Una storia corale in cui le vicende dei vari protagonisti sono importanti tanto quanto lo scenario socio-politico in cui si svolgono.

Dal 5 al 12 marzo, si è tenuta a Milano la 14esima edizione del Festival Il cinema italiano visto da Milano. Parte portante del festival, il Concorso Rivelazioni, che ha presentato in anteprima alcune opere di registi indipendenti italiani. Cinque lungometraggi si sono confrontati fra loro per avere la possibilità di farsi riconoscere di fronte al grande pubblico. I film del concorso sono stati votati da una giuria composta da spettatori e studenti (fra cui la sottoscritta). Ammetto che la votazione è stata impresa ardua, visto l’indubitabile talento di ognuno dei partecipanti, ma un film in particolare mi ha rapita più di qualsiasi altro per la sua straordinaria originalità.
Si tratta di Bangland, graphic novel di Lorenzo Berghella, già vincitore del Premio Siae 2015 nel quadro delle Giornate degli autori. Ciò che stupisce innanzitutto è trovarsi di fronte a un film di animazione in Italia, dove purtroppo l’animazione è diventata sempre più rara, quasi in via di estinzione oserei dire, e spesso targata erroneamente come “cinema per bambini”. Ma questi 60 minuti di film sembrano voler distruggere qualsiasi pregiudizio infondato. Bangland, provocatorio e anarchico nel linguaggio e nei contenuti, è tutto fuorché un film per marmocchi.

 

Il regista, come ho già accennato, è il giovanissimo Lorenzo Berghella (1990), un talento emergente di Pescara, studente della scuola d’animazione IFA (International Film Academy) dei fratelli Alessandro e Cristiano di Felice, dove il progetto ha preso forma. Bangland, nacque inizialmente come un cortometraggio, poi diventò una serie sul web dal titolo Too bad aggiudicandosi una serie di riconoscimenti internazionali, ed ora cerca di spaziare nel mondo del grande cinema. Con questa chicca, produzione Ròfilm e Axelotil, Berghella si è messo decisamente alla prova, non solo perché che si tratta del suo primo lungometraggio, ma soprattutto per il fatto che da solo ha “messo le sue mani” su quasi ogni ambito della realizzazione. Infatti, sembrerebbe aver fatto gran parte del film senza l’aiuto di nessuno. Berghella si è sdoppiato come sceneggiatore, montatore, scenografo e soprattutto disegnatore.

 

bangland (1)

 

La storia è ambientata a Bangland, una città immaginaria di un’America distopica dove troviamo Steven Spielberg in qualità di presidente. Dopo la dichiarazione di guerra allo stato africano del Mahaba, il razzismo diventa l’ordine del giorno: non essere bianco significa essere un potenziale terrorista. In questo panorama spazio-temporale le vite di diversi abitanti della città si intrecciano: Charlie Tucano e Tony Beretta, inquisitori assoldati dal telepredicatore Gold, insolita personalità religiosa; Loogie Boogie, strozzino irlandese alle prese con una figlia vittima di pedofili; Dante Blank, autore televisivo finito sotto le mire di Gold per la sua sit-com di satira sul Cristianesimo e moltissimi altri.

 

Il film, inghiottisce una vastità di tematiche contemporanee quali la politica, la guerra, la religione, il razzismo, la pedofilia e i mezzi di comunicazione di massa: insomma, esplora ogni possibile facciata del mondo in cui viviamo, della nostra realtà più palpabile. Berghella stesso, parlando del suo film, lo definisce “una storia corale in cui le vicende dei vari protagonisti sono importanti tanto quanto lo scenario socio-politico in cui si svolgono”. Ed è proprio così, una terribile attualità quella che vediamo, messa in scena con un mix di ironia e denuncia, azione e allegoria (resa evidente per esempio nell’ipotetico attentato alla Statua della libertà). Troviamo paradossi, sesso, violenza, corruzione politica e degrado accostati a citazioni conosciute e a celebri musiche rock rivisitate, prima di tutte la colonna sonora, una versione di House of the Rising Sun by Fabio D’Onofrio.

 

bangland (2)

 

La carica dell’immagine, dai colori a tratti psichedelici, è spinta così all’estremo che lo spettatore ha quasi difficoltà a captare ogni dettaglio. Berghella ha studiato tutto nei minimi particolari, ma in questo potpourri di rapidità e frammentarismo, ciò non gioca sempre a suo favore.
Analizzando invece il suo stile nel disegno, si nota un’estrema somiglianza con il tratto di capolavori come Waking Life e A Scanner Darkly del famosissimo regista Richard Linklater. Ma seppure accostabili dal punto di vista puramente visivo, la differenza sul piano pratico è netta. Mentre Linklater ha fatto uso della tecnica denominata rotoscope, ovvero ha girato il film in digitale e successivamente lo ha sottoposto a rimaneggiamento da parte di disegnatori via computer, Berghella ha disegnato l’intero film a mano, da solo, fotogramma per fotogramma, come un novello Hayao Miyazaki italiano. Lavoro che non solo richiede un’infinità di tempo ma anche un’infinità di pazienza e di coraggio. Lorenzo Berghella si è immerso nel mondo e l’ha messo in scena con fatica e sudore, poi ci ha riso sopra facendo ridere anche noi.
Direi che questo può bastare per avergli dato un’occasione per farsi conoscere.