A pochi giorni dal 40° anniversario del loro esordio, ripercorriamo la carriera di uno dei più grandi gruppi punk della storia.

Nel 1979 i Clash fecero la storia della musica con un disco che univa in maniera trasversale ed efficacissima il mainstream e l’arte.

Il post punk dei Clash in effetti, più che puzzare di ontologia è una magnifica ouverture per la nostra epoca di plastica che, incapace di risolvere i conflitti, si è semplicemente abituata a viverli serenamente durante le ‘apericene’, con il rigido viso da insensibile sfinge che nessuna immagine di morte e distruzione può realmente turbare.

 

I The Clash, il nome fu scelto dal bassista per il senso e il rumore di collisione che evocava, erano questi: Joe Strummer (voce, chitarra ritmica), Mick Jones (chitarra solista, voce), Paul Simonon (basso, voce) e Nick “Topper” Headon (batteria, percussioni). Topper però, non quello di Hot Shots interpretato da Charlie Sheen, se ne andò via nell’83 “accompagnato” alla porta a causa dei suoi eccessi con l’eroina che stavano compromettendo il lavoro della band, tre anni prima del 1986, anno in cui si sciolsero.

 

The Clash 1

Nick “Topper” Headon con Joe Strummer. Il batterista lasciò i Clash a causa dei suoi problemi con l’eroina

 

Strummer proseguì con altri gruppi, fu artefice di altri dischi capolavoro, da solista con Earthquake Weather del 1989, fautore di collaborazioni come quella di tre anni prima che lo aveva portato a scrivere 7 canzoni per l’album dei Big Audio Dynamite, fondato dal suo ex compagno nei Clash, Mick Jones co-autore che come tutti i “Co”, è ricordato poco e male.

Lo ammetto, anche io soffro del fascino di Joe. Mi dispiace per Mick, ma dopo questa noiosa parte biopic brevissima, non lo nominerò più. Joe mi ha conquistato da anni e io sono fedele, non alla linea, ma a lui.

 

Altra esperienza significativa, il lavoro con i Mescaleros, gruppo fondato da lui, Joe Strummer & The Mescaleros, con cui ha continuato un percorso musicale di una varietà incompossibile, come direbbe Leibniz, complesso e vario, dico io.

Un trionfo di generi diversi la musica di Joe, paragonabile a Paradiso di Lezama Lima, per la incredibile capacità di unire generi differenti, costruendo una intera discografia come fabbricò lo scrittore cubano una foresta di significati, un pluviale riverbero femmineo luminoso come una goccia d’acqua colpita da una luce calda ed equatoriale.

Essenzialmente Joe e i Clash, fanno parte del gruppo di quelli che hanno sperimentato e che hanno consapevolmente esplorato diversi generi, cercando di non sottostare alle regole, volendo esplorare le singole potenzialità espressive di ogni singolo ritmo ascoltato e ascoltabile.

 

The Clash 2

Joe Strummer

 

London calling è il mio preferito.

 

“London calling to the faraway towns

Now war is declared and battle come down” …

 

Ecco, la musica dei Clash in qualche modo è il tentativo riuscito di distinguersi, infiammando il luogo più conservatore d’Europa, l’Inghilterra, un paese che si sogna ancora dominatore, ma non lo è ormai da secoli. L’Inghilterra di quegli anni si è infilata in un busto strettissimo di stecche di balena, per nascondere un corpo popolare flaccido e debole, come una zitella in cerca di matrimoni salvifici dopo una vita di orgasmi rimandati. E’ caduta poi trappola di perversi malfattori, cialtroni che l’hanno turlupinata e abbandonata.

 

Nella lista di seduttori senza scrupoli, ci sono anche i musicisti che con ninne nanne da primo posto in classifica, hanno addormentato, inibito, indebolito nel carattere, con le canzonette da brit pop, con la disco anni ’90, una già compromessa salute.

La Brexit, De Profundis Clamavi, è cominciata prima ancora musicalmente…

 

“London calling to the underworld

Come out of the cupboard, you boys and girls” …

 

Nelle segrete buie di un cuore scoperto nero di paura, incapace di voli fantastici verso luoghi immaginari di utopie im-possibili, la chiamata di Londra, invita all’uscita dai ripostigli, dalla cameretta stanzino, oggi luogo in cui si consumano gli anni migliori di generazioni incapsulate in stanze da gioco, in sfere, in bolle da social network in cui non si fa altro che ripetere sempre la stessa cosa: “Compra… Compra… Compra”!

