La FDA ha recentemente avviato un vasto studio per autorizzare l’uso medico dell’MDMA in casi di disturbo da stress post traumatico.

Un tonfo sordo, poi il buio. L’aria manca improvvisamente. Stai soffocando.

 

Non senti più niente.

 

Poi di nuovo dei rumori, e delle lontane voci confuse. Man down, man down, senti gridare da una voce metallica. Sei ancora vivo, apri un occhio e ti senti come se fossi caduto dentro a un pozzo; l’orecchio destro ancora non sente niente, se non un costante e flebile fischio. Apri anche l’altro occhio, non stavi soffocando ma l’esplosione del colpo di mortaio a 20 metri dalla tua posizione ti ha fatto mangiare un’intera spiaggia. Sembra essere passata una vita, e senz’altro la tua ti è passata davanti, ma sei a terra da soli 10 secondi. Ti scrolli la morte di dosso e prendi ufficialmente coscienza dell’essere ancora tra i vivi. Gattoni accanto ai corpi di Ralph e del luogotenente Martin, i cui volti e arti sono stati macellati dall’esplosione, mentre intorno a te c’è un inferno di proiettili e esplosioni. Riesci a raggiungere nuovamente la postazione, reinserisci le cartucce nella mitraglia e riinizi a sparare attraverso la cortina di polvere che ti trovi ancora dinnanzi, domandandoti se le pallottole riusciranno realmente a passarvi attraverso. Gridi mentre spari all’impazzata nella speranza di svegliarti. E come d’incanto, quando riapri gli occhi sei in alta uniforme, hai già scordato ciò che successe dopo, i checkup medici, i rapporti, le medaglie al valore, porti roboticamente la mano alla tempia mentre gridi “Signorsissignore” di fronte a un ufficiale, finalmente realizzando che sei appena tornato in patria, a casa, nel paese più bello del mondo: gli Stati Uniti d’America.

 

È solo un paio di mesi dopo essere tornato dall’Afghanistan, quando le lacrime si sono asciugate, quando le feste del cane Benny non ti fanno più effetto, quando i pompini di tua moglie Jenni dedicati “All’uomo più valoroso d’America” come ama dire lei, o i disegni sconnessi del tuo ometto Frank, ti risultano indifferenti. Solo i fantasmi contano ora. Ralph, il luogotenente Martin e quei diciassette tra terroristi e civili, che poi chissà, forse erano tutti civili, che hai ucciso a sangue freddo per la tua Patria, guardandoli negli occhi mentre le loro cervella saltavano per aria. Sono loro i tuoi nuovi amici. Solo loro contano, e solo loro vogliono tutte le attenzioni come in quelle relazioni perverse dove una delle due parti si annulla completamente in funzione dell’altra. E allora non c’è Jenni, né Frank, né Benny capaci di consolarti. Una depressione come non pensavi fosse possibile avanza impietosa.

 

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Ti avevano detto che lo psicologo militare sarebbe stato a tua disposizione per “Qualsiasi cosa necessiterai”, ma dopo un paio di sedute vieni liquidato con un paio di tubetti di pasticche antidepressive e sonniferi che ti fermi a comprare al primo supermercato. Quando paghi alla cassa, vedi una bottiglia di J&B, e non ci pensi due volte a comprarne tre dicendoti “Queste mi aiuteranno a digerire le pillole”. Caschi nel vortice dell’alcolismo, le pillole non fanno più niente e ti ritrovi in costante fuga da te stesso, in fuga dalla morte, in fuga da Jenni-Frank-e-Benny. Ti ritiri, su in Colorado, in una delle casette di legno dei tuoi. L’alcolismo avanza senza timore, mentre ti abbandoni completamente alla tua sindrome da stress post traumatico (PTSD) dopo che psicoterapia, terapia di gruppo e un’altra dozzina di tentativi sono andati a vuoto.

