Un’analisi delle proposte dei partiti in corsa per le elezioni del 4 marzo.

 

 

«Un politico pensa alle prossime elezioni, un uomo di stato alle prossime generazioni. Un politico pensa al successo del suo partito, lo statista a quello del suo paese»

diceva James Freeman Clarke, predicatore statunitense alla fine dell’Ottocento. Se esiste un momento, nel ciclico travaglio dello stato italiano, in cui questa massima viene disattesa, è quello della campagna elettorale: promesse inattuabili, scontri feroci, slogan ingenui, la querelle per il voto nazionale è da sempre un’idra le cui teste la realtà dei fatti taglia solo per vederle rispuntare alla tornata successiva. Dal Partito Democratico al Centrodestra, dal M5S a Liberi e Uguali, abbiamo deciso di analizzare questo mostro mitologico e realizzare, laddove possibile, un fact checking puntuale per riportare, attraverso lo spietato realismo dei numeri, una parvenza di veridicità nella più grande recita della politica italiana. Non abbiamo incluso i programmi di partiti minori che si presentano in coalizione coi maggiori (come quello di +Europa, tra i più avanzati) o da soli (come quello di Potere al Popolo che è riuscito in poco tempo a trovare le firme necessarie per concorrere elle elezioni), ma invitiamo i nostri lettori a cercarli perché forniscono interessanti spunti alla discussione politica.

 

Il Partito Democratico

Il 2 febbraio a Bologna, il Partito di Matteo Renzi ha presentato un programma, per l’eventuale nuovo mandato, sostanzialmente in continuità con il lavoro già fatto in questi ultimi quattro anni e relativamente ben circostanziato, diviso in quattro parti: Lavoro, Europa, Welfare (Prendersi cura delle persone) e Cultura, scritte dal segretario Renzi e da Tommaso Nannicini, docente della Bocconi e candidato al parlamento. Non risulta il più avanzato tra i molti proposti, ma il più realistico, essendo basato sulle politiche già attuate e in evoluzione negli ultimi quattro anni di governo.

 

Lavoro e Fisco: Sul fronte lavoro il PD intende completare il Jobs Act, con una riduzione del cuneo fiscale di 4 punti in più anni e sgravi per le assunzioni stabili, sul fronte opposto riduzione del tempo permesso ai contratti a termine da 36 a 24 mesi, che diverrebbero più onerosi, e un salario minimo garantito di 9 euro l’ora. Si aggiungono anche ammortizzatori per gli autonomi e assunzioni nel pubblico. Questo impianto di proposte si pone in continuità, come accennato, coi provvedimenti già presi dal governo in questi ultimi anni, e le coperture finanziarie sembrerebbero raggiungibili, ovvero 7 miliardi, più altri 2 per gli sgravi proposti.

 

Sul fronte tasse e welfare, il PD intende sostenere le famiglie grazie a una misura fiscale unica con 240 euro di detrazione Irpef mensile per i figli fino ai 18 anni, e 80 euro fino ai 26, applicabile a tutti i nuclei entro i 100.000 euro di reddito annuo, con un sistema di riduzione progressiva dei benefici. Anche qui, la copertura prevista, ovvero 9-10 miliardi di euro, è la stessa dei famosi 80 euro, quindi già testata in questi anni, ma nel programma non risulta chiaro il meccanismo di uscita dal bonus, se per beneficiarne serva il reddito disponibile o l’Isee e quando i figli siano da considerare a carico o meno. In aggiunta a queste misure, Renzi vorrebbe aumentare i 2 miliardi di euro annui che oggi il governo destina al Reddito di Inclusione, di cui beneficiano circa due milioni di poveri, ma non ha specificato cifre. Altri punti, come la ricollocazione di lavoratori oltre i 50 anni e la pensione di garanzia per i giovani a 700 euro, sono tutti da verificare.

