Una donna, un uomo e un popolo che hanno reso San Francisco un simbolo di rivoluzione e libertà.

Tante sono le storie di San Francisco quanti i riflessi sulle increspature della Baia che barbagliano e svaniscono al mutare della marea. Quella di Joshua I Norton, unico Imperatore degli Stati Uniti, che conobbe Mark Twain, di Dian Fossey, che visse coi gorilla e fu uccisa dai bracconieri, o di milioni di altre vite che hanno intessuto la sempre più fitta trama della storia di una città simbolo del progressismo e della lotta per la libertà individuale combattuta da pionieri, migranti, beatnik, hippies, pacifisti e rivoluzionari. Un tessuto vivente le cui sofferenze e i cui sogni hanno reso San Francisco più di uno stereotipo da archiviare nell’armadio degli aneddoti buonisti. Durante il mio soggiorno sulla Baia ho scelto di raccontare la vita di tre suoi abitanti: una donna, un uomo e un popolo, le cui vicende hanno segnato l’evoluzione della città, influenzando il suo vivo e affascinante anticonformismo.

 

Una donna: Lillie Hitchcock Coit

Torniamo assieme al 1851, il mondo è appena uscito dalle tre grandi rivoluzioni contemporanee: quelle Americana, Francese e Industriale. In Europa l’Antico Regime agonizza sotto il peso della Primavera dei Popoli, e negli USA l’esplosione demografica ed economica del Nord ha investito la frontiera e schiacciato il Sud, che di lì a poco si solleverà, a difesa del morente sistema schiavista, nella sanguinosa Guerra di Secessione. In quell’anno, da West Point, giunge in città Lillie, figlia del dottore militare Charles Hitchcok, una ragazza sveglia e istruita. In un’epoca in cui le donne vivono segregate in casa in vista del matrimonio e della maternità, Lillie fuma sigari e indossa i pantaloni, gioca d’azzardo e spesso si traveste da uomo per andare a North Beach a scommettere nei club per soli gentlemen.

 

Nel 1858, a soli quindici anni, Lillie sta tornando a casa quando avvista un incendio su Telegraph Hill. Dà subito l’allarme e accorre in aiuto della Knickerbocker Engine Company, No 5, che, sotto organico, deve affrontare le fiamme e soccorrere la popolazione. Lillie non si spaventa per il disastroso incendio levatosi a divorare l’intera città di legno, e si mette a lavorare con i pompieri: è l’inizio di un legame che durerà tutta la vita e che le vale il soprannome di ‘Firebell Lil’.

 

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Lillie Hitchcock Coit detta anche Firebell Lil

 

Nonostante i tentativi del padre di trattenerla, Lillie continua negli anni seguenti ad aiutare i vigili del fuoco finché non ne diventa membro onorario nel 1863 e da allora non si toglierà più il distintivo. Ama l’azione, la lotta contro le fiamme al servizio della comunità, forse influenzata dall’esempio del padre, che aveva curato i feriti dell’esercito nell’epoca della frontiera selvaggia. In città la si può vedere accorrere con la compagnia 5 per combattere gli incendi, nelle caserme a soccorrere i feriti e durante le parate come simbolo del Corpo dei Vigili del Fuoco.

 

Scopre l’amore conoscendo un ‘caller’ della borsa di San Francisco, Howard Coit, ma è troppo indipendente, troppo emancipata per lui e se ne separa nel 1880. Viaggia in Asia e in Europa, diventa famosa alla corte di Napoleone III, che negli stessi anni sta aiutando l’Italia a diventare un’unica nazione, e in quelle dei maharaja indiani. Ma il suo cuore è con i pompieri di San Francisco: la lotta contro il fuoco in una città di legno che rischia ogni giorno di finire divorata dalle fiamme sarà l’unica costante della sua vita avventurosa. Muore nel 1929 lasciando un terzo della sua eredità a San Francisco perché sia accresciuta “la bellezza della città che tanto ho amato”. Tra le molte cose fatte con quei soldi, a parte il monumento a Washington Park in onore dei vigili del fuoco, sarà eretta la Coit Tower, l’edificio più alto del West, sulla cima di Telegraph Hill, quella collina che da adolescente Lillie aveva contribuito a salvare. Divenuta uno dei simboli della città, la torre sarà affrescata con immagini di panorami urbani e portuali popolati da braccianti americani e messicani, in un tripudio di colori e caratteri che le varranno il soprannome di ‘Sistina degli Operai’.

