Nelson Mandela, prima di essere un uomo politico, è il Tata (padre) del Sud Africa.
Una tempesta di articoli ha seguito la sua morte. Tra tutti i titoli, uno mi ha colpito particolarmente. “A giant among men has passed away”, campeggiava sulle colonne del The Guardian, sintetizzando in sette parole la grandezza di Nelson Mandela. Molto su di lui è stato detto in questi anni, con (come precedentemente notato) un’ovvia condensazione dopo il 5 dicembre, giorno della sua scomparsa. La sua lotta contro l’Apartheid. La sua lunga detenzione a Robben Island (dove “sebbene dietro le sbarre, sembrava un uomo libero e gli unici incarcerati sembravano i suoi aguzzini”). Le sue innumerevoli qualità, in particolare la tenacia e la determinazione, che gli hanno permesso di superare la prigionia. L’uomo duro e forte che era. Il carattere giocoso e festaiolo che aveva. La sua passione per lo sport e per il ballo. La sua visione pacifista e la sua propensione a perdonare. Il suo desiderio di creare un Nuovo Sud Africa. Sono questi alcuni dei tratti salienti di Mandela, ma non voglio parlare di questo. Sono tutti aspetti plurimenzionati e noti ai più. Nell’ultimo anno ho avuto a che fare con diversi sudafricani, cosa che mi ha permesso di scoprire questa figura sotto un altro punto di vista: ho conosciuto Nelson Mandela come Tata (padre) piuttosto che come l’uomo politico che è stato. Scrivo dunque su Mandela perché voglio provare a spiegare chi era e cosa la sua storia significasse per un sudafricano.
I sudafricani che conosco rappresentano la prima generazione post-Apartheid: sono cittadini del Nuovo Sud Africa. Tra le tante conversazioni che abbiamo avuto riguardo alla loro nazione, alcune riguardavano Mandela (o Madiba, secondo il suo nome di clan). Ho sempre amato parlare della storia del Sud Africa e del loro Tata. Tuttavia, vi è un aspetto riguardo a quest’ultimo che ha richiesto molto tempo perché lo cogliessi appieno. Ho sempre ritenuto Nelson Mandela un personaggio degno di stima e massimo rispetto, ma non capivo che cosa rendesse i miei amici così sinceramente grati a Madiba. Non avevo mai percepito una cosa del genere, mostravano un affetto che di solito si da (appunto) ad un padre. Spinto dal desiderio di capire meglio, lo scorso aprile andai ad una mostra dedicata a Nelson Mandela che mi aiutò a ripercorrerne la storia da vicino. L’interattività della mostra mi aveva in qualche modo proiettato con la mente in quell’Africa coloniale dove la società era divisa in razze per via dell’Apartheid. Mi aveva in qualche modo fatto sedere su quelle panchine “solo per bianchi” e fatto giocare a calcio con coetanei bianchi, mentre dall’altro lato della strada ragazzini neri vestiti di stracci giocavano con i sassi.
La mostra mi aveva guidato attraverso le proteste e coinvolto in riunioni dell’ANC (African National Congress). Mi aveva portato nel carcere dove Nelson Mandela (insieme ad altri prigionieri politici) è stato costretto a spaccare pietre per quasi un quarto di secolo. Mi ha permesso di provare solo un’infinitesima parte del suo dolore e di quello dei suoi compagni mostrandomi le immagini truci e violente di proteste represse col sangue. Mi ha infine riempito il cuore di gioia quando ha fatto luce sulla liberazione di Mandela e sulla proclamazione di quest’ultimo come capo del governo nel 1994.
Le emozioni lasciatemi dalla mostra furono avvisaglia del fatto che mi stavo avvicinando al senso di ciò che non capivo. Con una maggiore comprensione dei fatti mi confrontai ancora su Mandela con i miei amici e finalmente colsi il senso di quella pura gratitudine che si destinerebbe ad un buon padre quando mi venne detto “senza Mandela non saremmo nemmeno stati qui!”. La lotta di Nelson Mandela ha insegnato ad una intera nazione a perdonare e a guardare avanti. È ciò che ha infuso i cuori di questi ragazzi di positivismo e ottimismo. E’ ciò che ha avviato la costruzione di una società multietnica egualitaria. Ha posto le basi per una società dinamica e proattiva che ha l’obiettivo di risolvere le contraddizioni sociali ereditate dal colonialismo e che in un tempo brevissimo (circa un ventennio) ha compiuto passi da gigante. La lotta di Mandela ha acceso i riflettori sul Sud Africa, rendendolo un attrattore di investimenti esteri e turismo. Infine, è stata la sua battaglia a dar vita al suo sogno (e di molti altri), creando la Rainbow Nation (termine coniato da un arcivescovo e riutilizzato da Nelson Mandela nel suo primo discorso da primo ministro nel 1994).
Il 5 dicembre ho visto pianti, feste, commozioni, celebrazioni, manifestazioni, danze, statue issate, veglie, concerti, tutti i leader del mondo riuniti in uno stadio, funerali maestosi e molto altro ancora. Stavolta, però, non mi son posto nessuna domanda. Ho solo pensato “Rest in Peace Tata”, sapendo che una piccola parte di questo gigante avrebbe riposato per sempre dentro ogni sudafricano.