 

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Matteo Renzi

 

Cultura: La nota dolente dei programmi di tutti i maggiori partiti sta proprio in una sezione cultura spesso priva di una visione ampia e unitaria, e quello del PD non fa eccezione. Detta per sommi capi, Renzi e Nannicini propongono di proseguire il piano di edilizia per la scuola (700 milioni già stanziati nel 2017), implemento, come già fatto, delle borse di studio, libri gratuiti nelle università, investimenti negli atenei per superare il numero chiuso e migliori sistemi di reclutamento dei ricercatori (con 10.000 nuove assunzioni di tipo B in 5 anni). Tutti buoni propositi, ma non è chiaro dove e come sia possibile recuperare i fondi necessari, né quanti ne servano. Per il digitale, invece, poche nuove idee e sostanziale conferma delle politiche precedenti (che sono risultate un po’ scarse), con l’implementazione di Industria 4.0 del Ministro Calenda e dell’ultrabroadband di Renzi, per coprire con Internet anche aree a fallimento di mercato. In aggiunta un piano di Cultura 4.0: digitalizzazione del nostro patrimonio culturale, del sistema scolastico, della formazione degli addetti ai lavori e del turismo. Meglio di altri programmi ma ancora insufficiente. Come ha scritto Massimo Mantellini di Manteblog:

 

«Il PD è una forza tranquilla del cambiamento: tranquilla ok, ma così è pure troppo».

 

Immigrazione: La questione dei migranti è l’elefante nella stanza delle elezioni moderne, sulla cui gestione si gioca il consenso popolare di ogni partito. Il programma del PD è una sostanziale prosecuzione del piano Minniti: controlli alla frontiera, guerra ai trafficanti di esseri umani, recupero in mare dei migranti, accoglienza per i richiedenti asilo, controllo sulle ONG, accordi e sostegno militare ai paesi di transito e investimenti nelle aree sottosviluppate di Africa e Medio Oriente. Si aggiungono due nuovi punti: il primo, già annunciato negli anni passati, è una revisione degli accordi di Dublino per una più equa distribuzione dei migranti in Europa, molto difficile da attuare ma imprescindibile sia per l’Italia che per l’Unione; il secondo, e bisogna dare atto al PD del coraggio di averlo proposto, la creazione, in alcuni casi, di corridoi umanitari diretti e di un sistema di quote per controllare istituzionalmente i flussi migratori. Inoltre lo Ius Culturae, che regolarizzerebbe le seconde generazioni di immigrati, inserendole in modo proficuo nel sistema Italia. I costi di questa strategia, già ampiamente sostenuti dallo stato italiano, sono stati parzialmente giustificati dalla sua riuscita in questo ultimo anno.

 

Il Centrodestra

Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Noi con l’Italia, i principali partiti del Centrodestra, si presenteranno in coalizione alle prossime elezioni, e il 18 gennaio si sono riuniti per firmare un programma comune, che consiste in 12 paginette di elenchi puntati con frasi come “Abolizione e limite all’uso del contante”, senza alcuna spiegazione inerente alla loro realizzazione. Più che un programma il Centrodestra ha dunque presentato una dichiarazione di intenti (quando non una semplice raccolta di slogan elettorali), la cui efficacia risiede più nella presa comunicativa che nella realizzabilità. Solo incrociandolo con le dichiarazioni dei leader di partito è possibile dare un quadro un po’ meno nebuloso alla futura azione di governo dei probabili vincitori delle prossime elezioni.

 

 

Lavoro e Fisco: Il Centrodestra mira all’impiego giovanile, valorizzando stage, apprendistato e lavoro stabile tramite un azzeramento dei contributi: il risparmio per le imprese, circa 8000 euro l’anno, sarebbe ingente, ma il costo di tutta l’operazione, circa 40 miliardi di euro, è troppo oneroso per lo Stato anche nella più felice ipotesi. La Lega aggiunge a questo piano per il lavoro il ritorno dell’articolo 18, cosa che però vede contraria Forza Italia. La ‘Flattax’ è un altro cavallo di battaglia del Centrodestra: imposta fissa al 15% (Lega) o più realisticamente al 22-23% (Forza Italia), che però costerebbe allo Stato altri 100 miliardi assolutamente irreperibili. FdI ha risposto che, grazie a un’imposta così bassa, la prosperità economica derivata ripagherà da sola il suo costo, ma a essere sinceri, una crescita immediata, ma anche progressiva, di 100 miliardi di PIL risulta poco realistica. Inoltre la ‘Flattax’ non rispetterebbe il principio costituzionale di progressività del fisco, ovvero quella regola secondo la quale chi guadagna di più contribuisce maggiormente alla salute dello Stato. Si aggiungerebbero a un piano economico già molto oneroso (150 miliardi) l’abolizione delle tasse su imposte, donazioni, successione, prima casa, bollo della prima auto, risparmi, e incentivi per disabili e ragazze madri.