 

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La Coit Tower

 

La storia di Lillie diventerà il cuore dello spirito di corpo dei pompieri che dopo la sua morte giureranno in suo nome di difendere San Francisco dai numerosi e violenti incendi. Una storia, tra le mille trame della città, che andrebbe ricordata oggi ai colossi del Web di Palo Alto, a sud di San Francisco, spesso accusati di politiche discriminatorie nei confronti delle donne.

 

Un uomo: Lawrence Ferlinghetti

Abbandoniamo la San Francisco del XIX secolo, una città di legno in rapida crescita, ed entriamo in quella del XX, ricostruita in nove anni dopo lo spaventoso terremoto del 1906. Nello stesso periodo un migrante di origini italiane viene alla luce negli USA: Lawrence Ferlinghetti. Figlio di Carlo, originario di Chiari, e di Lyons Albertine Mendes-Monsanto, ebrea sefardita franco-spagnola, Lawrence si trova solo prima ancora di nascere. Il padre infatti muore a sei mesi dal parto e la madre perde il senno poco dopo, venendo internata in manicomio. Fortunatamente la zia Emily prende con sé il giovane Lawrence portandolo prima a Strasburgo, nell’Europa da cui era giunto, poi, assunta dai Bislands, facoltosa famiglia newyorchese, di nuovo in America.

 

Lawrence è brillante, ha un carattere fascinoso e profondo, e la famiglia dove lavora la zia si affeziona così tanto a lui che lo adotta consentendogli di studiare giornalismo nelle migliori scuole americane come la Mount Hermon e la University of North Carolina. Avventuroso, Lawrence decide di arruolarsi in marina allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e dopo il congedo, con un nuovo diploma post-laurea della Columbia University in tasca, torna in Europa. Parla bene il francese, praticamente la sua lingua madre, e ne approfitta per ottenere un dottorato alla Sorbona, conoscendo, a Parigi, Kenneth Rexroth, che lo invita a trasferirsi a San Francisco.

 

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Lawrence Ferlinghetti

 

È questo invito che in un certo modo dà inizio al Rinascimento Poetico della città, alla Beat Generation, che vedrà la vulcanica e anarchica personalità di Lawrence accompagnare nella crescita “le menti migliori della mia generazione” come Allen Ginsberg, Jack Kerouac, William Burroughs, Gary Snyder e Norman Mailer.

 

Lawrence, con l’amico Peter Martin, anche lui italiano, trova un piccolo edificio tra quelli ricostruiti dopo il 1906, nella zona di North Beach, dove cento anni prima Lillie Hitchcok andava vestita da uomo a giocare nelle bische, e tira su una libreria-casa editrice che finirà per cambiare l’America e il mondo intero. La City Lights pubblica poesie e testi di molti autori emergenti, avventori della libreria e in rotta con le tradizioni culturali delle università da cui sono usciti (in particolare dalla Columbia). E così, quasi per caso, semplicemente seguendo i propri gusti letterari, Lawrence dà una voce alla Beat Generation pubblicando L’Urlo e altri Poemi di Allen Ginsberg, un ancora poco conosciuto poeta omosessuale di origini ebraiche. Il libro (volume 4 della serie) è tanto controverso e diventa così famoso che fa finire in carcere Lawrence con l’accusa di oscenità, aprendo la strada a un processo che vedrà coagularsi attorno alla sua difesa tutti gli scrittori e gli artisti della Beat Generation, dando loro, per la prima volta, il senso di far parte di un unico corpo, di un grande movimento.

