“Eh figlio mio, noi siamo in un sogno dentro a un sogno”
(Totò in “Che cosa sono le nuvole” di Pier Paolo Pasolini)
 
Ebbene si, il rendez-vous mondiali è infine giunto ed il grande classico Inghilterra-Italia fa già parte della storia del calcio.
E cos’è impossibile da non notare quando ha inizio la World Cup? La altrettanto “classica” fiumana di gente che si riversa nelle piazze per vedere la partita della propria nazionale quasi fosse richiamata dalla musica di un pifferaio magico (potevo forse usare una metafora meno patetica di questo riferimento alla fiaba dei fratelli Grimm, mea culpa, ma dopo aver passato un’intera serata 
a fare tequile non mi è venuto altro alla mente #hangover).
 
Diario del (im)perfetto tifoso
(ammetto che io e il calcio siamo come due universi paralleli. Una cosa però la so anche io: l’arbitro è quell’uomo vestito di nero che corre come un matto per tutto il campo e fischia a più riprese quando due giocatori avversarsi decidono di sfondarsi le tibie)
Ovviamente, quando arrivi dov’è piazzato il maxischermo, di una seggiola libera neanche l’ombra. E guai a te se tenti soltanto di allungare una mano sperando di afferrare quello sgabello (all’apparenza) abbandonato: “Ma che ca##########o fai!” sarà la risposta più educata che riceverai per il gesto maldestro.
E della fila chilometrica davanti al baracchino delle birre vogliamo parlarne? “Poveri illusi” ti dici sogghignando; ed afferri la bottiglia di Peroni (o Moretti se preferisci) portata da casa guardando negli occhi proprio l’ultimo della serpentina infinita che in quel momento vorrebbe solo annichilirti.
Arriva il calcio di inizio, “piiiiiiiiiii”, e, seduto su di un sasso dalle forme decisamente troppo aguzze, te ne stai immobile e sofferente mentre sullo schermo il pallone comincia a roteare e a muoversi vorticosamente tra i piedi degli atleti.
Proprio quando credi che oramai tutte le prove più ardue siano state superate, accade proprio quello che ogni volta preghi la Madonna non possa succedere proprio a te ma allo sfigato di turno alla tua destra (o sinistra, tanto per essere politically correct). Due energumeni giganti prendono il posto dei bambini di fronte dei quali avevi calcolato attentamente l’altezza per evitare che il tuo campo visivo ne fosse intralciato: “ciao papà”. Ma come “ciao papà!? Non potete farmi questo, NOOO!”. Ahimè, non c’è niente da fare. Provare in qualche modo a stendere i due colossi è un’ipotesi che escludi a priori vista la loro mole. Questi, senza il minimo sforzo, sarebbero in grado di “arrocchettarti” e farti sperare di non essere mai nato. Spostarsi poi dal piccolo cantuccio conquistato con tanta fatica è impossibile quasi quanto la prima delle idee: la densità di persone attorno a te è infatti talmente alta che sperare di percorrere un solo metro è pura fantascienza. E’ già un miracolo tu riesca a respirare in quella calca, figurarsi provare ad uscirne: “e sta fermo! Ma te voi sta’ fermo?! Cogl##ne”. Alzi le braccia, sospiri. Oramai sei condannato a dover deambulare per 90 interminabili minuti (più recupero) seguendo al millimetro gli spostamenti dei due tizi e sperando di vederci qualcosa.
 
[Dopo patimenti indicibili la partita volge al termine]
 
La “battaglia” in campo si conclude e in un istante, ciò che “voi umani non potete neanche immaginare” ti si palesa tutt’attorno. Proprio come nel finale della pellicola “In nome del popolo italiano” di Dino Risi (dove il regista dipinge i festeggiamenti di alcuni tifosi dopo una partita fittizia disputata proprio tra Italia e Inghilterra; ed anche nel film è la prima  a spuntarla J ), caroselli di veicoli di ogni tipo (importante è che emettano un suono il più sgradevole e squillante possibile) prendono possesso delle strade della città, e un’orda barbarica si riversa per strada urlando come la bimba de l’ “Esorcista” ed inveendo contro qualsiasi tipo di divinità venga alla mente. E a prender parte ai festeggiamenti ci sono tutti, ma proprio tutti: preti che ballano in cerchio e cantano cori da stadio, vecchi nostalgici di regimi autoritari che furono, militari, mignotte-trans e borgatari. E guai se fortuitamente questa tribù unna dovesse incontrare un’auto con la targa della nazionale umiliata. Sarebbe data alle fiamme!
 

W  Verdi (quest’espressione dei tempi del risorgimento è per i più retrò)! W l’Italia (con la stessa intonazione della canzone di De Gregori)! Forza azzurri ( un po’ d’amor di patria non credo guasti visto il momento storico particolarmente difficile che lo stivale sta passando)!