Change.org, il sito di petizioni online fondato da Ben Rattray, vuole cambiare gli equilibri di potere tra individui e grandi organizzazioni per "ridare speranza ai cittadini".

Viene un po’ da ridere pensando di definire un sito come social activism website, ma è proprio così che il The Guardian chiama Change.org. Tra di voi, 8 su 10 ne avranno sentito parlare almeno per sbaglio. Quattro di questi avranno anche partecipato a qualche petizione lanciata su questa piattaforma. Partiamo dal 2007: Ben Rattray ha 28 anni. Ha studiato scienze politiche ed economiche prima a Stanford, poi a Londra. Torna a Santa Barbara e decide di “cambiare gli equilibri di potere tra individui e grandi organizzazioni”, una cosa da niente. Lancia Change.org, oggi la piattaforma che ospita il più alto numero di petizioni.  Nel 2011 ogni mese se ne aggiungevano circa 10mila, oggi si parla di 1000 al giorno. Nel giugno del 2015 gli utenti di Change.org erano 100 milioni. