Nominato da NME il più grande produttore di tutti i tempi nel 2014, Joe Meek è stato uno dei rivoluzionari del suono.

Il nuovo mondo stava davvero per arrivare, forse lo aveva già fatto. E anche Joe Meek.

 

Pochi mesi prima, il 10 ottobre 1966, con Good Vibrations Brian Wilson aveva portato ai limiti estremi la tecnologia concessa all’epoca in termini di produzione; solo due settimane dopo, il 17 febbraio 1967 (il 13 negli Stati Uniti) George Martin e i suoi quattro pupilli dalle uova d’oro avrebbero incastonato con Strawberry Fields Forever un capitolo altrettanto imprescindibile della storia della musica registrata.

 

Questo per ricordare solo i nomi più clamorosamente famosi, perché una miriade di nuovi volti si stavano affacciando, completamente intenzionati ad abbattere nuove frontiere della sperimentazione sonora nella musica pop: uno su tutti Curt Boettcher, produttore che l’anno prima aveva plasmato l’album d’esordio degli Association e che a maggio avrebbe pubblicato l’unico singolo uscito in vita dei Ballroom. Un’unica pubblicazione col sapore però di bomba atomica, essendo la loro cover di Baby Please Don’t Go uno dei più audaci e allucinati tour de force della stagione psichedelica.

 

Ma mellotron dei Beatles, maggio 1967, stagione psichedelica e Summer of Love non furono mai vissuti dal protagonista di questo articolo, perché la mattina del 3 febbraio 1967 uccise a colpi di pistola la sua padrona di casa per poi togliersi la vita con la stessa arma.

 

Oltre ai fatti musicali poc’anzi menzionati, Joe Meek fu testimone assente di due altri eventi che lo avrebbero riguardato da molto vicino e che con ogni probabilità lo avrebbero distolto dal prendere una decisione così drastica. Il 21 luglio 1967 il parlamento britannico approvò il cosiddetto Sexual Offences Act 1967, la legge che depenalizzò definitivamente l’omosessualità in Inghilterra, fino a quel momento illegale. Assieme a Brian Epstein e Joe Orton (morti entrambi nell’agosto di quell’anno), Meek compone il trio di grandi figure della cultura britannica scomparse in concomitanza con la nascita della legge che riconosceva finalmente il loro diritto più fondamentale, quello di esistere.

 

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La notizia della morte di Joe Meek sull’Evening Standard

 

L’altro evento avvenne solo tre settimane dopo la morte di Meek, quando la sua Telstar fu finalmente assolta dalle accuse di plagio, accuse che avevano impedito al musicista di ricevere per anni un solo penny di royalties, non potendo così alleviare le sue critiche condizioni economiche.

 

Iniziare dalla fine, ricamando con gusto tabloid e morboso, è una tentazione che ha colpito molti nel trattare la vita di Joe Meek, dando eccessiva enfasi all’ultimo giorno della sua esistenza, così come a episodi che senza dubbio arricchiscono la mitologia dell’alienazione rock, ma che portano inevitabilmente a deviare dall’argomento principe, dimenticando cos’è stato Joe Meek per il mondo: un’incessante innovatore musicale. Il connubio genio-follia, che sempre pulsa nel trattare la storia dell’arte, verrà qui alimentato ai minimi.

 

 

Un sognatore precoce

Robert George “Joe” Meek nacque il 5 aprile 1929 a Newent, cittadina del Gloucestershire abitata da un pugno di migliaia di anime. Il padre, Arthur George, ebbe una gioventù particolarmente problematica: il padre infatti abbandonò la moglie e la prole (nove figli in tutto) poco dopo la sua nascita. Inoltre, durante la I Guerra Mondiale vide morire in servizio tre suoi fratelli (uno di questi, Joe, portò la nonna paterna di Meek a chiamare il nipote così in memoria del figlio) e rimase gravemente ferito egli stesso, tanto che rimase in un ospedale militare per cinque anni. Ferite che non solcarono solo il fisico, ma anche la psiche: lo shock lo portò ad avere per il resto della sua vita episodi di feroce violenza che si manifestavano con urla e lancio di oggetti, condizione che si placava solo con l’assunzione di medicinali. Un frammento di proiettile rimasto nel cervello da quel tragico episodio di guerra lo uccise nel 1950.

