” e recita così:

 

“A home transformed by the lightning
The balanced alcoves smother 
this insatiable earth of a planet, Earth. 
They attacked it with mechanical horns 
because they love you, love, in fire and wind. 
You say, what is the time waiting for in its spring? 
I tell you it is waiting for your branch that flows, 
because you are a sweet-smelling diamond architecture 
that does not know why it grows.”

 

Venne pubblicata. Scholl non rivelò subito che quella poesia era stata scritta da un computer, ma lo fece solo qualche anno più tardi, “per non destare imbarazzo”. La sua macchina è diventata la prima a superare il Test di Turing nello scrivere una poesia, anche se bisogna considerare che Scholl inviò una poesia per ogni lettera dell’alfabeto. É probabile che la redazione della rivista avesse scelto almeno una di queste anche per incoraggiare il nuovo poeta.

 

Se davvero le macchine saranno in grado di farci mangiare polvere anche in fatto di poesia non ci resterà che gingillare con quello che loro stesse ci mettono a disposizione. L’economista Robert Gordon ha scritto che difficilmente si potrà parlare di rivoluzione dell’automazione. Il progresso elettronico degli ultimi anni, scrive, ci ha portato innovazione soltanto nel campo dell’intrattenimento. Cita Facebook come quel sistema di circuiti in grado di farci mettere “mi piace” a foto di gattini. I social network non hanno nulla a che vedere con la macchina a vapore o la lampadina, figlie dell’unica vera rivoluzione industriale secondo il saggista.

 

Giorno dopo giorno l’automazione sembra pervadere ogni campo della nostra vita e difficilmente viene da pensare all’avvento dei super robot come elementi d’aiuto al lavoratore, qualsiasi sia il mestiere che svolge. A far cadere la speranza è soprattutto l’effetto che l’automazione ha avuto sulla crescita dei salari confrontata con la crescita della produttività. Dal 1979, scrive John Lanchester, è stato il capitale a trarre il maggior profitto dall’aumento della produttività, non il lavoro, non i lavoratori. Immaginare un mondo in cui in pochi posseggono le macchine e i più vengono da questi sostituiti non è poi così lontano dal riferimento cinematografico citato in apertura: oscurare il cielo potrebbe non bastare, dietro lo schermo ci sarà comunque qualcuno.