 

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La mitica City Lights

 

Il processo fa la storia: è il primo in cui un imputato ricorre al Primo Emendamento della Costituzione americana, quello sulla Libertà di parola, per la pubblicazione di materiale controverso ma di interesse pubblico. Il libro stesso sarà la porta da cui il Rinascimento di San Francisco entrerà nell’immaginario occidentale, e poi mondiale, con i versi eterni e potenti:

 

«Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa, hipsters dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte».

 

Con Lawrence, Ginsberg e Kerouac (che cita Ferlinghetti in Big Sur come Lorenzo Monsanto) la Beat scatena una lotta generazionale contro la guerra del Vietnam, la segregazione razziale, la condizione subordinata della donna e le discriminazioni in base all’orientamento sessuale. Lotte iniziate allora dalle “menti migliori della mia generazione” e che ancora non si sono spente, lasciate in retaggio a noi, loro figli e nipoti.

City Lights è oggi uno dei luoghi più importanti di San Francisco, Lawrence si è ritirato in un eremo a Big Sur, sulla costa, continua a credere in un anarchismo etico per cui il mondo non sembra pronto e nel 2011 ha dedicato ai 150 anni dell’Unità d’Italia, suo paese di origine, due poesie che sono state fonte di ispirazione di molti artisti per la mostra torinese Lawrence Ferlinghetti e i 150 anni dell’Unità d’Italia. Dipinge e scrive poesie, come ha sempre fatto.

 

Un popolo: gli Indiani d’America occupano l’isola di Alcatraz

San Francisco nella seconda metà del XX secolo è la città della libertà, della Summer of Love, dei beat come Lawrence Ferlinghetti oramai invecchiati e ancora potentemente creativi. Ma la città ha un riflesso oscuro, fatto di sbarre, regolamenti, violenza: Alcatraz, uno scoglio roccioso al centro della Baia su cui l’esercito ha eretto, durante la Guerra di Secessione, un’inespugnabile fortezza.

 

Dal 1933 l’isola, chiamata anche The Rock, la Roccia, e che deve il suo nome agli alcatraces, un tipo di uccelli noti come sula, diventa una prigione di massima sicurezza. Sono gli anni del proibizionismo, che seguono la Grande Depressione e la costruzione della Coit Tower su Telegraph Hill, anni in cui, dalla parte opposta del continente, le rapine in banca di Dillinger e l’emersione del potere mafioso di Al Capone e Lucky Luciano spaventano l’America. Per risolvere il problema si pensa a un carcere particolarmente rigido, da cui sia impossibile fuggire, con anguste celle singole, punizioni in isolamento e la possibilità di lavorare solo ai pochi detenuti premiati per buona condotta. Il luogo scelto dal governo è Alcatraz, che per tre decenni sarà una presenza oscura tra le limpide acque della baia, un luogo su cui difficilmente i cittadini poseranno lo sguardo inquieto, ma dalle cui sbarre lontane, i prigionieri aguzzeranno la vista osservando, lontano e scintillante, il sogno proibito di San Francisco.

 

 

Le storie dell’isola sono molte, dal banjo che Al Capone suonava nelle docce per evitare l’ora d’aria e i possibili sicari, ai tre prigionieri, Frank Morris, John e Clarence Anglin, che unici riuscirono ad evadere, ispirando così il famoso film Fuga da Alcatraz con Clint Eastwood. Dalla Battaglia di Alcatraz ai figli dei secondini che vivevano sull’isola come in una vacanza perenne, la prigione finisce per racchiudere, come un vaso di pandora, lo spirito di tutte le paure e di tutte le speranze di un’umanità imperfetta, almeno fino al 1963, quando gli elevati costi di gestione spingono lo Stato a chiudere il carcere.

 

Ed è poco dopo che inizia la nostra storia, al tramonto della Summer Of Love, mentre in Europa esplode la contestazione giovanile, in Vietnam imperversa la guerra e a Woodstock ancora vibrano nel ricordo del vento le corde di Jimi Hendrix. Richard Oakes è un americano di origini mohawk, nato nella riserva di St. Regis, che si è trasferito a San Francisco per frequentare la State University e lavorare come bartender a Mission, il distretto dei divertimenti della città dove entra in contatto con altri membri del popolo nativo americano. Deluso dai corsi di studio della SFSU, Oakes crea uno dei primi dipartimenti di Studi Nativo Americani. Conosce così molti studenti e insegnanti del suo popolo e il White Roots of Peace, un movimento non violento che lotta per la libertà religiosa e la dignità culturale dei Mohawk.