 

La madre, “Biddy”, era un insegnante e a lei è legato uno dei punti più controversi della vita di Joe: a detta di quest’ultimo, infatti, la madre non voleva un maschio bensì una bambina, così fino al quarto anno di età vestì il figlio esclusivamente con abiti femminili, gli fece crescere i capelli lunghi e lo fece giocare esclusivamente con le bambole. Punto controverso perché non c’è alcuna prova di quanto sostenuto da Joe Meek: solo lui riportò questa versione, categoricamente e più volte smentita dai familiari.

 

L’interesse per la musica nacque molto presto in Meek, che a cinque anni desiderò, chiese e ottenne per Natale un grammofono, con il quale il bambino prodigio partorì i primi esperimenti: “Scoprii che se facevi andare il disco alla fine, con la punta verso il centro, potevi registrarci sopra. […] Questo diventò non solo un hobby, ma qualcosa che occupava gran parte del mio tempo. Me ne andavo per i vecchi negozi di Gloucester a comprare dischi vecchi, molti dei quali ho ancora.”

 

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Joe Meek in studio

 

Già così giovane, Joe Meek era fortemente attirato dalla natura del suono, dalla sua costruzione e manipolazione tecnica. A nove anni la sua prima copia di Practical Wireless (storica rivista britannica per radioamatori, nata nel 1932 e tuttora in stampa), anch’essa ricevuta per Natale, gli aprì un mondo, che lui mise ben presto in pratica, costruendo una radio a galena e immergendosi sempre più nella comprensione, costruzione e riparazione di attrezzatura elettrica.

 

A scuola non era altrettanto brillante: il suo animo di sognatore e sperimentatore contagiavano troppo la quotidianità scolastica, tanto che fallì molti esami e lasciò a 14 anni. Le lettere scritte alla madre e ad altri nonché testimonianze della lettura di testi di musicisti con cui lavorò palesano come, anche in età adulta, Meek avesse seri problemi di padronanza delle più elementari nozioni di grammatica e punteggiatura, tanto che si è pure ipotizzata una sua dislessia.

 

Subito dopo l’abbandono della scuola, Joe Meek andò a lavorare con il fratello Arthur nella fattoria da poco acquistata dal padre, mentre verso i 16 anni ebbe il suo primo incarico artistico, diventando direttore musicale e ingegnere del suono di alcune compagnie teatrali locali. Sempre in quel periodo, il giovane Joe diede saggio di cosa significa essere avanti coi tempi: costruì un televisore quando a Newent ancora nessuno ne possedeva uno. Ironicamente, era talmente avanti che non poté dimostrarlo, dato che il segnale tv ancora non raggiungeva la zona.

 

Tappa importante della crescita professionale di Joe Meek fu l’arrivo nel reparto riparazioni della MEB (Midland Electricity Board), sede staccata dal negozio e per questo teatro di libertà per i tecnici assoldati, lontani dalla supervisione dei superiori. Questo permise a Meek di approfondire i propri esperimenti, come ricorda uno dei suoi colleghi: “Era più interessato agli effetti sonori che a riparare televisori.” Questo lo portò a creare una compagnia tutta sua, la RGM Sound, e per quasi quattro anni alla MEB fece del lavoro una bottega di sperimentazioni: fu in questo periodo, ad esempio, che Joe Meek diede vita a primordiali registrazioni multitraccia, pratica ancora sconosciuta negli studi professionistici britannici.

 

Era inoltre già presente in Meek la spasmodica ricerca per le sonorità inusuali, che lo portava – ricordo del fratello Eric – anche a svegliarsi alle 3 di mattina per piazzare microfoni in modo da catturare il canto notturno degli uccelli. Nell’estate del 1954 arrivò la prima registrazione musicale, immortalando la sua futura cognata cantare Secret Love, successo del momento di Doris Day. Joe Meek provò a vendere il “singolo”, senza successo. Ma in quel periodo fece comunque il grande passo, trasferendosi a Londra.

 

Secret Love di Doris Day, reinterpretata dalla cognate di Joe Meek per la sua prima registrazione musicale

 

Gli inizi

Poco tempo dopo trovò lavoro come proiezionista alla TVC (Television Commercials), struttura che faceva parte della IBC (Independent Broadcasting Company), il più avanzato studio di registrazione inglese dell’epoca.

 

I giorni da proiezionista durarono poco, dato che in poco tempo scalò le gerarchie, diventando prima junior engineer, poi ingegnere capo, lavorando a spettacoli come People Are Funny, This is Your Life, Strike It Rich, The Winifred Atwell Show, The Petula Clark Show, The Candid Microphone, When You’re Smiling, This I Believe. Oltre a questo, fu presto promosso a junior engineer per le studio session. Non era però tutto perfetto per Meek. In particolare, per la sua scalata al potere degli studi di registrazione c’era un ostacolo importante, chiamato Allen Stagg, lo studio manager IBC (avrebbe poi assunto lo stesso ruolo agli Abbey Road Studios), colui che decideva chi faceva carriera e chi no.