 

La Lega chiede inoltre l’abolizione della legge Fornero, senza specificare dove troverà i 350 miliardi di risparmi cumulabili per il prossimo mezzo secolo. Una proposta interessante invece è quella del quoziente familiare, sostanzialmente in linea con la misura fiscale unica del PD: il Centrodestra vorrebbe applicare le aliquote Irpef a seconda del numero dei figli avvantaggiando i nuclei familiari numerosi, e le coperture, anche se non specificate, dovrebbero esserci. FdI chiede anche un Reddito di Infanzia, 400 euro mensili per ogni figlio entro i 6 anni, per i redditi sotto gli 80mila euro l’anno (in totale quindi circa 20 miliardi) una misura che però presenta alcune criticità, in un’epoca in cui i figli sono onerosi per la famiglia ben oltre l’infanzia. La Lega invece si concentra sulle giovani coppie, aggiungendo a un piano di sostegno dei genitori in linea con quelli già detti, anche gli asili nido gratuiti. Altra proposta di FI il Reddito di Dignità, in risposta al REI di Renzi e al Reddito di Cittadinanza del M5S: 1000 euro al mese per i circa 5 milioni di italiani sotto la soglia della povertà assoluta. Berlusconi ha anche rilanciato la possibilità di portare sempre a 1000 euro al mese tutte le pensioni minime, per un costo che potrebbe raggiungere i 10 miliardi.Il centrodestra non specifica,per la maggior parte di queste politiche, né i modi della loro attuazione né le coperture necessarie, rendendole quindi inverificabili, ma possiamo azzardare una spesa che superi di gran lunga i 200 miliardi.

 

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Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini

 

Cultura: Nota dolentissima del programma di Centrodestra è la parte relativa alla cultura, 86 parole in totale, che si riassumono in: conservazione ma correzione della riforma ‘Buona Scuola’ e maggiore libertà per le famiglie di scegliere l’offerta formativa dei figli. Per quanto riguarda invece un piano per il digitale, le 97 parole con cui è descritto sono una sostanziale dichiarazione di intenti senza capo né coda, che va dalla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione a quella del turismo, dal sostegno alle startup a quello per le energie rinnovabili (spiegato con la frase: “Sostegno alle energie rinnovabili”). Sostanzialmente il programma del Centrodestra per la cultura richiede un atto di fede più che la ricerca di fondi.

 

Immigrazione: Il punto forte della comunicazione destrorsa è da sempre e ovunque l’immigrazione. Forza Italia vorrebbe semplicemente proseguire nel percorso già fatto dall’Italia all’epoca dei governi Berlusconi, quindi accordi internazionali con la Libia (realizzati dal governo Gentiloni), creazione di campi profughi (che abbiamo visto sono più che altro lager poco pubblicizzati), lotta agli scafisti (il come non è specificato, ma probabilmente nello stesso modo dell’attuale governo) e una stretta sugli irregolari già attuata con la Bossi-Fini. I ‘respingimenti umanitari’, chiamati così per la regola politica che attribuisce un aggettivo positivo a leggi sostanzialmente negative (vedi ‘Buona Scuola’), sono un altro dei cavalli di battaglia del Centrodestra, che a quanto pare ignora le decine di migliaia di rimpatri attuati dal 2014 a oggi dall’Italia. Con i parametri della Lega, questi respingimenti, già condannati dalla Corte Europea, riguarderebbero circa mezzo milione di persone, una vera deportazione di massa che, anche trascurando l’aspetto umano, avrebbe un costo enorme capace di affossare il bilancio italiano per anni, a fronte poi di una ripresentazione rapida del problema. Altra proposta un ‘piano marshall’ per l’Africa, idea di Angela Merkel e già fatta propria dal governo Gentiloni e dall’UE in generale, che oggi dona annualmente circa 75 miliardi ai paesi in via di sviluppo, ma che nella declinazione del Centrodestra non viene descritto né nei modi né nei costi.

