La terapia antidepressiva è al centro di sperimentazioni nuove e potenzialmente miracolose.

La depressione, nota anche come ‘il male oscuro’, è una situazione patologica ormai largamente e scientificamente riconosciuta come tale: il depresso è vittima di un disturbo dell’umore fortemente invalidante, in grado di peggiorare la qualità della vita in modo non dissimile da molte patologie organiche.

 

L’approccio terapeutico verso questo disturbo è solitamente diviso in due grandi filoni che tendono ad intrecciarsi: la terapia farmacologica e quella psicoterapeutica. La scienza ha dimostrato come nel depresso vi sia uno squilibrio neurotrasmettitoriale importante ed evidente, soprattutto a livello della serotonina: sembrerebbe quindi naturale curare la depressione in modo farmacologico, intervenendo sui ridotti livelli della sostanza in questione. Ma è pari modo evidente come l’indissolubile legame tra mente e corpo (sempre che sia possibile distinguere ancora dialetticamente due elementi così essenzialmente attorcigliati) renda necessario uno sguardo più lungimirante, acuto e paziente: la terapia farmacologica diventa infatti quasi sempre inutile, soprattutto sul lungo termine, senza un adeguato percorso psicoterapeutico. Questa premessa è fondamentale per affrontare il tema della terapia farmacologica con cognizione di causa, perché non venga vista come una sorta di ‘formula magica’ in grado di guarire dal ‘male oscuro’ con la semplice assunzione di una compressa.

 

male oscuro 1

La terapia farmacologica diventa quasi sempre inutile, senza un adeguato percorso psicoterapeutico

 

Ma se è ormai da decenni che vengono utilizzati i farmaci tradizionali contro la depressione, ossia tipicamente gli SSRI (inibitori selettivi del riassorbimento di serotonina), meritano più attenzione gli orizzonti meno sondati, a causa di una perniciosa miscela di pregiudizi e mancanza di risorse economiche. Diversi studi cercano la cura per la depressione in sostanze per lo più illegali, nello specifico ketamina, allucinogeni (LSD e psilocibina), e MDMA.

Il dottor Rupert McShane, su The Lancet Pshychiatry ha riportato i risultati estremamente positivi di terapie sperimentali con la ketamina su pazienti affetti da depressione, voce che si unisce ad altri eminenti esponenti della comunità scientifica come il professor Allan Young del Royal College of Psychiatrists che vede la ketamina come “uno dei più sorprendenti sviluppi degli ultimi anni nel campo della salute mentale”.

 

Nella cultura popolare la ketamina è una droga d’abuso, una sostanza ricreazionale in grado di mediare effetti psicotropi molto peculiari, tutti caratterizzati dai tratti distintivi del punto d’arrivo più estremo dell’esperienza con la ketamina, il K-hole: si tratta di sensazioni di dissociazione, depersonalizzazione e disorientamento. Sono effetti facilmente riconducibili alla natura originaria del farmaco-droga, la ketamina infatti è nata come anestetico dissociativo: agendo da antagonista sui recettori NMDA è in grado di mediare questo effetto (in maniera differente quindi dagli oppioidi, agonisti sui recettori loro dedicati), ma successive sperimentazioni hanno messo in luce come quest’affinità col recettore NMDA dia vita anche ad un altro effetto, quello antidepressivo.

 

male oscuro 2

La ketamina è nata come anestetico dissociativo

 

Il meccanismo d’azione in grado di spiegare l’attività antidepressiva della ketamina non è ancora del tutto chiaro, ma al di là delle speculazioni farmacodinamiche (oggetto di pubblicazioni scientifiche di grande interesse per chi volesse approfondire l’argomento) è interessante notare come i pazienti sottoposti al trattamento abbiano osservato un rapidissimo beneficio, con forte riduzione o scomparsa dei sintomi depressivi in tempi estremamente ridotti, si parla di 1-2 ore. E tutto ciò somministrando dosi inferiori a quelle solitamente ricercate per gli effetti psicotropi della sostanza, e ben più distanti da quelle potenzialmente letali. La cosa è ancora più interessante se andiamo a confrontare questi aspetti con il comportamento più noto dei farmaci antidepressivi tradizionali.

 

Gli SSRI infatti, pensiamo al Prozac (fluoxetina) o allo Zoloft (sertralina), determinano attività antidepressiva inibendo la ricaptazione sinaptica della serotonina: in soldoni, fanno circolare più a lungo la serotonina, il ‘neurotrasmettitore del benessere’, riducendo i sintomi della depressione, caratterizzata appunto da bassa attività serotoninergica. Ma la terapia con SSRI è efficace solamente dopo un lungo periodo, solitamente mesi di trattamento: inoltre, andando a modulare così prepotentemente un meccanismo fisiologico gli effetti collaterali sono numerosi. Una delle problematiche più rilevanti del trattamento con antidepressivi tradizionali è data dai sintomi causati dalla sospensione della terapia: sono arcinoti i casi di suicidio ‘causati’ dal Prozac, perché appunto dopo l’assuefazione al farmaco, nel momento in cui esso viene sospeso i sintomi non fanno che tornare, più gravi di prima. Si tratta del principio che sta dietro anche al ‘down’ che segue le assunzioni della sorella-fuorilegge degli SSRI, ovvero l’MDMA.

