Cosa significa essere dei ludopatici, e scandire il ritmo della propria vita a suon di monete che scendono nel baratro delle macchinette.

La Capagira, i settanta minuti d’esordio di Andrea e Alessandro Piva, è diventato il film rivelazione di quell’anno. Siamo nel ‘99 e nel film il centro attorno a cui ruotano le vicende della bassissima manovalanza criminale barese è uno di quei posti a metà tra il bar e il circolo privato dove, grazie a un passaggio segreto, le anime tristi potevano giocarsi incontrollate quantità di denaro alle “macchinette”, il famoso videopoker.  Una porta-armadio dava accesso diretto al girone infernale dei ludopatici che, come zombie, entravano ed uscivano inebetiti e catatonici.

 

“Quando non ci sarà più posto all’inferno i morti cammineranno sulla terra”, battuta chiave di Zombi di Romero. Gli zombi che attaccano il supermercato. Il capitalismo, il consumismo, grossi quantitativi di inchiostro sull’argomento. Ma oggi possiamo verificare con i nostri occhi, ventiquattro ore al giorno, l’ennesima profezia cinematografica che si è compiuta: la richiesta di questo tipo di intrattenimento si è fatta numericamente incontenibile per le salette private dei circoli e non ci finiscono più solo i disperati, le vergogne di famiglia, gli scialacquatori, i deboli, quelli che non hanno abbastanza stile per giocarsi i soldi ai cavalli o ai tavoli da poker che fanno tanto Milano da bere o Romanzo Criminale, o Pupo, dipende dai gusti. O meglio, le categorie sono sempre quelle, ma si sono tutti ammassati, malvestiti, con le occhiaie e ciondolanti come zombi, appunto, addosso ai videopoker.

 

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Giocatori di videopoker

 

Slot e videolottery rappresentano il 51,75% del gioco d’azzardo totale in Italia.

 

Il problema è noto e studiato da osservatori, associazioni, ricercatori e sociologi con la prevedibile polemica sulla reale volontà da parte dello Stato di affrontare il problema, a partire dal punto in cui esso può essere definito “un problema” visto che gli introiti da videopoker e slot machine hanno pareggiato o a volte superato quelli che l’Erario ottiene dalle tasse. Più o meno è lo stesso approccio di pensiero che alcuni hanno verso l’alcol, ma è la foglia di fico che proprio chi ne è dipendente si mette per autoassolversi. Nei bar in cui ho visto chi ha la scimmia del gioco, ho notato che è di uso comune chiamare le slot “tasse dei poveri”, un modo per nobilitare il loro vizio : “almeno i soldi vanno allo Stato” e non, come succede con gli stupefacenti, alle organizzazioni criminali. E già su questo punto ci sarebbero alcuni equivoci da risolvere. Io però posso raccontarvi quello che succede prima che diventi grafico, percentuale, Istat; posso riferirvi quello che ho visto ad altezza uomo, e cioè a che bassezze esso può arrivare per infilare più soldi possibili in quelle cazzo di torrette esattoriali.

 

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Il videopoker viene chiamato anche tassa dei poveri

 

Nel 2015 l’incisività del gioco d’azzardo sul Pil è stata dell’1,10 % e sulla spesa delle famiglie del 1,73%. Dati in continua crescita.

 