 

Il Movimento 5 Stelle

Il Movimento 5 Stelle si presenterà, come al solito, da solo alle elezioni del 4 marzo, e ha pubblicato il proprio programma sulla piattaforma ‘Rousseau’ grazie alla collaborazione degli iscritti, dei militanti e degli eletti, tramite 20 documenti PDF inerenti a 20 argomenti e azioni di governo previste. Un sistema interessante e sicuramente proiettato al futuro della politica internazionale, che però ha ancora bisogno di tempo per tararsi. L’assenza di una vera e competente supervisione politica dei contenuti ha generato un programma elefantiaco pieno zeppo di scopiazzature e ingenuità che Il Post ha scoperto ed elencato in due lunghi articoli. Circa 11 dei 20 documenti contengono copia-incolla di interviste de La Repubblica, interrogazioni parlamentari del PD, articoli di Wikipedia, privi di citazione degli autori, assemblati senza alcuna revisione critica a causa dell’incompetenza e della pigrizia (più che per dolo) dei responsabili. Una caduta di serietà imperdonabile per chi aspiri al governo di una nazione. Tuttavia il programma del M5S, al netto della sua parziale insufficienza, conserva punti interessanti come ad esempio la separazione tra Banche di Risparmio e Banche di Investimento, passo necessario per la tenuta del sistema economico moderno.

 

Lavoro e Fisco: Il M5S mira, come PD e Centrodestra, a rilanciare il lavoro giovanile attraverso investimenti nei settori tecnologici ad alto moltiplicatore occupazionale e una riduzione delle imposte sulle imprese e sul lavoro. Inoltre il M5S vuole implementare i Centri per l’impiego con 2 miliardi, ed è indeciso se ripristinare o meno l’articolo 18 (Di Maio lo propone, ad esempio, solo per le aziende sopra i 15 dipendenti). Tutte queste misure sono però ampiamente indeterminate, non si indicano gli sgravi per le imprese, e i settori ‘ad alto moltiplicatore occupazionale’ non sono descritti restando in una nebulosa genericità aperta a qualsiasi interpretazione. Insomma il documento di 96 pagine dedicato allo Sviluppo Economico, che contiene persino articoli di Fitoussi (non citato) su National Geographic e un’intervista di Carlo Sibilia (sempre non citato) a Helena Norber-Hodge, non trova spazio per descrivere come verranno attuate le sue più importanti riforme.

 

Per quanto riguarda famiglie e fisco appare nel programma il quoziente familiare, proposta interessante, già presente in quello del Centrodestra e simile alla misura fiscale unica del PD, ma in esplicito riferimento al modello francese, con IVA agevolata per i prodotti neonatali (ottima idea), agevolazione per le assunzioni di colf, rimborsi per asili nido, pannolini e baby sitter. Il programma ipotizza un costo di circa 17 miliardi, ma non indica le relative coperture, inoltre l’indeterminatezza dei parametri con cui sarà applicato rendono il quoziente familiare difficile da calcolare. A questi si aggiunge il reddito di cittadinanza, uno dei cavalli di battaglia del Movimento, che trasformerebbe enormemente il REI di Renzi, portando almeno 780 euro mensili ai maggiorenni che abbiano lavorato negli ultimi due anni e siano disoccupati, al costo di altri 15 miliardi, da trovare con più tasse su gioco d’azzardo, banche e compagnie petrolifere, col taglio delle auto blu, degli enti inutili, delle pensioni d’oro e dei vitalizi.

