Il Premio Nobel per la pace quest'anno va a Juan Manuel Santos, il presidente della Colombia. Ma siamo sicuri di conoscere il vero significato della parola pace?

Paz  s. f.

Acuerdo para poner fin a la guerra

Situación de tranquilidad y buena relación entre los miembros de un grupo

 

Nella lingua spagnola (e in quella portoghese), la trascrizione dell’originario latino pax è rimasta quasi immutata, se non fosse per quella “z” al posto della “x” che rende appieno l’idea del senso ispanico della parola. Ed in parte, se non ci concentriamo sulla Spagna in sé, ma su tutti gli altri paesi che ne condividono la lingua, mai come in questi casi il senso giuridico di pax che avevano i romani è perdurato nel tempo. Per quanto nella nostra cultura occidentale e disabituata a convivere con conflitti vicini al territorio, la parola “pace” viene usata anche per descrivere un semplice momento di tranquillità quotidiana, il termine proprio non ha nulla a che fare con tutto ciò.

 

Acuerdo, in spagnolo, “trattato”, in italiano, di paz. Si capisce bene, dalla parola stessa, come sia intrinseca la sua ufficialità. Ogni giorno rimbalzano notizie da tutto il mondo su focolai di guerra ancora attivi. Su alcune ci concentriamo particolarmente, su altre per un certo periodo, su alcune sorvoliamo proprio. È la nostra fortuna, la fortuna di poter guardare verso il mondo consapevoli di conoscere cosa sia la “pace” e pertanto abusare del suo uso, magari ascoltando sul letto della buona musica.

 

In Colombia, da cinquantadue anni a questa parte, la paz è una semplice illusione, è utopia, e sarebbe impensabile condividere con un colombiano la stessa parola che noi utilizziamo in contesti così differenti. La paz raggela il sangue solo a sentirla nominare. Perché è stata pronunciata così tante volte in questi cinquantadue anni che ormai ha perso ogni credibilità. Ne ha persa così tanta, o forse è semplicemente così desiderata, che il 3 ottobre scorso, i colombiani hanno scelto il “No” al referendum indetto per sancire definitivamente la fine dei conflitti tra il governo e le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia – Esercito del Pueblo, per tutti, le FARC.

 

Avete presente quando siete così stanchi da non desiderare altro che dormire? Quando vi si chiudono gli occhi ogni istante e non vedete l’ora di buttarvi nel letto? Avete presente quel tipo di stanchezza? Se sì, allora saprete benissimo cosa succede quando, finalmente, raggiungete la tanto auspicata posizione supina. Il corpo si rilassa, i muscoli cominciano a bruciare, la schiena si scioglie, ma del sonno nemmeno più l’ombra. Così, con gli occhi sbarrati, restate a guardare il soffitto chiedendovi come sia possibile che a quell’atroce stanchezza, il vostro corpo, messo nelle giuste condizioni, non reagisca con naturalezza al sonno. È complesso analizzare quali siano le ragioni che abbiano spinto la Colombia – intesa come popolo – ad andare contro alla realizzazione di un sogno, ma per provare anche solo vagamente a capire, c’è bisogno di sapere. E per sapere ci affidiamo al dizionario, analizzando rispetto alla Colombia, cosa vogliano dire le due definizioni proposte alla voce paz.

 

L’Acuerdo per porre fine alla guerra

La vita di Juan Manuel Santos, attuale Presidente della Colombia, è sempre stata scandita dai tempi della politica. Pronipote dell’ex presidente Eduardo Santos Montejo, nonché membro della famiglia Santos, tra le più influenti di Bogotà, ha sempre vissuto da vicino l’evoluzione amministrativa del proprio paese, prima da giornalista (direttore del giornale El Tiempo, di proprietà dei Santos e fondato proprio dal prozio) poi da politico a tutti gli effetti. Entra attivamente nella politica colombiana nel 1991, ma è nel 2000 che riceve la carica di Ministro dell’Economia, divenendo così una delle principali figure del dibattuto sistema governativo della Colombia. La sua storia però, entra in conflitto con la parola paz nel 2006, quando inizia in prima persona la sua battaglia con le FARC. Viene designato quale Ministro della Giustizia e sceglie di non trattare, sceglie la linea dura, combattendo alle armi con le armi. Il 2 marzo del 2008, in un campo d’addestramento al confine tra Ecuador e Colombia, muore Raul Reyes, segretario delle FARC. Non è una morte accidentale, ma figlia di un bombardamento dell’esercito, voluto proprio dalla politica rigida di Santos.

