Personal Shopper è il nuovo film di Assayas con protagonista Kristen Stewart.

Personal Shopper, diciassettesimo lungometraggio diretto (e scritto) da Olivier Assayas, dopo essere stato applaudito, discusso, compreso ed incompreso lo scorso anno sulla Croisette di Cannes (facendo vincere la Prix de la mise en scène, miglior regia, ad Assayas), è finalmente arrivato in Italia, in un discreto numero di copie, distribuito da Academy Two.

 

Era atteso, e molto, come tutte le opere dell’eclettico e complesso cineasta francese, spudoratamente cinematografico, tipicamente cerebrale, volutamente d’essai. E qui, dopo il discorso aperto in Sils Maria, Assayas torna a parlare della contemporaneità costruita sull’essere, sull’apparire, sul desiderio di essere altro o, magari, indossare qualcos’altro. Credere in qualcos’altro. Lo fa attraverso la protagonista, dato che tutta la narrazione è costruita intorno allo sguardo di Maureen, interpretata dalla glacialmente sensuale e costantemente interdetta Kristen Stewart, una personal shopper itinerante (in questo caso ritrovata in un’ammiccante Parigi) che, all’occasione, è anche una medium. Maureen, appunto, ha da poco perso suo fratello gemello, per colpa di una malformazione cardiaca. Tra un Cartier ed uno Chanel, Maureen si ritrova a che fare con una presenza che sembranessere proprio quella del suo deceduto consanguineo. La segue, le appare, si fa sentire, addirittura parrebbe mandarle dei conturbanti sms sull’iPhone, come un amante qualsiasi, perverso e misterioso.

 

Personal Shopper 1

Tutta la narrazione è costruita intorno allo sguardo di Maureen, interpretata dalla glacialmente sensuale Kristen Stewart

 

Fantasmi, abiti costosi, la paura di osare, mettiamoci pure una venatura thriller: Assayas, nella sceneggiatura, stratifica convinzioni e dubbi annullando i generi (fantasmi sì, canoni horrorifici qua e là, ma nulla a che fare con una ghost story nel senso più classico del termine), cambiando d’abito all’occorrenza, ma sempre cucito su misura del suo centro di gravità permanente, ovvero quei vitrei pensieri della sua interprete unica. Perché, Personal Shopper, è interamente trainato dal personaggio della Stewart – che ritrova Assayas dopo Sils Maria, e ormai dedicatasi ad un cinema totale, intenso, contemporaneo –, il film non esisterebbe senza di lei, senza i suoi tic, senza i suoi scostanti occhi, senza le sue fervide pulsioni. Cerca risposte ai suoi dubbi (ma chi non lo fa, del resto, quando ci si ritrova a che fare con una perdita enorme?), segue le tracce di un percorso tortuoso e ramificato, bivio dopo bivio, ritrovandosi a che fare con l’estremo bisogno di sapere. C’è scrittura, preparazione, regia sofisticata in Personal Shopper, c’è tutto l’intellettualismo cinefilo di Assayas, che non nasconde (anzi…) la sua cultura e il suo sapere, comunicandoci, come solitamente accade alle menti illuministiche (prima la testa, poi il cuore), segnali su segnali, battiti su battiti, pur racchiudendo nel suo estremo significato qualcosa che, forse, già conosciamo bene. Non stupendoci affatto.

 

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