Il sorpasso di Salvini su Di Maio è la prova che un politico di professione è più abile di uno improvvisato.

Domenica 27 maggio 2018 si consuma, in una curiosa alternanza tra aule istituzionali, dirette Facebook e Pomeriggio 5, la più grave crisi politica della storia italiana. Non siamo in un nonsense dei Monthy Python né in una versione paradossale dei romanzi di George Orwell, succede davvero, davanti agli occhi sbalorditi di milioni di italiani. Nei precedenti ottanta giorni, Matteo Salvini, il protagonista di questa crisi istituzionale, ha progressivamente ribaltato i rapporti di forza nel Centrodestra, invertito la leadership con il M5S e imposto alla prossima campagna elettorale il suo argomento più forte: l’adesione all’Europa. La storia del fallimento di governo inizia a marzo su un palco, quello di Montecitorio, che vede le parti recitate da Di Maio e Salvini invertite rispetto a oggi. Il Centrodestra non ha i numeri per governare da solo ma al suo interno il segretario della Lega è riuscito a sopravanzare un riottoso Berlusconi come portavoce della coalizione.

 

Le carte per aprire i giochi sono tutte in mano al M5S che da solo pesa poco meno dell’intero Centrodestra e il doppio della Lega. Salvini davanti a sé ha una strada difficile: da una parte deve addomesticare Forza Italia, cosa che può sembrare semplice vista la debolezza di Berlusconi (di lì a poco riabilitato) solo a chi non consideri l’immensa disparità di mezzi economici e influenza mediatica tra i due; dall’altra ribaltare la leadership popolare col M5S, compito più facile, perché Di Maio, nonostante la buona volontà e la sincera adesione politica, è un leader giovanissimo che non ha esperienza del ‘Gioco del Trono’ dove “o si vince o si muore” (mi perdoni Martin per averlo citato in relazione alla politica italiana).

 

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Matteo Salvini, il protagonista di questa crisi istituzionale

 

Nel giro di due mesi Salvini cannibalizza Forza Italia, passa dal 17% al 27% dei consensi, costringe il Movimento a inseguirlo sul suo stesso terreno e impone il contenuto della nuova campagna elettorale, quel tema Europa che già Le Pen, Alternative Fur Deutschland e Ukip hanno usato con successo prima di lui. Come ci è riuscito? Il grande giocatore vince con le carte che gli sono servite e Salvini ha dimostrato una visione e una capacità tattica che pochi potevano sospettare. Da elettore tutt’altro che simpatizzante non posso negarlo: Salvini è un cavallo di razza della politica italiana e forse il miglior stratega comunicativo che la nazione abbia avuto negli ultimi venti anni. Resta da capire quanto ciò sia un bene. Ma chi è il leader della Lega e come ha posizionato i suoi pezzi sulla scacchiera, negli anni, per arrivare al ruolo di uomo più potente del paese?

 

Eliminando la concorrenza interna

Matteo Salvini è forse uno dei più navigati politici oggi presenti nel Parlamento italiano. La sua carriera ha inizio quasi 30 anni fa, prima di tangentopoli, della fine dell’URSS e un anno dopo la caduta del Muro di Berlino. Giornalista professionista, membro dei Comunisti Padani, dapprima nel consiglio comunale milanese poi eurodeputato e infine in Parlamento dal 2013, Salvini dà una prima dimostrazione di abilità politica affrontando e sconfiggendo i suoi due avversari interni: Tosi e Maroni. Il primo, leader di Ricostruiamo il Paese, fondazione che Salvini vede a ragione come un pericolo, giovane e moderato (per quanto possa esserlo un leghista), è il suo competitor naturale. Grazie alla nomina di un commissario ad acta nel 2015, Tosi viene imbrigliato e il 10 marzo, su spinta di Salvini, espulso dalla Lega. Nonostante l’appoggio di un’area del partito, con tanto di fuoriusciti in suo favore, la parabola di Tosi si chiude nel 2018 quando con Noi per l’Italia (non un caso il richiamo a Noi con Salvini) non entra in Parlamento.

