Una famiglia allargata, disordinata, con tendenze piromani e spesso attaccata alla bottiglia di birra.

La convivenza è roba da gentiluomini, o forse no. Copenaghen, anni ‘70. Erik è un architetto di mezza età, accompagnato da 15 anni alla celebre Anna, anchorman di un canale televisivo danese. Freja, la figlia, ha 14 anni. Non navigano nell’oro, ma in seguito alla morte di un parente di Erik, ereditano una enorme, bellissima casa. All’occasione di venderla, così da riempire ampiamente le tasche della famiglia, si frappone un desiderio giovanile di Anna. Vivere in una comune.

 

Il film di Thomas Vinterberg va a bussare alla porta della convivenza, del vivere assieme, ma anche delle radici di un gruppo e delle sue dinamiche. La famiglia di Erik ne esce scombussolata, così come il concetto stesso di famiglia. E’ un film sui confini, sugli spazi, sia esterni che interni. Soprattutto interni. I personaggi saranno pur libertini e spericolati, ma restano comunque uomini e donne aggrappati agli affetti.
‘Come va da quelle parti?’ è la domanda che apre ogni incontro tra gli inquilini della casa; riunioni con tanto di ordine del giorno e alzate di mano: la comune è democratica.

 

La Comune1

 

Vinterberg ci ricorda che la convivenza è difficile, ma c’è qualcosa di ancor più ostico: essere famiglia dentro un’altra grande famiglia. La casa diventa la bambola più grande di una matrioska rumorosa, solidale, ma a volte anche imbarazzata e taciturna. Tutte manifestazioni di una collettività che il regista ci porta ad osservare da vicinissimo, fin nell’intimo, come nella bella scena del bagno collettivo.

 

La comune schiaffeggia gli standard di cui tanto abbiamo sentito parlare nel dibattito sulle unioni civili e lo fa senza neanche la presenza di una coppia omosessuale all’interno della trama. Progressisti e tradizionalisti, tutti sussultano di fronte alla famiglia del film di Vinterberg: allargata, disordinata, con tendenze piromani e spesso attaccata alla bottiglia di birra.

 

L’interpretazione valse a Trine Dyrholm l’Orso d’Argento all’ultima kermesse di Berlino; impressionante nella capacità di trasformarsi e attirare a sé tutta l’empatia possibile, o almeno quella di chi scrive.

 

Ci sono tutti gli ingredienti umani necessari e sufficienti per raccontare una bella storia. Il giudizio sull’esito dell’esperimento di convivenza è sospeso, diviso tra la parte di noi tesa a preservare il gruppo e quella che tende a schierarsi dalla parte di una pecora nera o, in questo caso, bionda.