Uno dei messaggi fondamentali di Parole Ostili è che non può essere più il tempo della tolleranza verso il degenero ostile in rete.

Per comprendere l’operato di Parole Ostili dobbiamo ricordarci che ogni volta che ci riferiamo a ciò che accade in rete usando il termine virtuale facciamo un errore madornale, non più accettabile. Ciò che accade sulle piattaforme online che frequentiamo ogni giorno non è virtuale, non fa parte di una dimensione al di fuori dei nostri sensi. Oggi più che mai rappresenta una consistente parte del nostro vissuto, non solo da un punto di vista percettivo, ma anche cognitivo, emotivo e sociale.

Eliminiamo dunque il termine virtuale e iniziamo a parlare di digitale, ma soprattutto di reale.

 

Questo è uno dei messaggi fondamentali che Parole Ostili ha cercato di trasmettere nella due giorni di Trieste: professionisti del digitale, sociologi, avvocati, giornalisti, politici e in generale abitanti della rete, uniti dalla consapevolezza che non può essere più il tempo della tolleranza verso il degenero ostile in rete, dei vari su-Facebook-funziona-così, è-normale-che-ti-prendi-della-troia, non-si-può-controllare-la-voce-del-popolo-della-rete.

Non si può parlare di una unitarietà di intenti e ideologie, visto che gli ospiti che si sono susseguiti sui vari palchi della manifestazione hanno espresso idee e proposte molto diverse tra loro, ma comunque tutte finalizzate ad una nuova presa di consapevolezza: lo schermo del nostro dispositivo non rappresenta un confine, un muro di cinta invalicabile, ma anzi una finestra su qualcosa che riverbera le proprie conseguenze fin nel profondo. Non a caso, slogan della manifestazione è “la ferita provocata da una parola non guarisce”.

 

Perché Trieste?

Per i suoi silenzi, dice la promotrice Rosy Russo. Avevamo bisogno di un luogo silenzioso per riflettere su quel gran rumore che fa la rete. La Stazione Marittima della città, sospesa tra il centro e il mare, si adatta benissimo a quel concetto di labile confine che tutti i partecipanti hanno provato a sviscerare.

Il viaggio di Parole Ostili è iniziato però molto prima: già qualche mese fa più di cento esperti e comunicatori hanno dato il via alla creazione del Manifesto della Comunicazione Non Ostile. Successivamente in migliaia hanno votato i principi del Manifesto, venuto alla luce definitivamente proprio durante la manifestazione. Dieci articoli di indirizzo generale volti a dare una nuova visione della rete e del comportamento online.

 

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Il Manifesto della Comunicazione Non Ostile di Parole Ostili

 

Ok, tutto molto bello e interessante. Ma di cosa stiamo parlando davvero? Di sicuro non di ciò che statisticamente può essere inserito nelle code di una distribuzione normale: da una parte avremo sempre gli ostili, incapaci di adottare altri stili comunicativi, dall’altra i per sempre benevolenti, tipo Gianni Morandi, anche lui ospite della prima giornata. Oggetto della discussione è ciò che sta in mezzo: la stragrande maggioranza delle interazioni online che possono ragionevolmente subire delle variazioni grazie ad una presa di coscienza della pericolosità di certi fenomeni online da parte degli utenti.

 

La rete è cattiva?

Ovviamente é una domanda stupida. Così come è stupido scrivere titoli di giornale che riportano la formula “il web si scatena”. Non si parla di un’entità invisibile e incontrollabile, siamo noi. Non è stata la rete ad uccidere Tiziana Cantone e non è stata la rete a decidere che i vaccini rappresentano un nemico per i nostri figli: io faccio parte della rete, eppure su quelle questioni non ho alcuna responsabilità, così come spero nessuno dei lettori. Questo ci dà un vantaggio enorme per ridurre l’ostilità di cui si sta parlando: l’oggetto di discussione esiste, è reale, possiamo toccarlo e quindi modificarlo. Basterà un manifesto? Assolutamente no.

Non basterà nemmeno la lettera che la Presidente della Camera Laura Boldrini (anche lei ospite dell’evento) ha scritto a Mark Zuckerberg:

 

“gli ho chiesto ‘ma tu, sull’odio, da che parte stai?”.