 

The Clash 3

La copertina di London Calling

 

In quegli anni in cui ancora era possibile credere a un destino collettivo che non fosse religioso o commerciale, ma di natura politica, nella certezza che gli uomini fossero fatti per stare insieme anche solo per stare insieme, nel momento in cui ancora la musica univa i cuori, i Clash hanno rappresentato un momento di consapevolezza, l’istantanea predizione della fine di ogni politica collettiva.

Oggi non c’è un mondo, ci sono quartieri, clan.

 

Il post punk dei Clash è il rifiuto del post ideologico saper vivere in cui tutti siamo inglobati, per cui l’egoismo non è altro che la necessità ultima, morto ogni orizzonte collettivo che non sia religioso o commerciale, ma uno spazio realmente libero verso cui tendere, per cui lottare.

John Lennon diceva di essere più famoso del Papa. Beh… è roba vecchia. Le parrocchie, nella veste retriva e particolare, nella forma di moltitudini in rete, sorte dalla decomposizione della massa come vera forza politica, hanno trionfato anche su di lui, diventato un santino da esibire ovunque.

 

“London calling, now don’t look to us

Phony Beatlemania has bitten the dust” …

 

The Clash 4

I Clash al completo

 

A proposito dei Beatles più che di John Lennon, la cui carriera solista non ho mai apprezzato completamente, mi piace ricordarli così: pettinati, rassicuranti, un po’ tanto drogati, bravissimi, antesignani dei prodotti musicali simil BoyBand costruiti a tavolino, ma toccati dalla grazia. Le loro canzoni sono state sublimi, anche quando alluvionati come abitazioni travolte da un tifone equatoriale, si erano lasciati trasportare dalle loro divagazioni lisergiche.

E quanto piace dire ‘lisergiche’ ai recensori. Fate come me, oltre a fuggire dalle recensioni, riempite di botte quelli che usano la parola ‘lisergiche’. Di solito sono dei fessi che sognano come Dawson di diventare Spielberg e che meriterebbero manganellate sui denti.

 

“London calling, see we ain’t got no swing

‘Cept for the ring of that truncheon thing” …

 

Le manganellate purtroppo non sono loro a riceverle, piuttosto, ormai noi pubblico belante, ne subiamo con gioia bovina sul groppone di pesantissime, ogni volta che proviamo a diventare qualcosa di diverso dal volgare popolo di consumatori che si estingue lentamente nel click d’acquisto, come un operaio che abbassa la leva dell’obbligo del lavoro per quarant’anni, dolorosamente prima, meccanicamente anestetizzato dopo.

 

The Clash 5

Joe Strummer e Mick Jones

 

La musica dei Clash è invece una boccata d’aria fresca. Il manganello della ripetizione inane della disco music, del rock ormai parodia di se stesso, del futuro grunge, troppo breve per essere significativo, troppo legato a una figura come Kurt Cobain per essere rivoluzionario, è preso tra le mani sonore dei Clash e spezzato in due.

Al fascismo dell’uguaglianza a tutti i costi, i Clash oppongono la differenza come forza che libera senza però escludere.

 

“The ice age is coming, the sun is zooming in

Meltdown expected, the wheat is growin’ thin” …

 

Questo punto è fondamentale: la musica dei Clash non cerca imitatori, per quanto loro stessi dovessero molto ai paladini del CBGB , i Ramones, né cerca di veicolare il pensiero e gli affetti verso una consona direzione di sinistra arcobaleno, rivolta popolare del sottoproletariato, la rivincita degli esclusi, come hanno detto in molti. Non è solo questo il grande merito di Strummer & Co.

I Clash sono un fuori tempo: nella catastrofe della musica come consumo, nel momento stesso in cui la musica più che provocare emozioni, le consuma, le ingabbia in facili stilemi e ritornelli, i Clash si ribellano e nonostante la glaciazione dei cuori e il fallout nucleare della crisi, non cedono, mentre quel laboratorio del nostro presente che furono quegli anni, tra la fine degli anni settanta con l’addio ai sogni di Peace & Love e gli anni ’80 steroidi e denaro, sembra aver prodotto definitivamente un mondo completamente disumanizzato, la loro voce si sente forte e chiara.

