Abbiamo parlato con degli studenti di Seul per farci descrivere la loro società e per chiedere loro quale sia il rapporto tra le due Koree.

La prima volta che ho incontrato Hae Ju le ho subito domandato che cosa significasse per lei crescere in Corea del Sud, sapendo che altri coreani a pochi chilometri di distanza vivono il quotidiano incubo della distopia comunista per eccellenza. Dopo aver precisato che il tempo ha fatto il suo corso e che quindi per i giovani sudcoreani è difficile percepire affinità con gli omologhi del Nord, ha concluso la risposta con una freddura dall’ilarità assai grottesca: “Sai, ho chiesto ad un amico nordcoreano come se la passava, ha detto che non poteva lamentarsi”.

Oramai sono lontani i tempi in cui Pyongyang era argomento tabù e la Corea del Sud era “troppo povera per importare vinili originali”, come ben ricorda l’economista Ha-Joon Chang parlando della sua adolescenza. Il paese si è radicalmente trasformato, Il reddito pro capite è uno dei più elevati del sud est asiatico e Seul è una megalopoli hi tech alla stregua di Tokyo: per dirne una, è possibile ordinare un pasto caldo da una stazione della metro all’altra tramite un’App per smartphone, così da poterlo recuperare senza ulteriori perdite di tempo. Sfido poi che alcuni di loro considerino le città europee arretrate…
Cullata da queste e altre meraviglie, la “gioventù dorata” si gode un sogno a tinte occidentali, e se a Nord del confine si predica ancora il Juche, qui è un rapper come Psy a fare satira. Ma la società sudcoreana è molto più di questo, è un connubio di valori adottati e valori autentici, una società che esporta un canone di bellezza stimato in tutto il continente, depositaria di tradizioni millenarie e dialetticamente evolutasi in antitesi al suo contraltare soggiogato dalla dinastia Kim. E a dirvelo non è questo giovane europeo forse appesantito da quel fardello tanto caro a Rudyard Kipling, bensì alcuni studenti di Seul con cui ho organizzato un proficuo scambio di opinioni.

Seul at Night. Foto di Lorenzo Borghini

Seul at Night. Foto di Lorenzo Borghini

Quando chiedo loro come si definirebbero in tre aggettivi, mi accorgo che, nonostante la varietà delle accezioni, il comune denominatore delle risposte fornite è una sorta di riservatezza mista ad affetto per i propri intimi. Si considerano distaccati eppure affiatati nella sfera dei rapporti personali. D’altro canto come in molte altre realtà odierne, l’insicurezza imperversa anche fra le giovani generazioni sudcoreane e l’aspetto fisico è diventato un’ossessione poiché il corpo è in qualche modo il nostro biglietto da visita. La chirurgia plastica è di gran moda e molti sono coloro che, pur appartenendo alla classe media, aspirano a vivere secondo i dispendiosi standard dello stile “Gangnam” (che potremmo tradurre attraverso un nostrano “Parioli”, ma ben più spinto). Ciò non significa, ci tengono a precisare i miei interlocutori, che si possa generalizzare o che tutti quanti siano succubi del diktat veicolato dai media: “La cosa divertente è la loro attitudine ambivalente, celebratoria e critica al contempo. Anche il video di Psy, sebbene muova una critica forte nel momento in cui mette in scena quelle bellezze plastiche, finisce per acquietare la coscienza del pubblico attraverso lo stesso meccanismo”. E che dire dell’impatto della tecnologia e dei social network sulla vita dei più giovani? Anche qui la prospettiva è duplice. Essenzialmente i rapporti importanti non sono minacciati, l’interazione, nel senso genuino del termine, è ancora di gran lunga favorita allo scambio di messaggi virtuali. Sono altri i rapporti che subiscono una progressiva spersonalizzazione, probabilmente quelli che di per sé sono già effimeri. Inoltre le persone con una dipendenza patologica da social media si marginalizzano da sole per il puro e semplice motivo che non si esprimono attraverso gli stessi canali di chi riesce a farne un uso equilibrato. Anzi, in reazione a un uso crescente dello smartphone come interfaccia privilegiato, “si sta sviluppando una subcultura di gente che non intende uscire con chi trascorre il 50% del suo tempo su Instagram o ad incontrarsi sui social media”.

Seul, tempio al riparo della Skyline. Foto di Lorenzo Borghini

Seul, tempio al riparo della Skyline. Foto di Lorenzo Borghini

Pausa. Passiamo a un argomento di tutto un altro spessore, adesso anche la Corea del Nord è chiamata in causa ed io m’immagino tutta una serie di affermazioni contrite sulla responsabilità di agire e su un’auspicabile quanto impossibile riunione. Niente di più distante dalla realtà attuale. La compassione e l’odio sembrano essere i sentimenti più diffusi fra la popolazione sudcoreana. La leadership comunista guidata da Kim Jong-un è assai invisa – si noti che i due paesi sono tuttora ufficialmente in guerra-, i cittadini del Nord sono succubi loro malgrado e necessitano di un tempestivo intervento umanitario. Da una tale visione traspare un certo distacco, i legami di sangue sono remoti e l’idem sentire lascia spazio al desiderio di aiutare tipico delle missioni ONU che hanno luogo in angoli sperduti del pianeta. E’ allora che mi rendo conto che il capitolo riunificazione dei due paesi in un’unica grande Corea è stato temporaneamente, se non definitivamente, archiviato. Deve essere Pyongyang a capitolare, tanto più che le sue minacce non spaventano più. A detta di qualcuno sono talmente ridicole, che perfino un’eventuale invasione pianificata attraverso tunnel segreti sarebbe sgominata con facilità. Anni ed anni di status quo hanno fatto dimenticare quanto gravosa potrebbe essere questa guerra fratricida, una guerra che tutto sommato non appare più neanche plausibile visto che la minaccia è diventata piuttosto il fine del dispiegamento dell’apparato militare nordcoreano. Niente di nuovo, dunque, se il “brillante compagno” si tiene pronto all’azione, la sua grassa figura entra lentamente a far parte della quotidianità e gli studenti di Seul con cui ho avuto il piacere di discutere continueranno a vivere le loro vite nella prosperità che la nazione offre loro. E qui le domande volgono al termine.  

Seul dall'alto. Foto di Lorenzo Borghini

Seul dall’alto. Foto di Lorenzo Borghini

Distante anni luce dall’aver compreso in toto che cosa significhi vivere e crescere in Repubblica di Corea, mi dico comunque lieto di aver ascoltato le opinioni di alcuni insider che ringrazio con tutto il cuore per la gentilezza e la sincerità. Il prossimo passo verso una conoscenza esaustiva è senza dubbio un soggiorno di lungo periodo in questa società che pare attraversare un momento paragonabile alla Belle Époque francese del primo dopoguerra. Mi auguro solo che non si riveli anche questo un valzer sull’orlo del precipizio, quello che precedette il secondo conflitto mondiale.