 

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Allen Stagg, studio manager IBC

 

Joe Meek non era nelle sue grazie, tutt’altro. Ma questi gli fece cambiare idea in occasione delle costose sessions di Film Themes, lp di Alyn Ainsworth che prevedeva un’orchestra di 20 membri. Alla sua prima session di questo tipo, Meek sbalordì tutti realizzando un lavoro eccezionale, aprendogli le porte professionali. Dopo aver lavorato a session di svariati generi, nel 1956 approdò al pop con la cover di Young and Foolish, cantata dal baritono canadese Edmund Hockridge. Una delle prime peculiarità di Joe Meek fu il rifiuto, in un mondo discografico che prevedeva la registrazione dello stesso pezzo con svariati cantanti, di fare altrettanto: considerando ogni singolo un pezzo musicale per cui andavano cercati suoni e arrangiamenti unici, e non un tassello come un altro di una catena di montaggio (come veniva invece considerato dagli altri produttori e ingegneri del suono), la conclusione era per Meek lapalissiana.

 

Simbolo perfetto di questa volontà iconoclasta di intendere il lavoro in studio, nell’aprile ‘56 a Meek fu commissionata una session con Denis Preston, seminale e antesignano produttore indipendente che lavorò soprattutto in ambito jazz e world music. I due dovevano produrre un ep per il trombettista jazz Humphrey Lyttelton. L’ep doveva contenere quattro tracce, ma il sassofonista dovette lasciare quando all’appello mancava ancora un pezzo. Lyttelton improvvisò così Bad Penny Blues, primo pezzo jazz britannico a entrare in top 20, ora famoso soprattutto per aver ispirato Paul McCartney per Lady Madonna.

 

Bad Penny Blues ha fortemente ispirato Paul McCartney per Lady Madonna

 

Un pezzo diventato hit e ispiratore per i motivi… sbagliati, tanto che Lyttelton ha ammesso che se avesse saputo di quanto fatto da Joe Meek si sarebbe infuriato. Ma poi Bad Penny Blues divenne una hit, appunto, e lo diventò grazie al riff di piano e alla batteria, nascondendo la tromba di Lyttelton. Una manipolazione inedita nel jazz e non solo, tanto che sconvolse lo stesso Preston:

 

“Non penso, con tutto il rispetto per i musicisti, che sia la musica che suonammo. Penso sia una creazione di Joe. Piazzò quel suono di batteria – quel suono di batteria davanti a tutto – cosa che nessun altro ingegnere dell’epoca avrebbe pensato di fare, e con l’eco. Fu quel sound creato da Joe Meek a creare quel pezzo di Humphrey. E Joe creò tutto questo in un periodo in cui ancora veniva detto che la sezione ritmica doveva essere sentita ma non ascoltata. […] Questo portò ad essere una hit un pezzo che altrimenti sarebbe stato una traccia come un’altra in un ep jazz. Fu puramente un concetto sonoro. Ad ogni modo l’idea di un ingegnere del suono che non fa ciò che gli dici, ma anzi gioca con le manopole e distorce il tutto, fu un mondo totalmente nuovo per me.”

 

Questo e altri episodi (come i sassi agitati in una scatola a imitare la marcia dei soldati e gli effetti finali in dissolvenza per la cover di Anne Shelton di Lay Down Your Arms, n.1 UK verso fine 1956) portarono Meek ad avere sempre più stima e interessi. Ma allo stesso tempo i sempre presenti problemi con Stagg e un carattere per niente facile (Person lo ricordò come una personalità divisa, stupenda quando le cose andavano bene e impossibile quando c’erano problemi; inoltre prime avvisaglie di quella che nell’ultimo periodo sarebbe diventata paranoia senza ritorno cominciarono a manifestarsi) rendevano la sua posizione instabile.

 

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Joe Meek con Heinz Burt

 

Ma l’abilità rivoluzionaria nel concepire lo studio come strumento era sempre più sotto lo sguardo di tutti: il posizionamento dei microfoni, non più distanti dagli strumenti e senza un ordine ben preciso, ma vicinissimi per dare un effetto corposo; l’uso massiccio e sui generis del limiter, per creare gli effetti a lui più congeniali; la concezione innovativa di eco e riverbero; la manipolazione dei nastri; la separazione degli strumenti in fase di registrazione. L’intento di Joe Meek era non il rispetto pedissequo delle regole tecniche, ma il raggiungimento dell’iter ideale che portasse al suono giusto per il singolo di turno.

