Henry Jenkins, il profeta della cultura convergente, lo aveva predetto: verrà presto il giorno in cui saranno i consumatori ad avere una presa diretta sul prodotto mediale e la cultura grassroots avrà un peso senza precedenti. Orbene, quel giorno è già arrivato. Nel mondo di Twitter e Instagram il significato della parola “start up” non è più un segreto per nessuno e da qualche tempo gli smanettoni dell’informatica, Zuckerberg compreso, tirano fuori dal loro cilindro digitale applicazioni che valgono una fortuna. La rivoluzione sta proprio in questo, ad oggi disponiamo di tutti i mezzi necessari per dare alla luce software che modificano radicalmente il nostro modo di interagire, nel bene e nel male. C’è chi partorisce genialità del calibro di whatsapp o viber, e chi invece s’inventa un dispositivo come zombies, run! pur di spedire i più pigri a correre quotidianamente in uno scenario à la Walking Dead. E questa non è che la punta dell’iceberg, l’albero che nasconde una foresta d’infinite possibilità. Infatti, start up, applicazioni e siti internet vari sono fondamentali per lottare contro quella che potremmo definire la “mistificazione moderna”, ovvero il grande inganno mediatico. Ogni giorno ci sorbiamo prodotti mediali come musica, spot e film di vario genere, ma quanto di tutto ciò è realmente originale? A tal proposito vorrei raccontarvi una storia, la storia di come una parte dei miei sogni adolescenziali si è infranta nel giro di cinque minuti.

Bruxelles, ore 22:50. Sono appena tornato da un festival e tutto quello che voglio è abbracciare appassionatamente il mio cuscino per qualche ora prima di riprendere la mia vita da studente. Il mio coinquilino Yann, noto ai più come dj Haring, non può riposare e dopo una giornata d’intenso lavoro m’invita a bere una tazza di tè chai in camera sua. Dice di avere qualcosa da farmi assolutamente vedere.

“Lo conosci il sito whosampled?”.
“No”, rispondo garbatamente. L’idea di lanciarmi in una conversazione più lunga di due minuti non mi sfiora nemmeno, quindi non faccio domande.
“È un sito internet che ho scoperto di recente. Ha cambiato la mia prospettiva sul mondo. In pratica è un sito su cui gli utenti postano i plagi di gruppi famosi. Ti stupiresti di sapere chi ha plagiato chi”.

Per quanto il mio cervello sia pronto esclusivamente per una lobotomia d’urgenza, m’incuriosisco e decido di rinunciare al sonno per qualche altro minuto. Giusto il tempo di sapere “chi ha plagiato chi”.

“Dai, dimmi il nome di un gruppo che ti piace, vediamo cosa hanno copiato.”
“Daft Punk”, rispondo senza riflettere. Chi non sarebbe curioso di sapere se i due geni di Versailles hanno fatto man bassa di canzoni altrui oppure hanno elaborato quelle melodie fenomenali attingendo al loro alchemico carisma musicale?
“D-A-F-T-P-U-N-K, vediamo un po’. Wow! Ci hanno davvero dato dentro i ragazzi!”.
Mi riprendo dal torpore e sgrano gli occhi per vedere meglio le scritte sullo schermo del suo pc. Non mi sono sbagliato, il sito ha campionato 267 plagi potenziali, 82 remix e 47 cover.
“Davvero non male. Yann, possiamo vedere più nel dettaglio cosa avrebbero copiato?”.
“Certamente!”

E questa è una richiesta che non avrei mai dovuto avanzare. Se come me siete cresciuti ascoltando un album come Discovery e guardando tutti i bei video sgargianti di Interstella 5555, immaginando di poter aiutare Shep a salvare Stella, Octave, Baryl e Arpegius, questo è il momento di smettere di leggere questo articolo.

Allora, tanto per cominciare, vi piacciono le ritmiche ipnotiche di Harder, better, faster, stronger? Bé allora vi piacerà anche Cola bottle baby di Edwin Birdsong, dal momento che la base è stata ripresa integralmente da questa hit del 1979. Una data, a quanto pare, molto cara a Bangalter e de Homem-Christo: di quell’anno è appunto anche I love you more di George Duke, “l’ingrediente segreto” che ha permesso la sintesi di una pietra miliare come Digital Love. E qui vi concedo di versare una lacrima. La prossima “vittima” è la fantastica Aerodynamic, un pezzo che tutti quanti hanno ballato almeno una volta nella loro vita. In questo caso il taglia e cuci è stato operato su un pezzo delle Sister Sledge dall’accattivante titolo Il Macquillage lady. Che dire, i ragazzi hanno una passione irrefrenabile per il Funky… e gli anni ’70. I brani che hanno “ispirato” Crescendolls e Face to face vengono dritti dritti dal decennio che ha visto spegnersi Hendrix, Morrison e Joplin, che si tratti di un requiem in loro memoria? Me lo auguro proprio. La lista potrebbe continuare ancora a lungo ma preferisco non infliggervi altre pene per cui mi fermo qui.

La trafila di plagi menzionati non ha come scopo quello di ridimensionare il talento dei Daft Punk, che considero tuttora dei veri e propri maestri, né si tratta di un’eccezione particolare (provate a digitare Coldplay, ne vedrete delle belle). Direi piuttosto che funziona bene come pretesto per mostrare come:

  1. La musica contemporanea è più che figlia degli anni ‘60/’70/’80.
  2. Il marketing appesta qualunque aspetto della produzione artistica.

Non discuterò il primo punto, mi pare una verità abbastanza evidente, il secondo, invece, è parte di una questione più ampia e delicata. Quando le esigenze di mercato contano più della genuinità, l’arte ne risulta svilita. Come ben sappiamo profitto e frutti dell’umano spirito dovrebbero stare agli antipodi, tuttavia oggi come oggi vanno a letto assieme molto più di quanto sarebbe tollerabile. I “persuasori occulti” ci raggirano continuamente, ci vendono il vecchio per il nuovo e mettono l’incasso al centro di tutta la filiera produttiva. Ciò ha chiaramente delle sgradite conseguenze per chi l’arte la crea e chi la esperisce, il nuovo paradigma prevede che l’artista sappia vendersi altrimenti è condannato per sempre alla “nicchia” e dunque ad un potenziale oblio.

Per difendere l’arte in tutte le sue forme non abbiamo bisogno di supereroi, possiamo benissimo farlo noi tutti grazie ai nuovi miracoli della tecnologia informatica. Teoricamente saremmo in grado di dirigere tutto in modo da salvaguardare l’autenticità, basta solo che ci attiviamo perché l’auspicio si concretizzi. E allora non mi resta che dire, utenti di tutto il mondo, unitevi!