 

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Luigi Di Maio

 

Cultura: Sostanzialmente un incremento della spesa pubblica nell’istruzione e nell’implemento e nella manutenzione delle strutture edilizie degli istituti, inoltre un piano di formazione e assunzione docenti in base ai bisogni delle scuole. Altro punto interessante l’inversione di tendenza riguardo ai finanziamenti alle scuole private (fatta eccezione per i nidi), interpretato non ideologicamente ma come scala di priorità in una situazione economica oggettivamente difficile. Il programma prosegue con il sostegno alla ricerca, con un piano per il digitale che riprende l’ultrabroadband di Renzi (letteralmente copiato dal testo del Consiglio dei Ministri), spazi di formazione, net-neutrality e una Rai sul modello della BBC.

 

Immigrazione: L’obiettivo del M5S è azzerare gli sbarchi, non con una chiusura delle frontiere (che comunque non li azzererebbe) ma con la rimozione delle cause delle migrazioni, prima di tutto attraverso un embargo alla vendita di armi (non è chiaro però di che tipo, verso chi e come attivarlo, esiste infatti già una legge in Italia a riguardo, e non sembra particolarmente efficace. Forse si intende in sede UE od ONU? Non è spiegato. In ogni caso il costo per l’Italia si aggirerebbe sui 10 miliardi circa). In secondo luogo un migliore sostegno allo sviluppo africano, poiché, giustamente rileva il M5S, siamo ancora molto lontani da ottemperare agli impegni presi, e l’utilizzo dei fondi da parte dell’Italia è poco trasparente e spesso speculativo. Ma anche qui siamo nel regno dei buoni propositi: di quanto vorrebbero alzare il budget? Oggi spendiamo 4,3 miliardi per i paesi in via di sviluppo, in crescita di 1,3 sul 2014 e in linea con la media europea, ma lontani dallo 0,7% del PIL, circa 12 miliardi, che sembra proporre il M5S, seppure implicitamente. Il programma prosegue con l’apertura di “vie legali all’ingresso UE” che dovrebbe velocizzare le procedure di esame dei migranti (la proposta sembrerebbe fattibile con l’utilizzo dei consolati e delle ambasciate nei paesi di origine e con l’aumento delle commissioni territoriali), e la modifica dei trattati di Dublino sui richiedenti asilo (già in discussione) e sui migranti economici (poco attuabile).

 

Liberi e Uguali

Liberi e Uguali ha messo a disposizione il suo programma online e si presenta alle elezioni non come partito o coalizione ma come cartello elettorale con un leader, Pietro Grasso, che punta alla realizzazione di politiche progressiste, alcune nostalgiche e poco realistiche, altre doverose e possibili.

 

Lavoro e Fisco: Le posizioni del movimento guidato da Pietro Grasso su lavoro, tasse e famiglia sono fortemente esplicative dell’anima di LeU. Per quanto concerne l’impiego, il cartello elettorale propone un ritorno alla situazione precedente alla fine del secolo scorso, con l’abolizione del Jobs Act e di tutto il pregresso legislativo inclusa la Legge Biagi, quindi ripristino totale dell’articolo 18 e stretta su contratti a termine e flessibilità. In aggiunta una nuova campagna di assunzioni nel pubblico impiego, l’assegno di ricollocazione e un implemento di sussidi e ammortizzatori sociali. Tutte queste misure non sono descritte, non è chiaro come il settore industriale reagirebbe all’abolizione di 15 anni di legislazione sul lavoro, quanto e quando sarebbe attuata la campagna sul pubblico impiego e in che misura l’implemento degli ammortizzatori sociali e dei sussidi graverebbe sulle casse dello stato. Sul fronte fiscale una misura unica per le famiglie che includa anche i lavoratori autonomi e le coppie di fatto, in modo da superare il problema dei cittadini con imposta pari a zero che oggi non beneficiano di detrazioni. Ma nessuna specificazione sul costo che avrebbe questa politica, pur condivisibile, estesa peraltro a tutti i tipi di matrimonio vigenti. Accordo invece con il programma del PD per quanto riguarda l’ampliamento del Reddito di Inclusione (che oggi costa 2 miliardi di euro).

