Il clima a Bruxelles, dopo gli attentati di Parigi.

Contrariamente a quanto ci si aspetti, Bruxelles non è quel capolavoro di efficienza urbanistica che la sua posizione geografica tenderebbe a farci credere. Alle prime ore dell’alba gli autobus sono rari per cui anche questo sabato mattina me ne torno a casa a piedi, cullato dal freddo vento del Nord dopo una serata rampante al Recyclart, un noto club del centro. Tutto attorno il solito spettacolo di degrado alcolico e perdizione giovanile, condito con una punta di prevenzione in salsa armata. Davanti al Quick Burger (nota catena di fast food francese) della fermata Louise, stazionano quattro soldati in tenuta d’assalto. Un primo slancio di curiosità mi spinge ad avvicinarmi per interrogarli al riguardo ma poi il portamento atarassico dei ‘fantastici quattro’ funge da perfetto deterrente e me ne torno sui miei passi con le mani in tasca. Pazienza, la curiosità attenderà fino a domani.

 

Qualche ora dopo mi sveglio con la voglia di andare al mercato di Flagey. Fuori nevica, eppure gli infaticabili mercanti restano al freddo pur di assicurare ai pochi clienti il proprio irreprensibile servizio. In giro non c’è nessuno e la comunicazione è ridotta al minimo come se tutti si preparassero ad assistere a qualcosa di inimmaginabile. I negozi antistanti sono chiusi, le auto non circolano, si sente quasi il rumore dei fiocchi di neve cadere sull’asfalto. Stanco di quell’atmosfera che mi ricorda l’escursione ad Auschwitz Birkenau dello scorso gennaio, riprendo la via di casa prima di scrivere ad un amico per sapere se ha intenzione di accompagnarmi ad una mostra fotografica. “Ma hai letto i giornali stamattina?!”, risponde Clément. Evidentemente no. Gli elementi fino a quel momento incomprensibili acquistano un senso, tornato a casa corro in salone dove i miei coinquilini francesi contemplano madre televisione in stato d’eccitazione. “Bruxelles è in stato d’allerta 4, boom, boom! Siamo noi i prossimi, pentitevi dei vostri peccati!”. La voce, ovviamente, non è quella del primo ministro belga ma del mio vicino di camera che non ci risparmia la sua ilarità anche in questa occasione. Comunque di vero c’è che lo stato d’allerta è al massimo, una sgradevole novità per Bruxelles.

 

Un attacco terrorista simile a quello di Parigi potrebbe prodursi in ogni momento anche a Bruxelles e per garantire la sicurezza dei cittadini tutte le linee della metro sono chiuse, cosi come la maggior parte delle boutique e dei centri commerciali. Stranamente questa notizia non mi sconvolge dato che la situazione securitaria della capitale belga è precaria già da una settimana, specialmente nei quartieri sensibili come Molenbeek. Quello che mi stupisce è l’allarmismo generale in cui i media si ostinano a gettare la popolazione con un’interminabile edizione straordinaria all’insegna della psicosi di massa.

 

Nessuna notizia precisa su Bruxelles è stata divulgata dalle autorità e tutto sembra essere costruito sulle indiscrezioni filtrate in modo confuso. Il vuoto lasciato dal silenzio di chi dovrebbe parlare è colmato dalle voci indistinte dell’informazione sensazionalistica, ovunque si vedono immagini in diretta di strade e stazioni deserte senza che ciò abbia la benché minima rilevanza per le inchieste in atto. È normale che poi un Clément qualunque insista per non venire alla mostra cui lo avevo invitato né tantomeno alla Pink Night, serata di chiusura del festival del cinema queer, peraltro annullata. Nel suo caso c’è da dire che, essendo parigino, è facile preda della ‘sindrome da final destination’, tuttavia la reazione di panico è collettiva e in molti decidono di non varcare la soglia di casa. Quanto a me, decido di accompagnare degli amici all’ultima proiezione della sopracitata kermesse cui seguirà un party improvvisato nel bar del Cinema Nova, dove il festival ha luogo. Analizzando le simbologie della carneficina al Bataclan di Parigi, Justin E. H. Smith ha concluso che l’’oscenità’ della civiltà occidentale, tanto invisa ai fondamentalisti, deve essere difesa. Quale miglior occasione dell’ultimo giorno del Pink Screens?

 

Il viaggio in autobus fino al Cinema Nova è desolante. Le persone alla fermata si guardano l’un l’altra come a volersi accertare dell’affidabilità degli altri passeggeri e sussultano al passaggio di ogni volante della polizia. I lampioni di Mont des Arts sono spenti, la città sembra abbandonata come l’Europa di Lars Von Trier in Element of Crime, umida, malsana, e tenebrosa. Mi domando cosa renda cosi sicuri tutti coloro che hanno rinunciato ad uscire che domani, dopodomani o dopodomani l’altro, la situazione sarà completamente diversa e che potremo tornare a non preoccuparcene fino alla prossima minaccia. È curioso notare come la massa si lasci prendere dallo psicodramma con la stessa velocità con cui è in grado di digerirlo. Molto presto si abituerà alle operazioni congiunte delle squadre speciali e alla presenza dei militari, lascerà scivolare nel suo ventre le domande sui dettagli dell’accaduto o sul perché di un tale stato d’allerta, se era realmente necessario o se serviva in parte a salvare la faccia di un governo svergognato dalla Francia sulle tribune internazionali. Nessuno ha le risposte per il momento, è bene diffidare degli strilloni di piazza.

 

Fortunatamente la Provvidenza ha agito perché nessuna mattanza di ‘gay, lesbian and their friends’ si producesse quella notte, tutti abbiamo fatto ritorno alle nostre dimore nel silenzio assordante di un tacito coprifuoco. Nonostante l’assenza di chiare delucidazioni, lo stato d’allerta 4 è conservato anche per i giorni seguenti e i giovani impiegati si devono adeguare ad una vita senza metropolitane, con grande giubilo della mia ragazza che lavora dall’altra parte della città.

 

Come ho già detto, Bruxelles non è un capolavoro di efficienza ma questa volta il motivo è un altro.