 

***

 

Questa è una storia come tante, un esempio dell’incubo rappresentato dal PTSD, una condizione mentale che può derivare dall’assistere a o dal provare esperienze che mettono seriamente in pericolo la propria vita, che dalla parte fortunata del mondo – ovviamente anche l’afgano mutilato dalle bombe ne avrebbe bisogno – potrebbe aver finalmente trovato una cura efficace: una terapia a base di MDMA.

 

Il signor Hardin, in una recente intervista al NYT ha raccontato di come, dopo aver toccato il fondo e aver provato ogni cura suggeritagli, ha accettato di entrare a far parte di uno studio sperimentale sul PTSD a base della sopracitata sostanza. “Mi ha cambiato la vita”, ha raccontato al colosso mediatico newyorchese, “perché mi ha permesso di guardare in faccia il mio trauma senza paura né esitazione e finalmente processare e digerire ciò che mi impediva di andare avanti”.

 

I risultati positivi dei vari “signor Hardin” non sono passati inosservati alla Food and Drug Administration (FDA), l’organo americano che legifera sulla legalità di nuove medicine e procedure mediche, che lo scorso novembre ha autorizzato un ampio studio, appartenente alla cosiddetta Fase 3, la fase che procede l’autorizzazione finale, sui benefici dell’uso dell’MDMA che potrebbe portarne alla legalizzazione per uso medico già dal 2021. Il Dott. Charles R. Marmar, direttore del dipartimento di psichiatria presso la Langone School of Medicine della NYU, ha dichiarato di aver molta fiducia nell’efficacia della sostanza, in quanto aprirebbe una nuova alternativa capace di far aumentare i casi di successo nel trattamento di PTSD, che con le tecniche attuali si cura solo nel 30-40% dei casi.

 

Se da un lato la potenziale autorizzazione dello stupefacente per uso medico ha generato molti entusiasmi, dall’altro ha evocato lo spettro dei danni che potrebbero derivare dall’abuso di tale sostanza. Lo stesso spettro che portò la DEA a bandirne l’uso nel 1985, e nel 1988 in Italia, classificandola come ‘schedule 1 substance’ contestualmente con l’esplosione della rave culture.

 

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L’abuso di MDMA durante l’esplosione della cultura rave portò la DEA a bandire la sostanza

 

Le precedenti fasi di studio si devono alla Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies, un’organizzazione no profit fondata nel 1986 da Rick Doblin con l’obiettivo di ottenere la legalizzazione per uso medico di alcune delle sostanze bandite come MDMA, LSD, Ayahuasca e marijuana. La MAPS è riuscita negli anni a finanziare le fasi 1 e 2 di testing, trattando un totale di 130 pazienti; e preparandosi a fare il salto di livello nella fase 3, sempre finanziata a sue spese, che includerà almeno 230 pazienti e che ha come obiettivo quello dell’autorizzazione dell’uso della sostanza.

 

Nei loro studi, in cui hanno partecipato veterani, vittime di abusi sessuali e poliziotti o pompieri affetti da PTSD in media da 17 anni su cui le terapie tradizionali non si erano rilevate efficaci, venivano somministrate 3 dosi di MDMA sotto il controllo di uno psichiatra. Uno studio ha riportato che in media, la diminuzione della severità dei sintomi è stata del 56%.

 

Storia dell’MDMA

Prima di approfondire le modalità con cui avvengono i trattamenti e in cosa consisterebbe la Fase 3 della procedura di verifica, è necessario fare un passo indietro per chiarire che cos’è l’MDMA e perché è una sostanza illegale.

 

L’MDMA, il cui nome completo è 3,4-methylenedioxymethamphetamine, è una feniletilamina, e più specificamente una metanfetamina dagli spiccati effetti eccitanti ed entactogeni, anche se non propriamente psichedelici.

 

Venne inizialmente sintetizzata nel 1912 dalla casa farmaceutica tedesca Merck, mentre i suoi chimici ricercavano un composto capace di fermare le emorragie più violente. L’esito della ricerca fu un insuccesso, e la sostanza venne dimenticata. Anche il governo americano provò a usare la sostanza, avviando alcuni studi negli anni ’50, che avevano come obiettivo quello di usare il composto come siero della verità.

