Non esisterebbe SIC senza software di scrittura (e senza internet).

Dal 2013, anno di pubblicazione del romanzo In territorio nemico (minimum fax), gli interventi critici su di esso si sono moltiplicati e accumulati. Il libro ha attirato l’attenzione soprattutto per il metodo con cui è stato scritto: non da un solo autore, ma da un collettivo di 115 scrittori, coordinati da alcuni compositori. Il principio fondamentale è che «Tutti scrivono tutto», per cui la Scrittura Industriale Collettiva (SIC) non è una semplice divisione del lavoro, ma una vera e propria rete di scrittori e – al tempo stesso – un metodo di composizione, come efficacemente illustrato in un documento presente sul sito www.scritturacollettiva.org:

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Il manifesto della SIC

 

Il metodo è stato ideato da Gregorio Magini e Vanni Santoni, che con In territorio nemico hanno realizzato il proposito iniziale di «scrivere un grande Romanzo Aperto, un libro collettivo da centinaia di utenti, che sia innanzitutto un buon libro».

 

Dunque, Scrittura Industriale Collettiva: vorrei concentrarmi prima di tutto sull’aggettivo «industriale», di cui forse si è discusso meno rispetto al «collettiva». A tal proposito, Magini e Santoni dichiarano:

 

“Abbiamo perciò sviluppato questo metodo generale, che denominiamo industriale perché si ispira ai principi della produzione industriale di massa: non per nostalgia del XX secolo, ma per la consapevolezza che la produzione di testi narrativi è ferma a un’epoca preindustriale, e una “rivoluzione industriale” è il primo passo per traghettarla veramente nell’era delle organizzazioni a rete e dei sistemi complessi.”

(Primo volantino di presentazione della SIC alla Fiera del Libro di Torino del 2007 e al Litcamp, disponibile su www.scritturacollettiva.org)

 

Queste parole mi hanno rimandato immediatamente a quelle di Elio Vittorini apparse sul quarto numero della rivista “Il Menabò”, diretta insieme a Italo Calvino. Siamo negli anni ’60 e i due intellettuali affrontano il tema del legame tra letteratura e industria, proponendo interventi di intellettuali e scrittori.

 

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Italo Calvino ha affrontato il legame tra letteratura e industria con Elio Vittorini

 

Secondo Vittorini, l’industria deve entrare in letteratura non tanto come tematica, ma come radice di un nuovo sguardo sul mondo. La realtà si sta trasformando e gli scrittori devono adattare il proprio stile e linguaggio a tali novità, per poter dare una rappresentazione del mondo efficace e autentica. Rifiutarsi di adeguare la forma della scrittura ai cambiamenti contemporanei significa restare ancorati a una vecchia rappresentazione della realtà, a un modo di vedere che non ha più valore. Ecco quindi che la scelta linguistica implica una scelta etica, perché lo scrittore decide se rappresentare o meno il reale a seconda dell’uso che fa del linguaggio. Nei propositi di Vittorini, i cambiamenti sociali ed economici devono portare alla nascita di un realismo nuovo, grazie alla sperimentazione letteraria e al coraggio di cambiare radicalmente stile.

 

Anche oggi siamo immersi in un mutamento epocale, i cui effetti sulla società sono forse più incisivi dell’industrializzazione degli anni cinquanta e sessanta: siamo tutti immersi nella Rete e – all’interno di essa – siamo partecipi di innumerevoli reti, ognuna delle quali ci permette di interagire con gli altri per motivi diversi. Quali strumenti ha la letteratura per entrare in rapporto con una realtà simile? È possibile pensare a un nuovo realismo, che tenga conto dell’influenza delle reti – o network – sui nostri modi di agire e concepire il mondo?

 

La Scrittura Industriale Collettiva è certamente un primo tentativo di risposta a queste domande, un modo per costruire un nuovo rapporto tra realtà e narrativa: non tanto attraverso il linguaggio in sé e per sé, come nelle idee di Vittorini, ma andando al cuore di una funzione essenziale della letteratura, cioè l’autore. L’attribuzione di un’opera al suo creatore è ormai un fatto scontato nella società di oggi: non esistono manifestazioni artistiche anonime e, anzi, sul semplice uso di uno pseudonimo si può costruire un caso letterario – e di marketing – internazionale, come per Elena Ferrante, o Banksy nell’arte figurativa.

 

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Sul semplice uso di uno pseudonimo si può costruire un caso letterario, come Banksy nell’arte figurativa

 

I SIC fanno così esplodere uno dei capisaldi della letteratura moderna e contemporanea: le loro armi sono la Rete e i software di scrittura, senza cui, per loro stessa ammissione, il loro metodo non potrebbe esistere:

 

“Non esisterebbe SIC senza software di scrittura (e senza internet). Il metodo è divenuto pensabile perché esistono tecnologie che lo rendono praticabile. Finora, al di là della velocizzazione nella scrittura e nella ricerca dei dati, l’informatizzazione non aveva portato innovazioni di rilievo nella narrativa.”