 

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Pietro Grasso

 

Cultura: Abolizione della ‘Buona Scuola’, peraltro evoluzione naturale delle riforme già varate dagli stessi componenti di LeU negli ultimi venti anni, e delle tasse universitarie. Rendere le Università gratuite non costerebbe tantissimo: lo stato oggi copre l’80% del peso economico annuale di ogni studente, quindi circa 12 miliardi, cui andrebbero aggiunti i 3 miliardi (un po’ più di 1,6 indicato da Grasso) versati dagli iscritti, ma non sono chiare le implicazioni di questo tipo di misura e quanto aumenterebbe la spesa nel caso, probabile, di crescita del numero di studenti e di un corso di studi più lungo. In Europa ci sono però esempi di questo tipo, le università gratuite si trovano infatti già in nove paesi: Germania, Svezia, Grecia, Danimarca, Slovenia, Malta, Cipro, Finlandia e Polonia e sarebbe stato interessante se il dibattito elettorale avesse preso in considerazione dati e numeri e iniziato un confronto costruttivo sull’argomento. LeU propone anche l’assunzione degli insegnanti precari, il loro adeguamento di stipendio agli standard europei e un piano per l’edilizia scolastica non diverso da M5S e PD. Per quanto riguarda il digitale, la proposta di LeU è quella già formalizzata nella dichiarazione dei diritti Internet approvata in Parlamento, promossa dalla candidata del cartello Laura Boldrini, cui si aggiunge una ferma difesa della net-neutrality.

 

Immigrazione: Sostanzialmente il sistema che già esiste e coperto dal bilancio nazionale, ma migliorato, con l’aggiunta di un permesso di ricerca lavoro, l’abolizione della Bossi-Fini (quindi una diminuzione dei costi rispetto a oggi) e un nuovo Ius Soli. Quindi un sistema “rigoroso, diffuso e integrato” che superi la gestione straordinaria e normalizzi il flusso migratorio.Meno fattibile la proposta di una “domanda di asilo unica europea”, che non sarà in discussione a Bruxelles.

 

 

Tante proposte per un futuro incerto

Nonostante l’ingente numero di promesse, voli pindarici, scandali e slogan di questi ultimi, convulsi giorni di campagna elettorale, il futuro dell’Italia resta sospeso in un limbo di indeterminatezza e l’elettorato è ormai ben consapevole che comunque si arrivi alla mattina del 5 marzo, nessuno schieramento avrà i numeri per governare il paese. Molto probabilmente il Centrodestra raggiungerà e supererà il 35%, con FI e Lega attorno al 15% ciascuna, il PD resterà al 22-25% (un calo che, nonostante il catastrofismo di tanti giornali, non è paragonabile al crollo al 6% dei partiti di centrosinistra, ad esempio francesi, dopo le rispettive prove di governo), il M5S sfiorerà il 30% e LeU il 5%. Con questi risultati il Centrodestra non potrà governare da solo, nonostante le posizioni di Salvini e le marce in piazza della Meloni contro gli inciuci, stesso dicasi dei Cinquestelle, mentre il PD, se vorrà tornare a gestire il paese dovrà scendere a grandi compromessi sul programma degli anni passati.

 

Si apriranno allora, dopo l’insediamento del parlamento e le consultazioni del Presidente della Repubblica, tre scenari: nuove elezioni per l’impossibilità di formare un governo, sperando nell’improbabile ipotesi che, in poco tempo, l’esito del voto cambi radicalmente; la formazione di un governo di larghe intese tra PD e FI a guida Dem (che sono 6 punti sopra FI) con annessi partiti minori, forse guidato da una personalità esterna o capace di mettere d’accordo entrambi i partiti e di conciliare il programma democratico con quello forzista;infine un governo del M5S, che sarà il maggiore gruppo parlamentare, forse con Lega e FdI. Comunque vada, l’unica cosa certa è che le forze politiche continueranno le loro schermaglie ancora a lungo dopo il voto, proseguendo questa campagna elettorale ben oltre la nostra capacità di sopravviverle.