Mi sono ricreduto quando ho ricevuto il diploma universitario tradotto in inglese. In questo, oltre ad un riassunto della carriera, si spiega il funzionamento del sistema universitario di riferimento e si offrono statistiche riguardanti i laureati dell’ateneo in questione. Il 23.8% dei laureati triennali della facoltà di Economia di Firenze esce con una votazione pari a 110 e lode. Invece è addirittura il 50% dei dottori magistrali che conquista l’ambita votazione massima. Ancora, ben il 58% dei dottori magistrali della facoltà di Economia di Siena prendono 110 e lode. Ho riguardato il dato svariate volte, allibito. Provo a dirlo come lo direi a un bimbo di quattro anni: uno studente su quattro, o su due, è il meglio del meglio che quella università può offrire in quel campo. Un’enormità! Un’enormità che manda a farsi benedire tutto quello che riguarda la ‘segnalazione’ della qualità accademico-intellettuale di uno studente. Oltretutto, una così consistente produzione di dottori eccellenti, va a minare ulteriormente un già precario mercato del lavoro, dove la disoccupazione giovanile è altissima e dove la deprimente domanda: “ma se sono il meglio del meglio, perché non lavoro?” è sempre più diffusa tra le anime che popolano questo limbo. Con un brivido che mi percorreva la schiena mi sono messo a fare un po’ di ricerche.
Schivando abilmente le inutili informazioni sull’Italia e i suoi bassi posizionamenti nei ranking universitari, spesso e volentieri indicazione di massima sulla effettiva qualità di un ateneo, e non altro che meri strumenti di marketing per l’attrazione di iscrizioni e visualizzazioni delle home page delle varie facoltà, ho cercato fonti autorevoli per la stesura di un articolo informato e apoliticizzato. Una delle voci più qualificate in campo economico è quella dell’OECD (organizzazione per la cooperazione e sviluppo). Questi signori, producono diverse ricerche, perché vengano poi sfruttate dai policymakers di ogni stato. Nel 2013, hanno pubblicato “Education at a glance 2013”, versione aggiornata di un’analisi dei sistemi educativi dei paesi membri dell’organizzazione. Le conclusioni che si traggono dal rapporto sono agghiaccianti. I tratti salienti del rapporto sono i seguenti:
- Per spesa universitaria (% del PIL), l’Italia è davanti solo a Repubblica Slovacca, Brasile (non-OECD) e Ungheria, posizionandosi così 30^ su 33. Mentre, per spesa per istruzione come percentuale della spesa pubblica l’Italia è ultima.
- Per tagli all’istruzione (% del PIL), l’Italia è migliore solo dell’Ungheria (29^ su 30).
- Dai dati risulta un marcato eccesso di professori, una mediocre spesa per studente e un sistema di tassazione alquanto insostenibile (i poveri pagano per i ricchi per amor di un principio di livellamento della tassazione ingiustificato e la spesa è quasi interamente privata – per via di una sostanziale assenza di borse di studio e di programmi di tutela per i meno abbienti).
- Infine, la percentuale della popolazione che appartiene alla fascia 25-34 anni che è in possesso di un diploma di laurea è equivalente al 21% (media OECD, 39%).