 

Non è una domanda banale: in Italia meno del 4% dei commenti che vengono segnalati come impropri o offensivi vengono rimossi da Facebook. In Germania e Francia questa percentuale raggiunge il 50%. Difficile comprendere una tale differenza, ma l’assenza di un centro operativo di Big F nel territorio nazionale rappresenta più di un’indicazione.

 

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Il Presidente della Camera Laura Boldrini ospite a Parole Ostili

 

Il mistero si infittisce ancora di più quando ci si accorge che sponsorizzare un post che contiene la parola cocaina, o LSD, anche a fini divulgativi è quasi impossibile. Ecco che allora non possiamo più permettere che sia solo un algoritmo a governare la nostra vita digitale, verosimilmente costruito soprattutto per interessi economici. Un algoritmo, d’altronde, non sbaglia mai, ma scarta ed elimina alcuni elementi ingiustamente, e altrettanto ingiustamente ci fa vedere cose sbagliate.

 

Quindi, applichiamo delle leggi?

La domanda giusta è: quali? Prendiamo il caso delle campagne elettorali, o degli scontri ideologici sul web. Dino Amenduni, di ProForma, è convinto che il conflitto in queste situazioni sia inevitabile. L’essere umano funziona attraverso delle euristiche, semplificazioni della situazione che si trova ad affrontare. Facilmente quindi, durante una campagna elettorale, un avversario politico si trasforma in nemico e questo accade anche a causa di come i leader politici veicolano determinati contenuti. Si parla di odio e amore (vi ricordate “l’amore vince sull’odio e l’invidia”?) e non di fatti o proposte. L’odio deve trovare una direzione, e la direzione è dettata dalla posizione dell’avversario, sia anche questo in una posizione di svantaggio. L’avversario diventa nemico e così via.

 

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Parole Ostili presenta anche l’Acchiappatroll

 

Quindi? Vietiamo le campagne elettorali sui social network? Non è il caso. E allora dove va a finire il discorso delle leggi per la rete? Intanto dovremmo ripensare i codici e anche le costituzioni in un’ottica internet oriented, dice il prof. Marco Orofino. Impegnare quindi i legislatori in un compito diverso da quello attuato fino a questo momento, ovvero considerare internet come luogo di applicazione delle norme. Non si tratta di emanare leggi fatte su misura per il web, ma di proporre leggi in grado di disciplinare anche il web, in quanto elemento della realtà.

 

 

Il ruolo delle bufale e delle fake news

E cosa sono le bufale, create e pubblicate ad hoc per direzionare l’odio di cui sopra, se non un altro esempio di ostilità? Capirete l’imbarazzo durante l’intervento dell’assessora alla semplificazione del Comune di Roma, Flavia Marzano, quando dal pubblico le fanno notare che la giunta romana è composta da esponenti del Movimento 5 Stelle, vicinissimo alla Casaleggio Associati, che con le fake news ha costruito un impero di consensi e tante altre diavolerie. L’assessora risponde arrampicandosi un po’ sugli specchi, nessuno per fortuna (o purtroppo) ha il coraggio di incalzarla e l’imbarazzo scema con il resto degli interventi.

Nel panel dedicato a questi aspetti c’è spazio anche per il divertente intervento di Andrea Sesta, redattore di Lercio.it, ma anche e soprattutto per le parole di Daniele Chieffi, un giornalista che negli anni ha ricoperto il ruolo responsabile della comunicazione di aziende come Eni o UniCredit: quello che serve è un processo di educazione al riconoscimento delle notizie false. Una cultura digitale in cui l’algoritmo non deve più schiacciare l’utente, ma rendersi utile alla sua crescita personale.