 

male oscuro 3

L’MDMA è sorella-fuorilegge degli SSRI

 

Agendo in maniera totalmente differente, la ketamina non sarebbe soggetta ai sintomi da ‘rimbalzo’ tipici della terapia serotoninergica: certo, per poter affermare di avere tra le mani un farmaco sicuro (o anche solo più sicuro degli SSRI) sono necessari anni di studi clinici, ed è su questo punto che i ricercatori sono più accalorati. Perché senza i fondi necessari per una ricerca puntuale e scevra da pregiudizi che nemmeno dovrebbero entrare in un discorso anche solo lontanamente scientifico, lo sviluppo di una nuova famiglia di farmaci antidepressivi a partire dalla ketamina è impensabile.

E il problema non è solo della ketamina: quando si parla di sostanze illegali, a causa del loro background di droghe di strada, le ricerche sperimentali sono costantemente soggette a rallentamenti e impedimenti, che inevitabilmente causano un deficit nella ricerca scientifica e, di conseguenza, penalizzano la salute pubblica.

 

Il fatto che una sostanza possa essere utilizzata sia come droga ricreazionale che come medicina è parte costitutiva del concetto di farmaco, come di quello stesso di droga. Basti pensare che la parola ‘farmaco’ deriva dal greco antico phàrmakon, che significa (anche) veleno. Sono concetti che non fanno che intersecarsi e sovrapporsi, sfidando con le semplici leggi della logica i pregiudizi imposti dal secolo del proibizionismo, che per fortuna sembra volgere al termine. Perché, se ogni sostanza che determina un’attività è da considerarsi un farmaco-droga, solo i limiti del proibizionismo più radicato possono ancora essere i responsabili di un simile ritardo nella ricerca scientifica.

Non possiamo pensare che sia giusto osteggiare lo sviluppo di una famiglia di farmaci a partire dalla ketamina solo perché la sostanza, utilizzata in modo improprio e ricreazionale, ha effetti collaterali e tossicità di sicuro rilievo: gli stessi ricercatori sono in costante confronto con queste tematiche, e su The Lancet troviamo addirittura uno studio che verte soprattutto sulle implicazioni ‘etiche’ dell’utilizzo della ketamina in terapia, e sulle attenzioni speciali di cui necessita. Ma soprattutto, è proprio l’utilizzo scientifico e razionale di una sostanza ad abbatterne la pericolosità.

 

male oscuro 4

La ketamina in terapia necessita attenzioni speciali

 

Antagonizzando il recettore NMDA la ketamina ha diverse attività sul nostro cervello, in questo ambito l’effetto terapeutico pare essere determinato dalla sintesi di un fattore neurotrofico che va a mediare l’attività antidepressiva. La radicale differenza rispetto agli SSRI, che come detto agiscono sul riassorbimento della serotonina, è uno spunto per pensare alla natura fondamentalmente biochimica della depressione. Eppure, il male oscuro appare come il malessere addirittura più legato alla sfera emotiva, a tutta una serie di condizioni ambientali e personali difficili da discernere con le sole prerogative bio-mediche.

Ciò ci porta a considerare altre sostanze proibite dalla legge che sono riconducibili alla terapia della depressione. L’MDMA non fa che replicare gli effetti dei SSRI, solamente con una brutalità e una velocità che i cugini-farmaci non possono neanche lontanamente mimare, anzi sono caratterizzati come detto da un lungo periodo di terapia. Gli effetti neurotossici e di ‘rimbalzo’ sono problematiche da tenere in conto in maniera preponderante quando si pensa all’MDMA come farmaco (per esempio per combattere il disturbo da stress post traumatico), ma anche in questo caso la comunità scientifica sta portando avanti studi con previsioni delle più ottimistiche.

 

male oscuro 6

L’MDMA può essere usata per curare i disturbi da stress post traumatico

 

Per trovare qualcosa di veramente diverso, anche a livello di farmacodinamica, dobbiamo guardare verso la terapia con gli allucinogeni: in questo caso, il legame tra terapia farmacologica e psicoterapeutica si fa ancora più stretto. Infatti, l’auspicato meccanismo d’azione in grado di coadiuvare la cura della depressione con LSD o psilocibina risiederebbe nella capacità di tali sostanze di attivare collegamenti nuovi ed imprevisti tra aree cerebrali solitamente non in comunicazione. In questo modo, il paziente sarebbe in grado di superare situazioni apparentemente bloccate e causa di ansia e depressione, grazie alla luce nuova che consente di reinterpretare dati ed esperienze che sembravano fossilizzate.