 

Dopo anni di apprendistato, Meek era pronto a mettersi in proprio, diventando produttore indipendente: negli anni a seguire 304 Holloway Road sarebbe diventata indirizzo famoso per tutti gli addetti ai lavori londinesi, dato che lì Meek creò la sua casa studio di tre piani, registrando i suoi più grandi capolavori.

 

I capolavori: Johnny Remember Me, I Hear A New World e Telstar

Joe Meek era convinto dell’esistenza di esseri viventi al di fuori della Terra. Che quindi un creatore di suoni alieni si interessasse al parto di un progetto musicale incentrato sulla vita extraterrestre, fu consequenziale, considerando anche il dilagare di fiction (cinematografica e letteraria) sci fi in quegli anni e gli enormi passi fatti dalla tecnologia aerospaziale, a un decennio dalla tappa epocale dello sbarco sulla Luna. Inoltre uno degli amori personali di Meek era The Planets, il capolavoro di Gustav Holst.

 

The Planets di Gustav Holst era una della grandi passioni di Joe Meek

 

Vi è poi il capitolo occulto, molto alimentato dopo la morte del produttore. Non è un mistero che Meek amasse prender parte a sedute spiritiche e letture di tarocchi: uno degli episodi più mitizzati e mai verificati riguarda un avvertimento della morte di Buddy Holly, idolatrato da Meek, una settimana prima che l’aereo del musicista si schiantasse (il 3 febbraio, proprio come capiterà a Joe Meek).

 

Il produttore aveva grandi progetti per questa sua “strana opera, con la volontà di esserlo”, come da lui stesso definita, ma per realizzarli gli serviva qualcuno che convertisse le sue idee, essendo Joe Meek musicalmente ineducato, incapace di leggere e scrivere musica. Arruolò così Rod Freeman, musicista del gruppo Blue Men, che fu nominato direttore musicale del progetto. A partire dalle demo di Meek, in pratica melodie “miagolate” a riprodurre vocalmente i suoni che aveva in mente, Freeman chiamò come sessionmen i componenti della sua band per dar forma a quei suoni così assurdi.

 

Strumenti principali del progetto, poi chiamato I Hear a New World, furono la steel guitar, una pianola modificata e la clavioline, una delle prime tastiere elettroniche. Non solo: Meek si sbizzarrì con un campionario straordinario di suoni presi dal quotidiano, come acqua corrente, bolle create con cannucce, bottiglie di latte colpite con cucchiai, denti di un pettine fatti scivolare sul bordo di un posacenere, circuiti elettrici mandati in corto, giocattoli a molla, sciacquoni di water, randelli di acciaio sbattuti contro, respiri pesanti vicino al microfono, posateria sferragliata, interferenze radio. Il tutto con i soliti trucchi del mestiere di Joe Meek, come riverbero, eco, manipolazione dei nastri (al contrario, in loop, accelerati, rallentati). Realizzato in stereo, cosa se non inedita alquanto inusuale in un mercato musicale all’epoca dominato dal mono, fu inoltre un precursore non solo del formato album, ma anche del concept, diversi anni prima che questo diventasse realtà (ed è impossibile pensare alla mitologia Gong e ai Pot-Head Pixies senza pensare ai Dribcots, i Globbots e i Saroos del nuovo mondo meekiano).

 

I Hear a New World, il capolavoro di Joe Meek

 

Ma I Hear a New World non vide la luce nella sua interezza: per problemi di distribuzione solo un ep di quattro tracce, denominato parte prima, uscì nel febbraio 1960, lasciando il progetto completo inascoltato per oltre 30 anni (la prima versione cd è uscita nel 1991), impedendogli quindi di fare la storia che meritava.

 

Successo che invece salutò immediatamente gli altri due angoli del triangolo diamantino di Joe Meek. Per parlare del primo dei due si deve passare dall’incontro tra Meek e Geoff Goddard, pianista e compositore che condivideva con il produttore l’amore per l’occulto e Buddy Holly. In quel periodo John Leyton, cantante e attore con il quale Meek aveva già lavorato, firmò per comparire in Harpers West One, popolare show televisivo dell’epoca, quindi il suo manager chiese a Meek un pezzo per pubblicizzarlo. Nei giorni seguenti Goddard affermò di avere una canzone e la suonò al piano, estasiando Joe Meek, che non si fece perdere l’occasione: chiamò il gruppo The Outlaws come sessionmen e un giovanissimo Charles Blackwell (What’s New, Pussycat di Tom Jones forse il suo contributo più famoso) per l’arrangiamento.