 

Si apre così un dibattito attorno alla figura sia di Santos sia di Alvaro Uribe, Presidente in carica in quel periodo. Ai due, viene imputata la rappresaglia attuata contro le FARC, una strategia che, come detto, al conflitto risponde con il conflitto, senza badare poi tanto a chi ne rimane in mezzo. Si chiamano “falsi positivi” i civili che il governo ha ammazzato nella controffensiva e che, per giustificarli, ha cercato di far credere come essi fossero guerriglieri. Una strategia alla quale la Colombia non è nuova, non lo è mai stata, perché in Colombia chi siede al governo ha due sole opzioni per non perdere il controllo: perdere la dignità, collaborando con gli innumerevoli gruppi para-militari presenti sul territorio, o perdere la “vita”, combattendoli. La stessa soluzione era stata adottata tempo addietro dal Presidente Gaviria sia per quanto riguardava Pablo Escobar sia per la M-19, un’altra delle organizzazioni di guerriglia colombiane (finita al soldo di Escobar stesso per l’attacco al Palazzo di Giustizia del 1985). Storie che si intrecciano, storie che si ripetono, senza che se ne veda né una fine né una distinzione.

 

Premio Nobel per la pace 1

L’attacco al Palazzo di Giustizia del 5 novembre 1985

 

 

Eppure, il sanguinario Santos, è, ad oggi, il premio Nobel per la Pace (o per la Paz, o per la Pax) e la scelta non è stata casuale, ma ponderata secondo quanto lo stesso ha fatto dal 2010 ad ora, da Presidente del popolo colombiano. L’acuerdo che ha portato ad una tregua in attesa del voto popolare, ha però una ragione specifica. Per una volta, il gioco delle trattative, è stato gestito da un governo consapevole di avere la forza dalla propria parte. Le FARC non sono più il gruppo micidiale di guerriglieri che hanno ucciso più di duecentomila persone in cinquant’anni e, in parte, ciò è stato possibile anche grazie alle mosse precedenti alla presidenza Santos. Il trattato è una vera e propria negoziazione, trecento pagine dalle quali si sancisce in primis la fine del conflitto armato, poi il successivo riconoscimento delle FARC in veste di partito, come contributo politico alla resa. Inutile dire che, dove il governo guadagna da un lato, perde dall’altro, lasciando impunite alcune atrocità commesse dai guerriglieri e riconoscendogli lo stato ufficiale di partito. L’ex presidente Uribe ha sollevato la popolazione verso il NO, e NO è stato, ma non per questo non c’è speranza per il popolo colombiano di mantenere la tregua.

 

Situazione di tranquilidad y buena relación tra i membri di un gruppo

L’unica cosa che abbia unito la Colombia in tutti questi anni è stata la cocaina. Sarebbe riduttivo pensare che una nazione intera sia ostaggio di una pianta, eppure l’evoluzione storica del Paese non può essere letta con altre chiavi. Dunque, è quasi impossibile definire la paz Colombiana seguendo questa definizione, poiché non esiste un “gruppo”, ma esiste solo un interesse che accomuna persone che, altrimenti, hanno poco da spartire tra loro. È stata la cocaina a far tergiversare su di essa sia battaglie ideologiche sia battaglie economiche: è infatti la coca il filo conduttore che passa tra le FARC e la M-19 (in origine gruppi meramente politici, seppur militarizzati), tra il Cartello di Medellin e il Cartello di Cali (gli imprenditori della cocaina), ed il Governo. Da questo punto della storia, se si escludono gli eventi dimostrativi (che vanno dalla bomba sull’Avianca 203 del 1989 al sequestro di Ingrid Betancourt del 2008), non ci sono più certezze.

