Un giorno in una Barcellona Liberata.

Nei tre giorni in cui il Sónar ha festeggiato i suoi 25 anni Barcellona è stata invasa da oltre 126.000 persone provenienti da tutto il mondo. Un record di affluenza per il festival che dal 1994 porta nella capitale catalana musica, creatività e tecnologia a livelli altissimi.

Tornare al Sónar è un po’ come tornare a casa. Due location diverse per il Sónar de Dia e il Sónar de Noche, entrambe enormi; palchi e sale in cui si esibiscono contemporaneamente artisti di ogni genere. E poi tecnologia, realtà virtuale, musica inviata nello spazio e zone chill out in cui riprendersi tra un set e l’altro. Solo gente presa bene e, grazie al cielo, nessun maledettissimo token per le consumazioni.

 

Oltre ai grandi nomi come Gorillaz, il leader dei Radiohead Thom Yorke, LCD Soundsytem e Laurent Garnier questa è stata l’edizione delle grandi rivelazioni. Primo fra tutte il potente sound africano, suoni tribali mixati con i potenti bassi dell’elettronica fanno letteralmente impazzire il pubblico del Sónar, che sotto il sole cocente ritrova il suo lato più selvaggio. Dai congolesi KOKOKO! alla rapper londinese di origine nigeriana Little Simz, passando per i Distruction Boyz portavoce della Gqom africana nel mondo e Mr Eazi, maestro indiscusso dell’afrobeat. L’onda africana travolge tutto, e quando Jamz Supernova sale sul palco con le sue ladies non puoi che guardarla incantata; hanno il ritmo intriso nel sangue e per quanto tu puoi provare a muovere il culo come loro, sai che non potrai mai eguagliare il loro stile.

 

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Lo spettacolo di Jamz Supernova

 

Il 2018 è anche l’anno delle grandi donne come la coreana Yaeji portatrice di un sound fresco e contemporaneo che unisce trap, pop e house e Rosalìa, che con il suo flamenco elettronico ha incendiato la SonarHall venerdì pomeriggio.

Tecnologia, grandi nomi, suoni lontani e women power, manca niente? Bè, siamo italiani, e per tutti noi la grande attesa si riversava su un unico nome.

Un indizio? Venerdì 15 giugno Barcellona è stata Liberata.

 

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Quando Liberato è stato annunciato in line up abbiamo avuto un sussulto. Il cantante partenopeo che ha fatto dell’anonimato il suo marchio di fabbrica avrebbe affrontato la sua prima performance all’estero, in un palco internazionale come quello del Sónar. Non sapevamo cosa aspettarci, e le opinioni su di lui si alternavano tra chi lo esaltava, chi lo riteneva solamente un’astuta trovata di marketing e chi lo ignorava, terrorizzato dall’idea di un nuovo Gigi D’Alessio.

Tra una diatriba e l’altra i giorni si sono susseguiti fino a quel venerdì 15 giugno. A Barcellona la vita scorre lenta, ma quando il concerto di Liberato sta per iniziare tocca fare le corse e così alle 16.25 spaccate siamo nella SonarHall. La location è mistica, una sala buia interamente circondata da tende rosse, una sorta di Loggia Nera lynchiana. Entriamo e ci mettiamo subito tra le prime file. Lo show inizia fra 5 minuti e la sala è semivuota. Guardiamo il palco, le luci si spengono, ci voltiamo e la SonarHall si è magicamente riempita. Come ci aspettavamo tante voci in sottofondo sono in italiano, ma non solo, sentiamo lo spagnolo, l’inglese, il francese. Siamo tutti lì, ed è strano realizzare che tante persone di paesi diversi sono lì per il “nostro” Liberato. L’attesa è tanta, tra chi di noi è elettrizzato e chi da questo concerto non si aspetta niente di esaltante.

 

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Tante persone di paesi diversi sono lì per il nostro Liberato

 

Un cerchio luminoso inizia a delinearsi sullo sfondo nero, le luci si muovono a tempo con i bassi. I bassi sono di una potenza incredibile, li senti colpirti e spostarti i capelli, ti entrano nel petto. Arriva il primo incappucciato, non è lui, così come non lo è il secondo. Suonano e dietro di loro uno spettacolo di luci pazzesco. Arriva il terzo incappucciato, è lui. Un “Uè uè uè” al microfono ed è subito Napoli. Lo show può iniziare.

 

In scaletta tutti i singoli pubblicati finora, da 9 MAGGIO a JE TE VOGLIO BENE ASSAJE, passando per TU T’E SCURDAT’ ‘E ME, GAIOLA PORTAFORTUNA, ME STAJE APPENNEN’ AMÒ e INTOSTREET. Tra rose e magliette targate Liberato, un’ora di show vola in pochi secondi.

I primi minuti di concerto passano cercando di carpire un dettaglio dietro a quel fazzoletto sul volto per capire chi sia Liberato, ma bastano pochi secondi e l’identità misteriosa diventa irrilevante. Liberato è riuscito a convincere anche i più scettici, che hanno deposto le armi per avventurarsi nel suo mondo.

Usciti dalla SonarHall la mente viaggia a ruota libera. Eravamo a Barcellona ma sembrava di essere a Napoli. Come è possibile tutto questo?

 

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Eravamo a Barcellona ma sembrava di essere a Napoli

 

Considerare Liberato un cantante è forse riduttivo. Sono infatti in molti a ritenerlo fra i responsabili della rinascita culturale che sta attraversando Napoli. Liberato è un progetto attorno a cui gravitano molte figure più o meno note, che lavorano per garantirne l’anonimato.