 

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La concorrenza interna

 

Il secondo è più difficile da eliminare, Maroni infatti, presidente della Regione Lombardia, cuore pulsante del partito, appare come l’erede naturale di Bossi. Lo scontro tra i due diventa evidente quando l’ex-ministro non si ricandida alle regionali del 2018, e dopo poco, con gli auspici di Berlusconi, si riavvicina a Tosi creando un’asse anti-Salvini che però fallisce miseramente.

Con la capitolazione di Maroni, Salvini ottiene la leadership incontrastata sul proprio partito e lo traghetta con successo dal federalismo locale al sovranismo nazionalpopolare. Con questa nuova forma trionfa alle elezioni del 2018 e diventa capo del Centrodestra,un risultato inaspettato solo per pochi, vista l’efficace ‘brand identity’ sviluppata dal segretario leghista. Ma con quale mezzo?

 

Usando un’incoerente coerenza

Nella sua lunga carriera Salvini ha dimostrato una straordinaria capacità sia comunicativa sui media e i new media, che politica trasformando le proprie posizioni a seconda delle circostanze ma mantenendo comunque un’immagine coerente e il polso di temi forti e controversi. La sua polemica con la moneta unica ne è una dimostrazione: inizialmente a favore (a Milano la voglio), dal 2013 cambia opinione e si reca a Bruxelles per protestare contro l’unione economica che paragona all’URSS. L’anno seguente diventa eurodeputato e registra un numero di assenze record, evitando così di cambiare l’Europa nel luogo migliore per farlo. L’unità italiana e il meridione sono un altro dei campi in cui la mutevolezza di Salvini non intacca la sua immagine, confermando la capacità comunicativa del segretario leghista, uno dei pochi politici italiani che riesce a insultarti e poi a chiedere il tuo voto, sembrando comunque coerente.

 

Da “il tricolore non mi rappresenta” all’indossarlo in occasione della sua apparizione a La gabbia nel 2015, da “i meridionali non si meritano l’euro” a “bisogna conoscere i problemi del sud”, lo straordinario dono di Salvini non è tanto l’equilibrismo ideologico, simile a quello di tanti politici nel mondo, quanto la capacità di apparire comunque sé stesso e suscitare quindi la fiducia incondizionata di un elettorato sempre crescente. Abilità che, al contrario, Di Maio possiede solo in parte.

 

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La coerente incoerenza di Matteo Salvini

 

Nella sua comunicazione politica, comunque, due aspetti sono rimasti simili negli anni, temi centrali che definiscono oggi l’atteggiamento della Lega in Italia e della destra sociale nel mondo: le lotte contro l’immigrazione e i diritti della comunità LGBTQI. Salvini è riuscito a imbrigliare i propri avversari almeno su uno di questi temi, quando, subito dopo le elezioni, ha mostrato al circo mediatico il suo ‘amico nero’ Tony Iwobi, eletto senatore nelle proprie file, suscitando gli applausi persino dei più razzisti destrorsi del suo seguito. Con quel gesto, accuratamente studiato e preparato, Salvini ha cambiato la natura del dibattito passando dalla contrapposizione semplicistica ‘razzisti-antirazzisti’, che lo danneggiava, a una distinzione più comunicativamente complessa ‘neri buoni-neri cattivi’, che invece può sfruttare a proprio vantaggio.

 

Grazie a questa immagine solo in apparenza coerente, ma ben più sfaccettata e complessa, e complice la percezione disastrosa che gli italiani hanno della loro situazione nazionale, il leader leghista è uscito dalle elezioni come vincitore. Ma un vincitore zoppo, privo di una leadership incontestabile sui suoi alleati da un lato e subordinata dall’altro al più potente partito italiano, il Movimento 5 Stelle. Ed è in questo confronto finale che la capacità comunicativa di Salvini si è accompagnata a quella politica, nata dalla lunga esperienza nelle aule del potere nazionale ed europeo. Per attuare la sua strategia il leader leghista ha usato un elemento in particolare.