 

La nube bianca diffusa dalla cocaina parte dal triangolo Medellin-Cali-Bogotà, ma che si espande con forza dirompente su tutta la Colombia, quella povera e quella ricca, quella densamente popolata e quella inesplorata delle foreste. Una nube che, da lì, ha intossicato gli Stati Uniti e poi l’Europa. La nube del più grande mercato mondiale, secondo se non pari, solo a quello delle armi. È dunque all’ordine del giorno di ogni Presidente che abbia varcato la soglia del suo ufficio al Gobierno nacional che il problema maggiore del suo paese sia quello, a prescindere dai nomi di chi ci ruota attorno. Le FARC hanno trovato nella cocaina lo strumento di approvvigionamento migliore che potessero avere, più ancora dei fondi riservatigli dall’Urss, elevando così il gruppo di guerriglieri ad un vero e proprio esercito. Potremmo stare ore ad indagare sulle loro ideologie, su come, sulla scia di Mao, abbiano riadattato la cultura marxista tipicamente urbana alle campagne colombiane, su come abbiano combattuto per una riforma agraria, su come abbiano ucciso in nome della libertà del popolo colombiano. Potremmo discutere di tutto, ma per la Colombia le ideologie non contano, non conta giusto o sbagliato. Conta solo la cocaina e l’interesse che da essa ne deriva.

 

Ora, prima di concludere, mi piacerebbe porre l’attenzione su cosa volesse dire per il popolo colombiano questo referendum e, soprattutto, cosa volesse dire il No. Per farlo, dobbiamo provare, con l’immaginazione, ad immedesimarci in loro ed in quello che significhi avere il proprio paese costantemente sotto attacco. Seppur si usi il termine “guerriglieri”, abbiamo visto come questi gruppi armati non seguano prettamente le dinamiche della guerriglia ideologica, della guerriglia a scopi rivoluzionari. Dunque, sebbene in Italia siamo stati più volte messi sotto assedio da bombe più o meno catastrofiche, il rapporto tra il terrorismo degli “anni di piombo” e le FARC non sarebbe il più appropriato per esemplificare la situazione.

 

Premio Nobel per la pace 2

Un gruppo di FARC

 

 

Piuttosto, un italiano, per comprendere, dovrebbe immaginare le FARC molto più simili a Cosa Nostra, anziché alle Brigate Rosse (per dirne una). Bene, ora pensate se, nel 1992, con le stragi Falcone e Borsellino e, successivamente, nel ‘93 con le bombe a Roma, Milano e Firenze, il Governo italiano avesse indetto un referendum affinché si riconoscesse la pace tra Italia e Mafia, a costo però che la stessa entrasse in parlamento e venisse resa eleggibile alle elezioni del 1994. Secondo voi, il popolo italiano, cosa avrebbe detto? (In Italia siamo più furbi che in Colombia, così, anziché aprire una trattativa pubblica, abbiamo scelto la via del privato, ma questa è, ahimè, tutta un’altra storia).

 

Così, dopo che il popolo si è espresso contro ogni negoziazione, quale sarà la decisione del Governo? Sicuramente, da entrambe le parti, non sembra esservi l’intenzione di riaprire un fronte che, nessuno, potrebbe permettersi di mantenere. Ci avviamo verso un compromesso, che forse lascerà le strade del referendum per avviarsi verso zone più oscure della politica. Certamente la Colombia non è mai stata così di moda, tra una serie televisiva su Pablo Escobar ed un Premio Nobel. Non vi è dubbio invece, che la cocaina sia sempre stata di moda, anche se nessuno si è mai preoccupato del suo paese di origine. In qualsiasi caso, la fase di stallo è il meglio a cui si potesse auspicare in questo momento ed intanto, ci chiediamo quale sia la strada giusta affinché ogni colombiano si senta libero di parlare di paz, magari leggendo un libro davanti ad un buon caffè fumante.

 

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