Attilio Lolini muore pochi giorni fa, il 22 giugno 2017.

Per alcuni arriva il momento di uscire di scena, senza una precisa ragione di colpire a fondo il mondo. Si cade in un sottile intorpidimento, si percepisce tutto con grande distacco, si rinuncia a tutti i problemi perché ad essi è dato il regno del sentiero interrotto. Il rifugio come meccanismo di difesa e attacco, dove c’è finalmente la necessità di non far tornare più i conti. La finestra della torre in cui viveva Hölderlin, si affacciava sul fiume Neckar e si apriva sulla tenue vallata di Baden; quella di Lolini invece, si affacciava sulla campagna senese, nella sua casa a San Rocco a Pilli.

 

Se sul primo si hanno forti dubbi sulla sua follia, sull’altro si è certi che per irridere il tempo, si tingeva: “anni non vinti / dai capelli tinti / ”, rimando a Maldoror, il quale all’interno dei Canti, avrà il complesso dello scalpo e della perdita dei capelli; ecco il disconoscersi, l’aleatorio che si poggia dove gli pare, il pessimismo bizzarro che lo avvicina a Corbière: “da quattro ore / guardo la faccia tonda / del ventilatore / m’appisolo / mi dimentico / poi sussulto, sbadiglio / e dell’inutile esistenza / il filo ripiglio / ”; una serie improvvisa di fumogeni cade sulla nuca del lettore, allegramente intontito da bassi enigmi, nonsense e sapienti inquietudini – il luogo più adatto è la comicità -, dove:

 

“mi pare di sapere / come è andata / tutta la vita / una passeggiata / scombinata /”.

 

Incomprensibile a se stesso, figura come un manichino di una vetrina distrutta, con il dito medio, teso a mortificare qualunque solennità consorziale, qualunque ritratto di famiglia.

 

Una voce che non rinuncia affatto al compito di ironizzare su di sé, l’homo ludens va oltre il tratto puramente biologico, la beffa che snobba le verità superiori, non teme di rimanere in superficie, né di scomparire in acque profonde, così la sigaretta sulle labbra non si nega mai, e il fumo disegna un arabesco che offende l’aria pulita. L’espansione palpabile del vuoto, lo spostamento migratorio del tempo, la metafisica come preliminare, testimoniano nella dimensione loliniana la presenza di una scatola nera, pronta a non svelare nulla, rivendicando il diritto all’indolenza, così in Canneti:

 

“I giorni e le ore feriscono / si copiano e svaniscono / non sappiamo se vanno avanti e indietro / se volano o precipitano nel cielo / o nell’abisso del niente / ”.

 

Attilio Lolini

Attilio Lolini (Siena, 1939 – San Rocco a Pilli, 22 giugno 2017)

 

Egli tuttavia sa commuoversi, non viene invaso dall’estasi, essa stessa al contrario reclina il capo, non manca dunque la capacità di  diradare i toni foschi e irriverenti, lo dimostra senza ostentazione, senza risultare stucchevole, come uno dei versi più caldi, più stretti ai fianchi della vita, che compare in Il mattino tempestoso:

 

“Quando viene il mattino / le nuvole paiono brandelli / di barbe sfilacciate / ecco un’alba / davvero adatta a me / quando viene da piangere / senza sapere perché / ”.

 

Concede sì il sorpasso all’estenuante progresso, all’attivismo dell’occidente, ma non sarà il primo a ricostruire le città, finché non ci si sottrarrà alla tentazione di distruggere anche le rovine.

Scrive versi brevi e pungenti, utilizza spesso lo strumento retorico della rima, per schernire alle spalle di chi legge, tagliando fuori alla partenza ogni pretesa letteraria.

 

Consapevole della sua condizione postuma, se ne infischia delle pose, dei ricevimenti ufficiali e delle recensioni, ricorda l’umorismo amaro di alcuni epigrammi di Marziale come Al lettore: “sono brutti versi ” / mi dici / e che, io nego l’evidenza? / sono brutti ma tu non li fai meglio / ”. All’interno della raccolta Carte da Sandwich ci lascia alcuni comandamenti da seguire rigorosamente:

 

“se bussano alla porta non aprire / se dicono: alzati! / cacciati sotto le lenzuola / non chiedere perché / siamo qui / senza conoscere alcunché / carichi del peso / di cose senza nome /”.

 

D’ora in poi si sentirà ancora più confusione, d’ora in poi sarà un errore imperdonabile gravare sull’azzurro, ma cosa c’è ancora da realizzare, e con quanto accanimento? Quando bisognerebbe scrivere un elogio per le cose senza senso, riservando agli eletti un fazzoletto sporco al momento dello starnuto, per riderci sopra.

Attilio Lolini muore pochi giorni fa, il 22 giugno 2017. Ma scrive in Fuori Orario:

 

“il modo / peggiore / per crepare / è restare vivi / ”.

 

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