 

Come ha poi ricordato lo stesso Leyton, le session rispecchiarono la magica stranezza del modo di registrare del casalingo Meek:

 

“Quando registrammo ‘Johnny Remember Me’, stavo in una stanza con uno schermo dietro di me e la sezione ritmica era con me. I violini stavano sulle scale, le cantanti di supporto stavano praticamente in bagno e gli ottoni di sotto, completamente in un altro piano. E c’era Meek alla porta accanto, suonando la sua macchina come un qualsiasi altro strumento musicale. Fu piuttosto bizzarro.”

 

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La copertina di Johnny Remember Me

 

Produzione talmente bizzarra che ancora oggi è difficile capire quali strumenti siano stati usati nella realizzazione: gli ottoni e gli archi citati non sono chiaramente udibili, gli strumenti principali sembrano chitarra acustica ed elettrica (non si sa bene chi la suonò, se l’Outlaw Reg Hawkins o Eric Ford, sessionman particolarmente attivo in quegli anni: entrambi negli anni a seguire si sono affidati la paternità), hi-hat e quella che sembra essere un’arpa. Altra strumentazione è udibile in alcuni punti del pezzo, ma il tutto fu addensato in modo talmente magistrale da Joe Meek che suddividere è ora quasi impossibile. Particolarmente importante fu poi la soprano Lissa Gray, autrice della voce d’oltretomba dell’amata, che assieme alla “batteria galoppata” è la caratteristica più memorabile della canzone.

 

Nonostante diverse critiche, musicali e non (la BBC la bannò per i temi, come capitò a molti altri death discs, ovvero brani che davano una visione melodrammatica della morte dei protagonisti, spesso adolescenti; all’industria professionistica non andava giù il successo di questo bizzarro produttore capace di creare musica non ortodossa direttamente da casa propria, stroncando il singolo come uno scherzo amatoriale), Johnny Remember Me, uscito nel luglio del 1961, fu un successo clamoroso, diventando la prima produzione di Joe Meek a raggiungere il n.1 delle classifiche, diventando il simbolo per eccellenza del suo ingegno produttivo.

 

Ma anche questo trionfo impallidì di fronte a quello che è il brano per cui tutt’oggi Meek è più ricordato. Leggenda vuole che l’uomo che aveva ascoltato un nuovo mondo fu tra quelli che, a inizio 1962, lo rifiutò, bocciando i Beatles. Che sia vero o meno, Meek quell’anno riuscì comunque a trovare la propria stella. Dato che gli Outlaws erano in periodo di costante tour, Joe Meek arruolò nuovi musicisti, inizialmente usata come band di supporto a Billy Fury, pop star del momento. Ma per i Tornados Meek aveva anche progetti a sé stanti: Love and Fury, il loro primo singolo, ha il suono tipico delle produzioni Meek ed è il banco di prova per il brano che li ha resi immortali.

 

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Joe Meek con i Tornados

 

Il nuovo mondo immaginato due anni prima era sempre più vicino. Il 10 luglio 1962 l’American Telephone & Telegraph Company lanciò in orbita il satellite Telstar 1, ponendo quella che è per molti la prima pietra dell’era della telecomunicazione. Un evento passato alla storia anche per la sua trasmissione televisiva: per la prima volta lo spazio era in casa. Meek, colpito dall’evento, decise di rendergli omaggio. Realizzata come suo solito una demo a impostare vocalmente la melodia, la passò al fidato collaboratore Dave Adams affinché la sviluppasse in un linguaggio musicalmente ortodosso.

 

Come poi ricordò Clem Cattini, il batterista dei Tornados, “Joe voleva un ritmo incalzante. Intonò il ritmo e imitò il suono di chitarra e basso, noi suonammo e lui diresse ognuno di noi per portare il tutto alla forma che voleva.” Poi arrivò Geoff Goddard:

 

“Quando arrivai i Tornados avevano ultimato la traccia base. Quindi dedicai circa cinque ore a Telstar per Joe. Suonai il clavioline e aggiunsi anche delle voci alla fine per dare maggior corposità al suono. In un grande studio, un ingegnere del suono era limitato in quello che poteva fare – un piano doveva suonare come un piano e una chitarra come una chitarra. Il suono doveva essere pulito. Meek non voleva niente di tutto ciò.  Lui voleva incorporare e mixare per raggiungere questo sound che negli studi delle major sarebbe stato considerato un orrore.”