Sono in tanti a non rassegnarsi al fatto che forse non scopriremo mai chi è Liberato e le teorie sulla sua identità si sprecano. Fino a poco tempo fa le ipotesi ricadevano tutte su Calcutta, che si esibì in 9 MAGGIO durante il Mi Ami Festival di Milano; siamo poi passati al rapper napoletano Livio Cori, al giovane poeta di Scampia Emanuele Cerullo e a molti altri. Attualmente la teoria più quotata identifica nell’artista napoletano un detenuto del carcere minorile di Nisida.

 

 

Gli indizi che proverebbero questa teoria sono vari, ma in occasione del concerto del 9 giugno a Milano si è inserito nel dibattito un colosso della tv online: Netflix. Dal profilo di Bojack Horseman appare una foto del backstage del concerto di Liberato, accompagnato da una rivelazione sconvolgente: Liberato è “ovviamente” Vincent Adultman. Com’è possibile che nessuno si sia accorto che sotto bomber e pantaloni scuri ci siano in realtà tre ragazzini accatastati sotto un trench, si chiede il cavallo di Horsin’ Around?

 

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Bojack Horseman e Liberato

 

Senza dubbio un colpo epico e un chiaro segnale del fatto che il caso Liberato abbia ormai varcato i confini nazionali, andando a scomodare perfino la curiosità di Netflix.

L’anonimato di Liberato è garantito da un’estetica studiata in ogni dettaglio. Il bomber con la scritta LIBERATO stampata con il font ultras liberi, che ricorre nelle scritte impresse sui muri di quasi tutti i suoi video; un chiaro riferimento alla passione di Liberato per il calcio. Memorabili le sue parole durante l’unica intervista rilasciata via mail a Rolling Stone: «La mia lei è del 1926», riferendosi all’anno di nascita della squadra del Napoli. E ancora felpa con cappuccio, bandana a coprire il volto e abiti scuri; un look underground che richiama la strada, il mondo ribelle degli ultras. Una figura anonima, misteriosa ma intrinseca di significati sociologici importanti.

 

Ci sono poi i brand, fondamentali, che hanno accompagnato Liberato fin dal suo esordio. Brand di streetwear come Nike e Adidas che vestono la ragazzina di 9 MAGGIO e i protagonisti di TU T’E SCURDAT’ ‘E ME e poi Converse, che sul progetto Liberato ha puntato molto, con le famose sneakers nere. È di pochi giorni fa la notizia che Converse creerà una capsule collection: felpe scarpe e t-shirt customizzate con le grafiche dell’artista. Una risposta necessaria, dopo tutte le richieste di quei giovani che forse vogliono recuperare un po’ del loro anonimato in un mondo in cui ormai tutto è pubblico.

 

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L’anonimato di Liberato è garantito da un’estetica studiata in ogni dettaglio

 

In questi abiti ormai iconici Liberato si aggira nella sua Napoli passando tra le storie tormentate dei protagonisti dei suoi video, li osserva dall’alto e ripercorre i loro passi. La sua musica è imprescindibilmente legata alle immagini dietro cui si cela la personalità di Francesco Lettieri, regista napoletano artificiere di tutte le opere audiovisive di Liberato. È lui che insieme a Liberato ha deciso di raccontare Napoli in tutte le sue sfaccettature, con un grande filo conduttore: l’amore.

 

Quello tradito di 9 MAGGIO, quello che esplora la bellezza della comunità sudamericana di Napoli in GAIOLA PORTAFORTUNA, l’audace ma delicato racconto dell’omosessualità e della comunità lgbt di ME STAJE APPENNEN’ AMÒ e infine la trilogia dell’amore adolescenziale tra lo scugnizzo di Piazza Mercato e la ragazza-bene di Posillipo in TU T’E SCURDAT’ ‘E ME, INTOSTREET e JE TE VOGLIO BENE ASSAJE. Lettieri è forse il regista di videoclip più richiesto al momento, riesce a rappresentare alla perfezione il moderno panorama indie italiano e con Liberato ha messo in atto un meccanismo che ha raccontato la napoletanità in tutta la sue genuina sincerità e bellezza.

 

Gli elementi che fanno da sfondo ai protagonisti dei video sono quelli che caratterizzano Napoli forse in tutto il mondo: il Vesuvio, il calcio e Maradona, le piccole case piene di rosari e immagini religiose, le scorribande in motorino senza casco, la pizza, il mare e la tarantella. Elementi che potrebbero essere definiti luoghi comuni su Napoli, ma che invece sono la realtà di una città che tramite questi simboli racconta storie affascinanti. I giovani napoletani sono rappresentati da Lettieri e cantati da Liberato tramite le loro peculiarità che, se vogliamo azzardare, li distinguono da tutti gli altri giovani italiani.

 

 

Quella che vediamo non è una raffigurazione “fashion” dei ragazzi della Mergellina, ma è una fedele rappresentazione della loro realtà. Questi sono i veri e veraci giovani napoletani, i ragazzi di strada vestiti Adidas e Converse e le ragazze truccate con top attillati e pantaloni a vita bassa. Una gioventù libera che vive le strade di una città ricca di tradizione, di una città vista da molti come arretrata e lontana, ma che in realtà è un piccolo gioiello di cultura intriso di fascino.

 

Giovani liberi, come il loro cantore che ha scelto una maschera proprio in nome della libertà, una maschera per non dover rispondere a nessuno delle proprie scelte, una maschera per non dover sopportare il peso del proprio nome.

Il viaggio nel mondo di Liberato inizia con la curiosità di voler scoprire chi si cela dietro quel volto coperto e finisce uscendo dalla SonarHall in una Barcellona Liberata, con la consapevolezza che di sapere chi si cela dietro quel volto incappucciato non ce ne frega proprio niente.

 

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