 

Il governo del cambiamento: cronaca di una morte annunciata (o forse no?)

Il tempo. Chi ha letto l’Arte della Guerra di Chuan Tzu, stratega cinese del V secolo a.C., molto apprezzato dalla generazione di Salvini, sa che il tempo è uno degli strumenti più importanti a disposizione dell’abile generale per vincere una battaglia o una guerra. Il leader leghista apre il periodo postelettorale ripetendo come un mantra di essere il vincitore, nonostante una posizione interna ed esterna tutt’altro che sicura, ma in realtà quello che sta facendo è prendere tempo mentre prepara il terreno per due possibili esiti: non formare un governo (l’alleanza M5S e PD è ancora possibile) e andare all’opposizione lamentando un colpo di stato contro il popolo; oppure incrementare il consenso smarcandosi da Berlusconi grazie a un avvicinamento col Movimento, in tal modo erodendo i voti di entrambi i suoi avversari naturali e poi, col tempo, decidere se tornare alle elezioni lamentando un colpo di stato contro il popolo oppure ottenere ministeri pesanti nell’alleanza. Una win/win (e aggiungerei win) situation che ha un unico fine: apparire come l’eroe  contro l’estabilishment nazionale, europeo o finanziario o tutte e tre assieme.

 

 

Quindi attende, mentre le roboanti dichiarazioni di Di Maio sui ‘due forni’ risultano già allora (ma ancora di più rivedendole oggi) patetiche. Alla fine il Movimento è costretto a scendere a patti con lui e a iniziare una trattativa di governo che progressivamente si leghizza. Nonostante l’enorme differenza di voti tra i due partiti, Salvini tratta coi 5S su un piano paritario, grazie a capacità politiche che, spiace dirlo, gli altri non hanno o non hanno ancora maturato. Riesce a bloccare la premiership di Di Maio, che invece sarebbe naturale (il M5S ha il 32%, la Lega il 17%) in cambio del suo abbandono di due partiti, Forza Italia e Fratelli d’Italia, di cui non ha bisogno se non come spauracchio, una riserva che da buon generale tiene scalpitante dietro la prima linea.

 

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Salvini tratta coi 5S su un piano paritario

 

Lo stesso contratto di governo, e più ancora la sua bozza, dimostrano come la Lega abbia fin da subito influenzato temi e indirizzi politici dell’alleanza in modo sapiente, portando i rapporti di forza a un livello che, immaginiamo, avranno stupito l’acuto Davide Casaleggio. La pubblicazione intempestiva della bozza del contratto è un elemento da considerare in questo quadro come un momento chiave della prova di forza tra i due partiti: chi l’ha passata ai giornali? Improbabile siano stati i loro avversari, vista l’accortezza con cui si è svolta la trattativa. Forse Di Maio e i suoi, sperando di forzare la mano a Salvini e rimettere il contratto di governo su binari più consoni al Movimento? Oppure è stata la Lega in vista della nomina di Savona, per intimorire i mercati e il Quirinale? Non lo sapremo mai. Ma l’uscita di quel documento è un punto di svolta, più dell’attesa riabilitazione di Berlusconi. La Lega sembra cedere su alcuni contenuti ma Salvini non si dà per vinto, anzi sfrutta la situazione a suo vantaggio. I sondaggi lo danno a pochi punti dal Movimento, un’imminente prova di governo in cui la Lega sia subordinata ai 5S potrebbe danneggiarla e non permetterebbe di capitalizzare subito il vantaggio acquisito sul Centrodestra, spazio naturale del partito leghista.