È lo stesso Albert Hofmann a parlarci delle proprietà potenzialmente terapeutiche del suo ‘bambino difficile‘, l’LSD:

 

“I benefici che questo farmaco apporta in psicoanalisi e in psicoterapia derivano da proprietà che sono diametralmente opposte a quelle dei cosiddetti psicofarmaci ansiolitici. Mentre gli ansiolitici tendono a coprire i problemi e in conflitti del paziente, riducendone la gravità e l’importanza, l’LSD, al contrario, li fa vivere in maniera più intensa. È proprio questo aspetto di chiarificazione e discernimento a renderli più facilmente soggetti all’intervento terapeutico.”

 

Queste poche parole di Hofmann, tra le menti più illuminate della modernità, focalizzano alcuni punti fondamentali della terapia con allucinogeni: da una parte la differenza sostanziale con i farmaci tradizionali (anche se in questo estratto fa riferimento agli ansiolitici, oggi rappresentati quasi totalmente dalle benzodiazepine come Xanax\alprazolam, Tavor\lorazepam…), dall’altra la sempre attenta necessità di un intervento terapeutico complementare e sinergico all’assunzione della sostanza. La terapia con l’LSD non è rimasta un vagheggio del suo creatore, anzi ancora una volta è possibile approfondire gli esiti sorprendenti di questo trattamento mediante svariate pubblicazioni scientifiche.

 

male oscuro 7

Albert Hofmann è stato tra le menti più illuminate della modernità

 

Anche la psilocibina è oggetto di sperimentazioni cliniche di rilievo, ed è tornata alla ribalta anche grazie all’interesse generato da un articolo di The Guardian di pochi mesi fa: la molecola attiva dei funghi allucinogeni è stata in grado di ridurre i sintomi depressivi e ansiosi in un grande numero di pazienti depressi, anche dopo una sola somministrazione e con beneficio immediato. In questo caso, sono i pazienti stessi a descrivere esperienze mistiche, sensazioni estremamente lontane dalla quotidianità che hanno consentito il superamento di problematiche che erano diventate scogli apparentemente insormontabili.

E dagli studi con la psilocibina abbiamo l’ennesima occasione di restare abbacinati dal balletto che vede corpo e mente andare a braccetto, psicologica e biochimica muoversi assieme indissolubilmente. Perché i ricercatori hanno osservato sì la capacità della psilocibina di mettere in comunicazione aree cerebrali in modo extra-ordinario, ma anche il legame tra la molecola e i recettori serotoninergici: l’attività antidepressiva sarebbe quindi spiegata piuttosto facilmente. Ma sarebbe riduttivo ascriverla ad un’azione meramente del tipoligando-recettore, perché parte consistente del beneficio ottenuto e raccontato dai pazienti è legato proprio alle esperienze causate dalla sostanza, a quel potere peculiare dell’allucinogeno. E le parole del padre dell’LSD, così simile alla psilocibina da renderli entrambi oggetto dei suoi studi, tornano nuovamente utili:

 

“L’impiego dell’LSD in Psicoterapia si basa principalmente sui seguenti effetti psichici: nell’alterazione da LSD la normale visione del mondo subisce una trasformazione e una disintegrazione profonde. Legato a questo è il fenomeno dell’attenuazione o anche della sospensione della barriera tra l’io e la realtà esterna. Quei pazienti che sono intrappolati all’interno di un circolo vizioso di natura egocentrica, possono perciò essere aiutati a superare le loro fissazioni e il loro isolamento. Come risultato si può osservare un miglioramento nel rapporto con il medico ed una maggiore sensibilità all’azione terapeutica. Lo stato di accresciuta influenzabilità sotto effetto di LSD contribuisce a raggiungere lo stesso scopo.”

 

Quello che appare più evidente dopo questo breve, e per esigenze espositive inevitabilmente riduttivo, excursus tra alcune ipotesi terapeutiche per il male oscuro, è il legame tra mente e corpo, tra psicologia e biochimica. Solo superando l’idea che non sia essenziale operare trasversalmente tra i due è possibile dare vero e duraturo beneficio ai pazienti depressi, superando l’idea dialettica di causa ed effetto tra biochimica ed emozione. Nel momento in cui il benessere è, semplificando, causato dalla serotonina, e il benessere – raggiunto anche grazie ad esperienze fuori dall’ordinario – porta alla sintesi di serotonina, le categorie logiche di causa ed effetto si sovrappongono. E solo la libera e illuminata ricerca scientifica può fare di questi concetti gli strumenti per intervenire davvero positivamente sulla salute mentale dell’uomo.

 

*****

Se ti è piaciuto questo articolo leggi anche: Le 10 sindromi neurologiche di cui nessuno parla.