 

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Joe in una foto d’epoca

 

Ad alimentare il mito, vi era l’enigma su come sia stato realizzato il suono che apre e chiude il pezzo, tanto che lo stesso Meek si divertiva a sfidare conoscenti nel risolvere il mistero. A partire da I Hear a New World, Joe Meek era diventato solito creare questo muro di suoni presi dalla quotidianità per poi distorcerli e renderli irriconoscibili con la manipolazione in studio. La risposta data da molti “sfidati” era che si trattasse di uno sciacquone wc suonato al contrario, ma Meek poi rivelò al NME, in un’intervista di qualche mese dopo, che altro non erano che soffi a un microfono in delay.

 

Anticipando la British Invasion, Telstar fu il primo singolo britannico a raggiungere il n.1 negli Stati Uniti. Ma fu anche l’inizio della fine per Meek: Jean Ledrut, un compositore francese, fece causa a Meek per plagio in quanto a suo dire Telstar assomigliava con troppa evidenza a Le Marche D’Austerlitz, traccia composta da Ledrut per il film Austerlitz, uscito nel 1960. Il processo bloccò temporaneamente le corpose royalties, facendo in modo grottescamente che Meek abbia ricevuto una minima parte di denaro per il suo successo più dirompente. Appoggiandosi anche al fatto che Austerlitz uscì in Inghilterra solo nel 1965, le accuse di Ledrut caddero nel vuoto, quando però Meek ormai aveva già detto addio al vecchio mondo, per abbracciare quello nuovo che aveva immaginato.

 

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La copertina di Telstar

 

Il declino

Raggiunto il picco, lo aspettava ora la discesa. Sottovalutando l’arrivo dei gruppi beat, a suo avviso moda passeggera e musicalmente limitata, non raggiunse mai più quel successo, se si eccettua una n.1 nel 1964, Have I Right? degli Honeycombs, che anziché dargli sollievo lo affossò ulteriormente con un’ulteriore causa, stavolta intentata dall’amico Goddard, che rivendicava la paternità della canzone (ponendo così fine ai rapporti tra i due).

 

Non che Meek abbia smesso di sperimentare: soprattutto il 1963 è stato forse il suo anno più prolifico (circa 75 singoli). Pezzi come I Lost My Heart At The Fairground, The Spy, Order Of The Keys, Powercut, Merry Go Round, Go On Then contengono straordinarie, peculiari intuizioni in termini di produzione e arrangiamento. Ma il produttore del futuro era ora Phil Spector e i gruppi emergenti rendevano gli artisti di Meek mummie da seppellire.

 

I Lost My Heart At The Fairground, 1963

 

A distruggere definitivamente la sua carriera e vita due episodi legati alla sua sessualità: nel 1963 fu accusato e condannato per avance immorali in un bagno pubblico londinese, mentre nel gennaio del 1967 il ritrovamento di un ragazzo gay smembrato in due valigie fece perdere l’ultima goccia di lucidità a Meek, ormai completamente sopraffatto dalla paranoia e terrorizzato che la polizia lo venisse ad arrestare per qualcosa che non aveva commesso. Il suo canto del cigno è Do You Come Here Often?, singolo realizzato nel 1966 da una formazione rinnovata dei Tornados passato alla storia per essere la prima canzone UK (e forse del mondo) apertamente gay pubblicata da una major (la Columbia): l’approvazione della Sexual Offences Act 1967 passò anche da qui.

 

Do You Come Here Often dei Tornados

 

Nominato da NME in una classifica del 2014 il più grande produttore di tutti i tempi, Joe Meek ha lasciato un’eredità incalcolabile, molta della quale ancora inedita (i cosiddetti Tea Chest Tapes, le oltre 4000 ore di registrazioni trovate nel suo appartamento dopo la sua morte, contenenti tra l’altro pezzi di giovanissimi David Bowie, Jimmy Page, Ritchie Blackmore e Screaming Lord Sutch), che ha portato le tecniche di registrazione a una nuova maturità. Se le produzioni da metà 60s in poi sono state possibili, lo si deve anche all’abilità iconoclasta di questo visionario il cui unico limite era quello di non sapersi porre dei limiti ben precisi.

 

Il nuovo mondo stava davvero per arrivare, forse lo aveva già fatto. Grazie a lui.

 

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