 

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Il pubblico di Parole Ostili

 

Sempre parlando di bufale e algoritmi, inevitabile affrontare anche concetti che stanno pian piano entrando nei manuali accademici di sociologia, come filter bubble, post-truth o echo chamber. Interessante in questo senso l’intervento di Walter Quattrociocchi, coordinatore del CSSLAB: la bolla di filtraggio che ci separa dal resto del mondo che la pensa diversamente da noi fa sì che tutti possiamo essere considerati gli scemi del villaggio. L’esserci ritagliati una rete di contatti che condivide le nostre stesse convinzioni non ci dà il diritto di sentirci migliori degli altri. Eppure, siamo tutti pronti ad attaccare il prossimo utente appellandoci alla sua ignoranza. Una strategia, continua Quattrociocchi, che abbiamo visto essere totalmente inefficace ai fini dell’eliminazione dell’ostilità e del sadico complottismo di cui vediamo esempi quotidianamente. Ciò che ci salverà, e torniamo nuovamente da quelle parti, è un profondo processo di educazione al digitale.

 

Una legge contro le notizie false, dice Martina Pennisi del Corriere della Sera, è un’ipotesi impraticabile. Dovremmo anzi chiederci perché alcuni sono disposti a credere a il fatto quotidiano, e non alle testate giornalistiche. In fondo, continua la giornalista, sono state le testate tradizionali ad insegnare come si fa a fare fake news: a forza di urlare titoli ed enfatizzare gli aspetti emotivi dei fatti, hanno creato un modello cui chiunque oggi sarebbe in grado di ispirarsi e creare il proprio sito di bufale.

 

Appunto, il ruolo del giornalismo

Una delle tematiche maggiormente trattate a Parole Ostili: sia con un panel dedicato, sia con l’intervento dell’atteso Enrico Mentana. Il direttore di La7 è stato chiarissimo: il giornalista deve scendere dalla sua torre d’avorio che lo confina lontano dal paese reale, da ciò che accade anche in rete, e studiare e applicarsi per saper convivere con tutti gli aspetti di questa società.  Oggi, ha aggiunto, il giornalismo è il nemico del popolo e questo è il risultato di un processo di perdita di fiducia in questa istituzione iniziato verosimilmente l’11 settembre del 2001. Il giornalismo deve decidere cosa vuole fare da grande: ancora non ha capito che il perimetro entro cui tutto avverrà sarà il web e bisogna saperci stare.

 

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L’intervento a Parole Ostili di Enrico Mentana

 

Subito dopo Mentana ecco Daniele Bellasio, caporedattore a il Sole 24 Ore, a ripetere un concetto fondamentale: il giornalismo non deve stare su un palco, ma in campo. Confrontarsi con le necessità di una comunità che non è più disposta a leggere quella assurda autoreferenzialità che caratterizza le pagine di politica dei quotidiani italiani. Correggersi laddove ci si rende conto di aver fatto dei gravi errori.

 

Direttor Cortocircuito

Trenta minuti per sbottonarsi e creare un cortocircuito interessante: gli organizzatori hanno insistito affinché Mentana raccontasse la strategia che adotta con i commenti sulla sua pagina Facebook, che lo hanno reso uno degli attori anti-ostilità per eccellenza. Eppure, lui stesso ha ribadito che contro chi avvelena i polsi, contro chi cita notizie false, contro chi è pronto a spargere odio e violenza sui social network non si può essere tolleranti. Non si può essere tolleranti verso coloro che contribuiscono a rendere i social network la parete di un bagno di un autogrill (una metafora che al pubblico è piaciuta particolarmente). Ha ammesso la sua non affezione per i manifesti, riferendosi all’oggetto di celebrazione dell’intero evento, illuminando nella testa di molti partecipanti un interrogativo: cosa succederà adesso? Che fine farà il progetto Parole Ostili?

 

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Cosa succederà adesso? Che fine farà il progetto Parole Ostili?

 

Ciò che gli organizzatori si aspettano è l’emergere di idee e proposte (che a proposito possono essere inviate all’indirizzo idee@paroleostili.it) per cercare di costruire quel tanto auspicato processo di educazione al digitale e di lotta all’ostilità. Il merito più importante della manifestazione è stato quello di portare su un piano di realtà certe dinamiche che facciamo fatica a considerare parti integranti della nostra vita, ma che sono in grado di uccidere e far male tanto quanto una qualunque arma. Non è il digitale ad essere entrato nelle nostre vite, ma noi ad aver fatto l’ingresso in questo terreno scivoloso, ancora poco chiaro e abitato da pericoli che abbiamo già visto prima, solo in un’altra forma.