 

Ma se In territorio nemico è un’opera in cui agiscono istanze della realtà contemporanea, perché un romanzo storico? Il metodo SIC fa i conti con la Rete – o meglio, le reti – eppure il libro prende le mosse dall’armistizio dell’8 settembre e, sul risvolto di copertina, leggiamo che «In territorio nemico è una nuova epica della Resistenza». In realtà, la tematica resistenziale è stata da subito un campo di prova per le novità formali della letteratura italiana: basti pensare a Fenoglio e Calvino, di cui certamente i SIC hanno tenuto conto nella stesura del romanzo. Nel dopoguerra, il dibattito su come rappresentare la Resistenza in letteratura era vivissimo e, guarda caso, diede a Vittorini diversi spunti per le sue considerazioni in merito a un nuovo realismo.

 

Ma, anche senza tener conto di questa tradizione, il romanzo storico si presta bene a un lavoro collettivo (pensiamo al capolavoro di Wu Ming, Q), innanzitutto perché la Storia nasce dalla pluralità delle storie individuali. Magini e Santoni sono partiti proprio da qui, chiedendo agli autori, prima di comporre il romanzo, di raccontare una storia inedita sulla seconda guerra mondiale, magari narrata loro da qualche parente. Da qui hanno preso vita i tre protagonisti del libro, uniti l’uno all’altro da legami familiari, ma coinvolti in tre vicende diverse, ognuna delle quali va al cuore di un problema storico autentico: da che parte stare?

 

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Il reparto composizione SIC: Gregorio Magini, Stefano Bonchi, Vanni Santoni e Stefano Pizzutelli

 

La coralità autoriale è certamente un fattore importante nel garantire la coesistenza di più punti di vista: nel romanzo non c’è traccia di ideologia o retorica. Le vicende dei tre protagonisti si sviluppano autonomamente, per poi incrociarsi nei capitoli finali. Adele e Matteo, due fratelli di origine sociale abbastanza elevata, dopo diverse esperienze si ritrovano a combattere tra i partigiani, mentre Aldo, marito di Adele, si nasconde a casa della madre e perde la ragione nel corso del suo isolamento forzato. Intorno a loro ruotano diversi personaggi secondari, spesso caratterizzati dal linguaggio dialettale e tutti dotati di una personalità complessa, mai scontata o monocorde. Matteo compie azioni di guerriglia che possono essere considerate eroiche, ma non c’è alcuna celebrazione o esposizione di teorie eroico-patriottiche. Per fare solo un esempio, quando il giovane viene arrestato scrive alla sorella:

 

“Io ti posso dire che sono partito per venire a darti aiuto e conforto e mi sono ritrovato, ma non può essere stata casualità, a dare le mie energie, e ora anche la mia vita, per la causa dell’Italia e della giustizia. Se in questa impresa le ho sottratte al tuo bisogno, ti chiedo perdono. […]

Capisco ora che ho sempre voluto trovare in me stesso e negli altri una verità forte. Non l’ho trovata, ma per quella idea comunque muoio. È stata la mia libertà.” (p. 285)

 

Verso la fine del romanzo, in poche righe si va al cuore del problema storico e letterario della Resistenza, con la consueta prosa efficace e diretta dei SIC, capace di tenere le vicende e i personaggi ben ancorati alla realtà. L’Italia è ormai libera e i partigiani sfilano in corteo per le vie di Milano:

 

“Ciò che avevano vissuto assumeva già le tinte dei ricordi remoti, e svanivano le fisionomie di coloro che non erano lì a godersi quel momento. Quando sarebbero tornati a casa, avrebbero raccontato a quelli che non erano andati assieme a loro tutto quello che avevano vissuto, decine di volte. Intuivano già, in molti, che una linea sottile di incomprensione li avrebbe separati per sempre da tutti gli altri.” (p. 298)

 

Forse il romanzo definitivo sulla Resistenza italiana non verrà mai scritto, ma gli autori di In territorio nemico hanno raccontato quel periodo con un realismo nuovo, in cui il legame tra parola scritta e realtà è garantito da un metodo di composizione che porta i segni del mondo di oggi. Ecco allora che romanzo storico e contemporaneità si incontrano, in una fusione tra etica e stile che richiama lo sperimentalismo letterario degli anni sessanta, ma il cui valore sta nell’aver colto l’essenza del nostro tempo.

 

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Se ti è piaciuto questo articolo leggi anche: La stanza profonda – Riflessioni di maniera intorno all’ultimo libro di Vanni Santoni.