 

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Richard Oakes

 

Nel 1969, un anno dopo l’uccisione di Martin Luther King, che nella parte orientale del continente combatteva con gli stessi mezzi contro la discriminazione degli afro-americani, Oakes intraprende, assieme ad Adam Aquila Fortunata, un’iniziativa clamorosa: con una flottiglia di barche, seguito da 75 nativi americani, tra cui 30 donne, la compagna Annie Marufo e i cinque figli da lui adottati, supera il blocco della Guardia Costiera e sbarca su Alcatraz, oramai dismessa, occupandola in nome del suo popolo. L’obiettivo è la creazione di un centro di studi che valorizzi e conservi la cultura dei Nativi Americani.

 

L’isola che era stata lo specchio oscuro delle paure americane diviene allora il riflesso delle sue più antiche ingiustizie e, nello stesso tempo, dei suoi sogni di progresso e integrazione. Richard Oakes ne è il principale leader, organizza un consiglio che gestisce, per più di un anno, la vita di quasi 400 persone sull’isola, impiegando ognuno nelle mansioni necessarie alla convivenza.

 

 

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L’occupazione di Alcatraz

 

Richard Nixon invia Robert Robertson a imbastire difficili trattative con la nuova comunità nata sulle sponde della baia, arroccata nella sua più antica fortezza, ma senza ottenere successi. Sarà invece il dramma della vita, con la sua casualità tragica, a cambiare il corso dell’occupazione, la più lunga nella storia dei rapporti tra USA e Nativi Americani. Il 3 gennaio, infatti, Yvonne, una dei cinque figliastri di Oakes, inciamperà morendo nella caduta dalle gradinate di cemento, spezzando per sempre la vita del leader attivista e della sua famiglia.

Richard allora lascia l’isola nelle mani dei suoi compagni che, seppure destinati alla sconfitta e al fallimento, resistono per mesi, finché l’FBI riesce a scacciarli da Alcatraz. Ma il loro esempio, la radice profondamente giusta delle loro richieste, influenzerà tutte le successive iniziative volte a proteggere i Nativi Americani, come l’occupazione del BIA o il Lungo Cammino (the Longest Walk), portando infine al riconoscimento dei loro diritti e della loro cultura.

 

Un successo a posteriori che, purtroppo, Richard non vedrà. Dopo aver combattuto per la Tribù di Pit River contro la Pacific Gas & Electric e aver creato un’università mobile per i Nativi Americani, viene ucciso con un colpo di pistola dal manager dell’associazione cristiana YMCA, Michael Morgan, a Sonoma, nel 1972. Nonostante la fama di razzista di Morgan, e il fatto che Oakes fosse disarmato, l’uomo viene assolto per Legittima Difesa.

 

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Richard Oakes verrà assassinato nel 1972

 

Molte sono le storie di San Francisco, racconti di lotta, di sacrificio, di pericoli affrontati con coraggio in nome di un’idea, di una causa. Ne ho scelti tre, ma molti altri si nascondono tra le vie pittoresche di Castro, lungo le discese di Mission, tra le foreste di Presidio. Come la storia di Harvey Milk, che poco dopo la morte di Oakes combatté per i diritti degli omosessuali, primo politico delle istituzioni ad aver fatto outing, e che fu ucciso nel 1978 assieme al sindaco George Moscone dall’ex consigliere comunale Dan White. Oppure dello scrittore, giornalista e attivista Jack London, che dopo essere stato un cercatore d’oro nel Klondike scrisse l’indimenticabile Zanna Bianca, spendendo la sua vita in favore dei lavoratori, dell’ambiente, degli animali e la cui morte resta ancora oggi un mistero. Storie vissute all’ombra del Golden Gate che hanno sedimentato come un’eco lontana nell’immaginario dell’umanità intera, spingendola in ogni epoca verso un futuro più libero e più giusto.

 

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