 

Fu solo nel 1965 che l’MDMA tornò in auge quando Alexander “Sasha” Shulgin la sintetizzò nuovamente per la Dow Chemical, prima di iniziare a testarla personalmente come parte di una ricerca sulle droghe psicoattive.

 

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L’MDMA tornò in auge grazie a Alexander “Sasha” Shulgin

 

 

Erano gli anni ’70. In un appunto datato 1976 il chimico scrisse in seguito a una sessione di prova in cui aveva assunto una dose di 120mg:

 

“Mi sento estremamente pulito dentro, e sono in uno stato di pura euforia. Non mi ero mai sentito così bene o pensato che questo fosse possibile … Sono sopraffatto dalla profondità dell’esperienza”.

 

Compreso il potere di indurre stati di euforia insito nella sostanza e la capacità di aprire una finestra non distorta verso la propria coscienza, il dottor Shulgin la introdusse ai suoi colleghi. Tra questi vi era anche lo psicoterapeuta Leo Zeff, che venne a contatto con la sostanza nel 1977 e ne rimase profondamente colpito, ribattezzandola Adam e definendola: “penicillina per l’anima”. Il dottor Zeff, che era ormai già in pensione, decise di tornare a lavoro per far conoscere la sostanza ad altri psicologi, ed in molti iniziarono realmente a usarla per trattare i propri pazienti.

 

L’elemento che colpì molti dei dottori e terapeuti fu quello dell’empatia indotta dalla droga e la profonda spiritualità dei suoi effetti. Oltre la sfera medica, alcuni membri di quella religiosa ne rimasero affascinati. Un monaco benedettino la descrisse come capace di “Aprire un collegamento diretto con Dio”, un rabbino ricorda il suo “Grande piacere nell’amare l’Universo e sentirsi amato da questo”, e i seguaci del guru indiano Bhagwan Shree Rajneesh iniziarano a distribuire la droga internazionalmente, introducendola in Europa.

 

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Anche molti membri della sfera religiosa rimasero colpiti dall’MDMA

 

La popolarità dell’MD aumentò anche grazie al prete cattolico Michael Clegg che, dopo aver ricercato Dio per tutta la vita, lo trovò nella sostanza che ribattezzerà per questo ‘Ecstasy’. Per rendere al meglio l’idea della rapida diffusione del fenomeno, si pensi che si stima che nel 1976 vennero consumate circa 10 mila dosi in America. Nemmeno dieci anni dopo, nei primi anni ’80, Clegg stava letteralmente inondando la città di Dallas con, a detta di ABC news, quasi 500 mila dosi al mese (altre fonti parlano di 30 mila). Le pillole venivano vendute direttamente nei club o per posta, ed era possibile acquistarle con carta di credito – cosa che rese Clegg un milionario.

 

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Il prete cattolico Michael Clegg era un grande fan della sostanza, arrivando a venderne quasi 500 mila dosi al mese nella città di Dallas

 

 

La scena rave esplose, e l’ecstasy ne fu una grande protagonista che si diffuse alla velocità della luce. Nel 1984 il giornale The San Francisco Chronicle pubblica in prima pagina un articolo titolato The Yuppie Pshychedelic. Fu proprio il protagonismo di sostanze sintetiche della famiglia dell’MDMA che portò la DEA a dichiarare di essere intenzionata a rendere illegale la sostanza, e poi a bandirla. Era il 1985, e l’MDMA era appena stata classificata come ‘Schedule 1 drug’ dalle autorità.

 

Malvin Patterson, portavoce della DEA, ha recentemente dichiarato a un giornalista del The Guardian: “L’MDMA varia molto da persona a persona. Potremmo assumerla sia io che lei, e non aver nessun problema io mentre i suoi organi vanno in tilt. C’erano un sacco di rave, e molte persone venivano portate in ospedale d’emergenza e coperte di ghiaccio per riportare la loro temperatura corporea alla normalità. Era raro che le persone morissero per un’overdose, ma succedeva lo stesso a una frequenza per cui decidemmo di intervenire”.