 

“Engines stop running, but I have no fear

‘Cause London is drowning, and I, I live by the river” …

 

Il loro grido spezza il circuito chiuso della macchina, ne frantuma gli ingranaggi. Be careful With That Axe Eugene, titolo di un pezzo dei Pink Floyd è adattissimo al momento.

 

 

I Clash regalano un’ascia. La loro musica è una bipenne da vichingo con cui spaccare in due il cranio di un’umanità in sedazione televisiva che si avvia alla sedazione permanente della connessione totale.

La rivolta dei Clash, è quella per un mondo migliore possibile.

 

Se i Sex Pistols furono in quegli anni il trionfo del nichilismo, i Clash furono e sono ancora oggi una bomba stirneriana, anarchica e universale. Tra loro e i Sex Pistols c’è la stessa differenza tra il Kirillov di Dostoevskij, il giovane che si suicida per dimostrare a se stesso e al mondo che dio non esiste, e il Robert Jordan di Hemingway che alla fine del libro Per chi suona la campana, in attesa della morte sicura, ferito, con un mitra steso in terra continua a lottare, senza tregua.

La musica dei Clash ci fa sentire tra le orecchie, dove dovrebbero risiedere a braccetto ragione e sentimento, in luogo delle categorie del porno, le varie milf, big boobs, Barbara D’Urso, un suono davvero popolare che racconta quanto nessun uomo sia un’isola. Nessuno di noi è solo.

Nel mondo c’è qualcuno di vivo. Forse, in questo caos di vicinanze algoritmiche, dove sistemi precalcolano ogni cosa avvicinando gli uomini gli uni agli altri per spiaccicarli come sottilette su un hamburger, la loro battaglia musicale è sincera.

 

The Clash 6

La rivolta dei Clash, è quella per un mondo migliore possibile

 

I Clash, non hanno mai lottato per annullare le distanze, ma per renderle percorribili, da fare in modo che le persone si avvicinassero più che assomigliarsi, salvaguardando così la differenza per tutelare la tensione positiva alla conoscenza di ciò che è differente.

 

“London calling to the imitation zone

Forget it, brother, you can go it alone” …

 

A causa dell’assenza di spazio tra le persone, con la claustrofobia eletta a ragione di vita, con la fine di ogni spazio di incontro come luogo da cercare percorrendo una distanza a volte interminabile, la cultura attuale non è altro che omologazione, o meglio ancora, la coesistenza di piccole particellari particolarità chiuse come uova pasquali, grazie al controllo possibile di ogni ingresso. La cosa terribile è che non solo è omologato ogni aspetto, ma che questa è un’omologazione permanente, sempre in fieri, mai doma, impossibile a fermarsi perché è la radice stessa della possibilità del consumo. Noi siamo tutti uguali in quanto consumiamo allo stesso modo.

Siamo zombie.

 

“London calling to the zombies of death

Quit holding out and draw another breath” …

 

Joe Strummer e gli altri, non si sarebbero per fortuna mai ridotti a zombie, nessuna saga cool da fumetto o da serie TV per loro.

 

The Clash 7

I Clash nel 1978

 

Li accusarono di essere eccessivi, a volte cattivi. Oggi non posso fare a meno di ringraziarli per il loro tentativo di impedire a colpi di suono la lobotomia collettiva e generale.

 

“London calling and I don’t want to shout

But when we were talking I saw you nodding out” …

 

Il mio grazie è un sussurro, lo faccio quasi in silenzio, così come invito chi legge ad ascoltare con più gente possibile i loro dischi che sono freschissimi anche oggi, per scoprire una musica fighissima che non condanna all’ascolto passivo.

I dischi dei Clash come Sandinista, fiume in piena di rockpolitik, altro che il santone new age Celentano, a una festa, a un qualsiasi party, avrebbero una forza dirompente, trascinando a ballare, condannando a pensare.

Così sgorgano le rivoluzioni, nascono dal riso, dalla gioia e dallo stare insieme, oltre che dalla necessità.

 

 

La rivoluzione è un sorriso gettato in faccia al destino filato dalle Moire, vecchie grifagne, schiantandone la sicumera e la tranquilla certezza da filatrici eterne.