Sapete quanto costa un litro di latte? Questa è la tipica domanda che si pone ad un interlocutore che sospettiamo non sia sintonizzato con la realtà delle cose per incapacità o perché, più semplicemente, può permettersi di sbattersene del prezzo del latte grazie a qualcuno che si occupa di farglielo trovare sempre fresco nel frigorifero. In certi bar notturni può capitare di veder pagare un litro di latte anche 250 euro. Non c’entra la tariffa notturna o il fatto che venga acquistato in un bar anziché minimarket sotto casa. Succede quando un giovane padre di famiglia viene mandato a comprare il latte per i bambini perché è finito e non ce n’è nemmeno un goccio per il mattino seguente. Magari gli era stato dato il compito di comprarlo già durante il corso della giornata ma con quei soldi ha fatto altro, questa però è una mia supposizione, mi limito a ciò che ho visto io: un ragazzo con solo qualche anno più di me che entra sparato nel bar alle 22:30 e si aggiudica un litro di latte. Alle 22:32 ha già portato a compimento l’operazione per cui era stato mandato in avanscoperta dalla base familiare ma a mezzanotte sta ancora là, con la bottiglia di plastica del latte appoggiata in cima al videopoker e che ha ricevuto tutto il calore dei circuiti elettrici e delle lucine colorate che seducono senza sosta come prostitute da strada. Ogni tanto, quando si sente rumore di monete che cadono copiose, tutti i clienti del bar si girano per vedere se qualcuno ha incassato una vincita. Non lo fanno per spirito di squadra o solidarietà, semplicemente perché chi vince offre un giro da bere a tutti, si tratta quindi solo di controllare se esce una bevuta gratis. Ma il rumore è quasi sempre della macchinetta scambia soldi, quella dove il giovane padre già ha buttato per tre volte pezzi interi da cinquanta euro che sono diventati monete che sono diventate niente. Ai campanelli dei monitor si aggiunge la suoneria del telefono che preannuncia un richiamo coniugale all’ordine così tanto urlato che lo sentono tutti all’interno del bar. “Mo arrivo”, risponde concentrato nell’essere estraniato, e sono altri due pezzi da cinquanta veloci e poi di corsa a casa senza salutare nessuno. “A uno così se lo mandano ancora a comprare il latte, tra poco a casa non avranno né il latte né il pane!”, commenta una presenza fissa del bar che non gioca solo perché altri vizi lo hanno monopolizzato prima.

 

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Il rumore è quasi sempre della macchinetta scambia soldi

 

I giocatori d’azzardo in Italia sono per il 40,4% donne e per il 59,6% uomini.

 

Le macchinette non sono solo motivo di crisi coniugali, anzi. Non c’è dannazione migliore di quella che si può condividere con il proprio partner. C’è una giovane coppia dai soldi facili, spacciano. E se in questo inferno ci sono persone che lavorano 12 ore al giorno nei cantieri, figuriamoci se non ci si ritrovano quelli che vendendo un paio di pezzi si aggiustano la serata. Guida sempre lei, probabilmente a causa delle restrizioni giudiziarie di lui. Entrano e prendono da bere, sempre roba straforte, e mettono ogni volta il resto del conto e il resto del budget nelle fessure metalliche del videopoker. Non tantissimo, dai 20 ai 50, ma fanno questa operazione di andata e ritorno dal bar almeno una decina di volte a serata, non escludendo tappe intermedie in altri posti. Per chi spaccia è essenziale farsi vedere nei posti che contano. E i bar notturni con i videopoker sono assicurazione di clientela avvezza alle dipendenze e a non riuscire a tenersi i soldi in tasca.

 

I soldi incassati dallo Stato grazie al gioco d’azzardo sono aumentati del 24,8% (sul 2015) e pari a 10,07 miliardi di euro.

 

Azzurra Cerri è la titolare del bar “Why Not? Cafe” di Viareggio, tempo fa ha deciso di rinunciare ai videopoker nel suo esercizio commerciale per fare posto a una libreria, se ne è tanto parlato oltre che per il coraggio della sua scelta, anche per via dei non pochi problemi che ha avuto in seguito. Lei tiene duro ancora oggi ma molti esercenti oppongono a questa scelta una resistenza pari all’irresistibile scioglievolezza dei cioccolatini Lindor. Anche in uno dei bar in cui si sono svolte le vicende che vi sto raccontando provarono a togliere le macchine slot: troppo casino, gente che urla, che vuole i soldi indietro. Un bravo cristo una volta, in preda alla disperazione, voleva portarsi a casa la macchinetta che si era appena mangiato tutto l’incasso di un interno giorno di lavoro al mercato e che era venuto a giocarsi subito dopo aver svuotato il vano merce dell’Apecar. La soluzione al problema fu fissare le macchinette al muro. Allora il titolare disse basta, anche perché tutto questo casino dava fastidio ai condomini che iniziarono a chiamare la polizia sempre più spesso.