 

La corsa ai ripari, manifestatasi con la preventiva catalogazione dell’MDMA come droga illegale, non fu ingiustificata. Infatti l’uso ricreativo della sostanza è altamente rischioso per la sua capacità di alterare il termostato corporeo, facendo in certi casi incrementare la temperatura del nostro organismo in modo potenzialmente fatale.

 

Purtroppo però, questo portò anche all’immediato arresto della ricerca in questo ambito.

 

Il trattamento

Shulgin e gli altri medici che si interessarono alla sostanza usandola con i loro pazienti, non volevano ovviamente usare l’MDMA per scopi ludici, ma intendevano sfruttarne l’attività di SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) per scopi terapeutici. Il processo da loro avviato, e che aveva effettivamente iniziato a prendere informalmente piede prima che venissero effettuati dei test ufficiali, si basava sull’aver percepito le proprietà della droga e la sua capacità di mettere il paziente di fronte ai suoi traumi in maniera distaccata e lucida.

 

Ma come avviene oggi una seduta?

 

Alice, una malata di PTSD che è stata parte di uno degli studi del MAPS tenutosi in Colorado, lo ha raccontato al The Guardian. La terapia è consistita nel prendere 125mg di MDMA tre volte nel corso di 12 settimane. Le assunzioni erano accompagnate da sedute terapeutiche di 8 ore. Si sedeva comodamente nella poltrona della sua terapista e ingurgitava una capsulina contente la droga. Una volta assunta la sostanza, indossava una maschera per coprire gli occhi, si metteva comoda e infilava delle cuffie con suoni e percussioni fino a quando non iniziava l’effetto.

 

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Maschera per gli occhi, cuffie e 125 mg di MDMA. Un esempio di terapia per combattere la PTSD

 

Nel descrivere le sensazioni provate sotto effetto della sostanza durante le sue sedute terapeutiche, Alice testimoniava di come l’MDMA “Ti tira fuori le cose e ti supporta”. Ancora, continuava raccontando come fosse possibile guardare le cose che ti fanno male e perché questo avviene. Gli effetti erano variegati, quelli psicologici comprendevano cose come una parlantina in eccesso o sessioni di pianto, mentre quelli fisici una sensazione di “Vibrazione dell’intero corpo”.  Nel caso di questa donna, i risultati sono stati ottimi. Vi è una scala per valutare la gravità della condizione clinica di un paziente con PTSD chiamata CAPS, che si basa su un lungo questionario con domande relative alle emozioni del paziente e altre informazioni. In generale, i punteggi da 60 in su sono sintomo di “severità” nella condizione clinica del paziente, Alice aveva ottenuto un punteggio di 106. Dopo le sessioni a base di MDMA il suo punteggio è 0: la PTSD era stata curata.

 

Se da un lato i risultati sono senz’altro promettenti, dall’altro è fondamentale tenere a mente che l’MDMA non è una droga leggera e la cura avviene in presenza di un terapista capace di guidare il percorso di risanamento dei traumi. Le sessioni a cui Alice e gli altri pazienti che hanno partecipato allo studio si sono sottoposti, prevedevano l’uso della droga con annessa seduta da 8 ore sotto sorveglianza del terapeuta e molte sedute da 90 minuti fatte senza assumere nessun tipo di sostanza.

 

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Questa considerazione si inserisce nel più generale dibattito sui rischi legati a questa sostanza. Infatti se il risultato della Fase 3 avviata dalla FDA, dovesse avere come risultato quello di includere l’MDMA nel gruppo di droghe ‘Schedule 2’, come oppioidi, morfina e codeina, sarebbe necessario porre una distinzione del tipo di uso che ne verrebbe fatto rispetto a, per esempio, la marijuana medica. Si tratterebbe infatti di una sostanza prescrivibile come parte di una terapia assistita, e non come uno stupefacente acquistabile con ricetta in farmacia. Questo atteggiamento di grande cautela si deve al voler evitare ogni rischio insito nell’uso di una sostanza che, a differenza della marijuana, miete vittime ogni anno in tutto il mondo.