 

“London calling, see we ain’t got no high

Except for that one with the yellowy eye”…

 

Dopo un paio di canzoni, si incendierebbe anche la più ingessata delle situazioni istituzionali e non basterebbe la censura dagli occhi gialli, tristi e con le palpebre pesanti, quello sguardo sussiegoso del popolo zombie incapace di intendere e di volere, abilissimo solo a consumare.

Un episodio da ricordare è quello dei concerti al Bond’s di New York, nel 1981, dopo la pubblicazione di Sandinista.

Dopo il tutto esaurito della prima esibizione, le autorità dichiararono che la struttura non poteva per motivi di sicurezza accogliere così tanta gente. La sera successiva fu deciso di impedire l’ingresso a moltissimo pubblico, nonostante avessero il biglietto, facendoli incazzare terribilmente. Il giorno seguente ancora, l’edificio venne addirittura chiuso per il rischio di incendi.

La risposta del pubblico non si fece attendere, ci furono infatti, disordini a Times Square al punto che le autorità dovettero chiedere ai Clash di fare più serate in modo tale da poter soddisfare tutti i possessori dei biglietti.

 

 

Morale della favola? I Clash erano riusciti a conquistare, nonostante i casini con le autorità, un pubblico dedito al rock “born to be wild”, suonando una specie di reggae e rockabilly.

Quella gente voleva una sveglia dal torpore urbano di violenza ed emarginazione raccontato magistralmente da Scorsese, genio che se fosse nato in Italia sarebbe diventato un Ermanno Olmi, chierichetto, pedante, noioso.

Il pubblico americano, amava i Clash per la forza creativa di un discorso di matrice politica musicale che mai era stato fatto prima. Nessuno dei gruppi che storicamente facevano canzoni impegnate, mai nessuno aveva cantato e suonato contaminando così tanti generi, evocando una possibile convivenza musicale e reale che appariva intollerabilmente naturale e ovvia in entrambi i casi.

 

“The ice age is coming, the sun is zooming in

Engines stop running, the wheat is growin’ thin

A nuclear era, but I have no fear

‘Cause London is drowning, and I, I live by the river” …

 

La stessa costruzione dei ritornelli, è finalizzata certamente alla memorabilità, alla possibilità a volte di fischiettarli, cantarli, ma sempre in gruppo, insieme agli altri. I Clash sono musica da ascoltare con gli altri. Il loro ritornello è un cerchio rassicurante nel caos, è lo strumento con cui si alleggerisce un testo terribile che racconterebbe altrimenti solo di una devastazione del mondo, immaginaria e reale, tale da impedire ogni leggerezza.

 

 

Senza però la levità dell’ironia, sarebbe impossibile realizzare qualsiasi vero cambiamento politico che non sfoci in un autoritarismo peggiore di quello che lo ha preceduto e che ha provveduto a rovesciare. Il ritornello qui non è il modo di legare a un immaginario vissuto privato, borghese e condiviso, ma è il nocciolo duro, il porto da cui partire verso nuove visioni collettive e mai private e sovraniste.

Salvini non ascolta i Clash…

 

“Now get this” …

 

Oggi quello che fu un regalo magnifico per gli inglesi, per gli americani, per tutti noi, la loro musica, è più viva che mai.

 

“London calling, yes, I was there, too

An’ you know what they said? Well, some of it was true!”

 

La voce dei Clash, sopravanza le altre non appena si tendano le orecchie con attenzione e senza la pretesa di ricevere soddisfazione, tipica di un pubblico che è educato solo e soltanto al consumo.

 

“London calling at the top of the dial

And after all this, won’t you give me a smile?

I never felt so much a’ like a’like a’like”

 

La prima volta che li ascoltai è stato molti anni fa. Al liceo ne ascoltavamo le canzoni per imparare l’inglese:

“ Listen and repeat please”!

 

The Clash 8

I Clash dal vivo

 

Oggi ancora sotto le ceneri di quei furori giovanili, vivono le parole dei Clash che non solo invitavano a un mondo diverso, non solo denunciavano quello che poi oggi si sarebbe verificato, la fine delle ideologie e della morte della massa come forza politica significativa, ma con leggerezza raccontavano di mondi possibili, per lo meno più divertenti.

È vero. Un mondo diverso è possibile. Almeno nella musica è possibile, poi che tutto sia musica è non solo evidente…

 

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