 

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Azzura Cerri, la coraggiosa titolare di un bar che ha deciso di sostituire i videopoker con una libreria

 

La citazione di Zombie all’inizio di questo resoconto si occupava dello spazio: quando non ce ne sarà all’inferno (delle salette riservate), cammineranno in mezzo a noi. Lo stesso discorso vale anche per il tempo: quando non gli è bastata più la notte, hanno iniziato ad alimentare il proprio demone anche di giorno. Tantissimi dannati quando vengono cacciati a forza dai locali in chiusura chiedono a che ora aprirà il locale l’indomani e si fanno trovare lì davanti con largo anticipo per riposizionarsi di fronte alla macchinetta da cui sono stati separati poche ore prima perché, secondo loro, era arrivato il momento in cui “stava per pagare”. Provate a indovinare se andranno via carichi di soldi o solo “carichi di meraviglia” come si dice dalle mie parti per intendere qualcuno i cui propositi vengono totalmente disattesi. Alla luce di tutte queste controindicazioni, il titolare di uno di questi bar ha detto basta, via le macchinette e, con loro, via la gente di merda. Nel primo periodo si vantava di questa scelta, pentendosi di non averla fatta prima e ripeteva ad ogni avventore tutti i vantaggi dell’aver rinunciato alle macchinette maledette come un accanito fumatore che prova a smettere e si fa coraggio cantilenando a tutti i grandi vantaggi dell’aver detto stop alle sigarette.

 

Che fine fanno la maggior parte dei fumatori che provano a smettere? Così è stato per il gestore del bar. Ci andai dopo un po’ di tempo e la prima novità fu quella di trovare una guardia giurata. Non una di quelle che passano di notte tra un giro e l’altro per approvvigionarsi di caffè. Era lì, fissa. La prima cosa che pensai era che il titolare del bar aveva avuto talmente tanto gusto ad eliminare una certa clientela, quella che lui chiamava diplomaticamente “feccia”, da assicurarsi di tenerla ulteriormente alla larga tramite l’utilizzo della vigilanza privata. Nell’entrare però mi accorsi che la guardia copriva la visuale dei videopoker che erano tornati tutti al loro posto, aumentati in numero. Alla richiesta di spiegazioni l’atteggiamento da ex fumatore redento del titolare era svanito per fare posto ad un più freddo ragioniere del male: “Adè, con i soldi delle macchinette pago la bolletta della corrente, il vigilante e mi avanza pure qualcosa”. Me lo ha detto proprio mentre osservavamo tutte le postazioni di gioco occupate, tutte con posacenere e bicchiere dell’amaro pieni. Tutto sotto il controllo della guardia che non era lì per proteggere il titolare, nemmeno i clienti normali e neanche i giocatori, era lì per dirigere il traffico del flusso di denaro tra i clacson dei campanellini, le file di banane e ciliegie che non si incasellavano quasi mai nei tre rulli digitali in modo da far piovere monete, e il susseguirsi del toc-toc-toc-toc del tasto che gli zombi del gioco premevano senza gusto, senza abilità, senza pretese. Ho provato a cronometrare il ritmo tasto-rullo e di nuovo tasto e più o meno l’ho calcolato in due secondi e mezzo. I due secondi e mezzo in cui file di sconosciuti sincronizzano respiri, tiri di sigaretta, battiti del cuore, speranze nate e morte in continuazione. Ma sempre in due secondi e mezzo. E se vincono? Si ricomincia, due secondi e mezzo alla volta.

 

I dati sono del Ministero dell’Economia e Agenzia Dogane su dati Istat.

 

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