La complessità disarmante di The Grandmaster, nuovo film di Wong Kar-wai.

Wong Kar-wai ci regala un film che all’apparenza può sembrare semplice (storia di Ip Man maestro di Wing Chun) ma in realtà cova al suo interno una complessità quasi disarmante.

Il protagonista (Tony Leung/Ip Man) ci anticipa una massima che fungerà da linea direttrice per tutto il film e cioè che il Kung fu è fatto di due sole parole, orizzontale e verticale, se vai giù perdi, se stai in piedi vinci.

Per molti potrebbe sembrare una frase come tante ma il cineasta cinese ci costruisce sopra l’intero film, forse l’intera sua poetica.

In The Grandmaster tutto è orizzontale e verticale, la pioggia incessante all’inizio del film (verticale), i corpi che volano a suon di pedate (orizzontale), gli sguardi che si incontrano (orizzontale), pavimenti calpestati da corpi eretti (orizzontale, verticale) e infine scale (verticale) e treni impossibili (orizzontale).

Ma il piano di Wong non finisce qui, è molto più ampio, è composto da linee infinite che partono da nord a sud (dalla Cina del nord degli anni ’30 fino ad arrivare a Foshan nella Cina del sud fino ad arrivare a sud-est a Hong Kong), prende a pretesto la storia di Ip Man per ripercorrere le tappe fondamentali di trent’anni di storia cinese; nessun combattimento del film è superfluo, ogni goccia di sudore, ogni schizzo di sangue, ogni lacrima sta a rappresentare la sofferenza di tutti i momenti storici della Cina di quegli anni; l’invasione di Hong Kong da parte dei giapponesi, l’estrema povertà e la guerra civile.

 

The Grandmaster 1

In The Grandmaster nessun combattimento è superfluo

 

Molti registi si sarebbero accontentati di fare un film su Ip Man che percorrendo la sua storia ripercorre la Storia, ma Wong no, non si accontenta e decide di mettere in ballo tutte le sue tematiche più care e allora The Grandmaster oltre che un film sul tempo diventa un film sugli amori impossibili, sugli amori sottotono, non urlati, velati come lo sono le tematiche di questo film.

Nella maggior parte dei suoi film Wong Kar-wai fa vivere ai suoi personaggi delle storie d’amore vissute a metà, o almeno ci fa vedere che il suo è un occhio disilluso, un occhio che mostra sempre l’inizio di una storia ma spesso non la fine, o meglio una fine forzata, un’interruzione, perché l’amore all’inizio avvampa, ma poi inevitabilmente arrivano le complicazioni, arriva il tempo, il tempo che brucia pian piano tutto quello che trova.

Ma in The Grandmaster abbiamo un’eccezione. Ci troviamo davanti ad uno dei tanti amori impossibili cari al regista: i due si incontrano, si sfiorano (i loro corpi si toccano solo durante un combattimento), le loro anime si toccano, ma qui, la storia d’amore non finisce proprio perché non inizia.

Il regista sembra quasi non voler intaccare quel che di bello che c’è fra di loro, anime perse, anime sole, si guardano, si salutano continuando il loro cammino verso il domani.

E immancabilmente tornano le linee orizzontali e verticali, perché gli uomini e le donne cari al regista si incontrano, si amano, si odiano ma poi dopo quell’incontro breve e intenso, quelle fragili linee devono continuare la loro strada, continuando a sporcarsi nel caos della vita.