 

Conte, già proposto per il fantagoverno da Di Maio, viene designato e inviato al Quirinale dove la presidenza è indispettita per la forma privatistica con cui il contratto di governo è stato varato e per la figura non politica del premier. Mattarella, dopo i sobbalzi dei mercati dovuti alla bozza del programma, chiede di intervenire sul Ministro dell’Economia e Salvini prende la palla al balzo. Non per caso si è fatto dare quel ministero, che per inesperienza, ingenuità o forse in cambio della premiership (che comunque spettava loro lo stesso) i 5S gli hanno affidato. Infatti il Ministro dell’Economia in un’unione economica tra più stati è in assoluto il più importante membro del governo e non lavora da solo, ma in collegialità con i suoi simili europei. Aver ceduto la nomina della figura più delicata di tutto l’esecutivo al partito minoritario dell’alleanza, membro di una coalizione avversaria che ha tutto l’interesse a capitalizzare un vantaggio da poco acquisito, è forse l’errore fatale del Movimento.

 

E infatti crolla tutto. Salvini (non Conte, che invece sarebbe legalmente incaricato a farlo) nomina il tecnico esterno Savona, poi rifiuta di sostituirlo con Giorgetti, economista laureato alla Bocconi e numero due della Lega, regolarmente eletto e indicato dal Quirinale. Salvini conosce Mattarella e la vecchia scuola, lo hanno cresciuto loro, prima nei consigli comunali, poi nei parlamenti europeo e italiano, sa che il Presidente reagirà in qualche modo dando a lui il pretesto per raccogliere i frutti di una trattativa che ormai è tornata nell’alveo della campagna elettorale.

Il leader leghista (e di nuovo non Conte) scioglie l’accordo mentre Di Maio appare sempre più costernato e disorientato, ha usato gli ultimi mesi per vestire l’abito del riformatore istituzionale e ora deve tornare a fare il capo popolo nelle piazze italiane. Ci riesce solo in parte e Casaleggio richiama Di Battista perché sopperisca a questa storica débacle, condita da tanto di minaccia di impeachment, roboante quanto ridicola, che mostra il segretario del più potente partito italiano ridotto a copiare Giorgia Meloni per salvare la faccia.

 

Matteo Salvini è un grande stratega?

Il grande stratega non pensa alla prossima mossa ma alle prossime dieci, Salvini ha dimostrato proprio questa attitudine. Mentre molti guardavano solo alla situazione del momento, sognando governi rivoluzionari e orizzonti sconfinati di gloria, lui contemplava le contingenze, faceva i suoi calcoli e agiva posizionando i propri pezzi sulla scacchiera in modo da vincere in ogni caso. Ha costruito, aiutato dalle circostanze, quello che negli scacchi è chiamato Zugzwang, una tattica che obbliga l’avversario a muovere, in genere il Re (Mattarella), portando a un inevitabile scacco matto finale. E l’ha fatto non solo per volgere a suo favore l’attuale situazione politica, ma anche per determinare la natura di quella seguente, dimostrandosi un giocatore capace di decidere non solo l’Apertura e il Medio Gioco ma anche la Fase Finale.

 

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Matteo Salvini ha costruito quello che negli scacchi è chiamato Zugzwang

 

In una campagna elettorale basata sull’adesione all’Europa Salvini ha un vantaggio chiaro sugli avversari per la semplice riconoscibilità della sua posizione rispetto a quella, ad esempio, dei 5S, l’altro maggiore partito in corsa per la vittoria. Il Movimento infatti non ha una visione chiara né un’immagine unitaria dei suoi possibili rapporti con l’Unione, non è abbastanza sovranista o lo è troppo per poter essere associato in maniera semplice a una posizione o all’altra, come rilevato da Il Post durante le elezioni. A meno che Savona non faccia un passo indietro o la Lega non decida di riaprire al Movimento ottenendo magari la premiership, ci aspetta una violenta lotta di potere che deciderà il futuro del paese per i prossimi decenni. Chi vincerà alla fine? In una win/win situation come quella creata da Salvini c’è davvero bisogno di chiederlo?

 

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