 

Oltre alle criticità legate ad un incremento non fisiologico e potenzialmente letale della temperatura corporea, è importante tenere in considerazione anche i fattori di rischio a livello neurotrasmettitoriale, e quindi psicologico. Infatti, l’inibizione del reuptake di serotonina – caratteristico dell’attività sinaptica dell’mdma – provoca anche con pochi utilizzi una risposta ‘protettiva’ dei recettori serotoninergici: in pratica, le terminazioni si rendono insensibili alla serotonina, con rischi che possono tradursi in sintomi depressivi anche gravi, specie in soggetti predisposti. Questo fattore, tanto poco considerato e rispettato nell utilizzo ricreazionale, deve essere estremamente ponderato in un contesto terapeutico.

 

Fase 3: come avverrebbe in pratica

La MAPS, negli studi condotti finora, ha usato delle dosi appartenenti a una partita di MDMA prodotta 31 anni fa in un laboratorio della Purdue University con il 99.8% di purezza. Ma per superare la fase 3, è necessario fare un passo avanti anche dal lato della produzione dimostrando che la medicina potrebbe essere prodotta su scala industriale mantenendone la qualità allo stesso livello (‘good manufacturing practice certification’). Per il raggiungimento di questo obiettivo, nonché per l’individuazione di parte dei fondi necessari per lo studio, è stata coinvolta la casa farmaceutica inglese Shasun.

 

La Shasun si trova a Dudley, paradossalmente, o forse ottimisticamente, il comune con la più alta aspettativa di vita nel Regno Unito. Questa compagnia farmaceutica è stata autorizzata a produrre Schedule 1 drugs dagli organi competenti inglesi (‘Home Office’). Kevin Cook, il CEO inglese della Shasun, è un conoscente di Doblin della MAPS da circa due anni e ha creduto nel suo progetto: per questo ha accettato la proposta di produrre partite di MDMA e avventurarsi nel mare della burocrazia necessaria per avere l’approvazione da parte dell’Home Office per la produzione della sostanza – che come si può facilmente immaginare non è stata una cosa facile. Dopo aver passato tutti i test relativi alle normative su salute e sicurezza, e dopo aver creato dei dipartimenti super sorvegliati per la conversazione degli ingredienti, la produzione è stata avviata.

 

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Rick Doblin, fondatore della MAPS

 

“È un po’ come cucinare, un pizzico di questo, un pizzico di quello, e il gioco è fatto” ha detto Shasun al The Guardian, mentre Mike Hopkins, un altro membro esecutivo dell’azienda, ha sottolineato: “Qui non stiamo giocando a Breaking Bad!”.

 

Se la questione relativa al finanziamento e la conseguente produzione su scala industriale sembra essere sotto controllo da parte della Shasun, un’ultima sfida a carico della MAPS sarà quella di formare dei terapeuti capaci di avere a che fare con pazienti affetti da PTSD a cui viene somministrata la ‘innovativa medicina’.

 

Conclusioni

Sono i commenti dei pazienti tipo: “It gave me my life back, but it wasn’t a party drug, it was a lot of work”, che fanno avere fiducia nell’uso di tale sostanza a scopo medico. La difficoltà diventa ovviamente sapere depurare l’MDMA dello stigma ricreazionale che ormai l’accompagna e avviare dell’uso consapevole, imprescindibile dalla supervisione di uno specialista. La parola droga porta spesso alla demonizzazione a priori e quindi l’impossibilità di effettuare nuova ricerca che potrebbe avere risultati ottimi – almeno in certi casi specifici. Tuttavia, stiamo assistendo a una graduale transizione in favore dell’uso terapeutico di marijuana e altre sostanze come i – volgarmente chiamati – funghetti allucinogeni. Il trend è giusto e, alla luce dei risultati scientifici che ne stanno derivando, è necessario mantenere una mentalità aperta e proseguire in questa direzione.

 

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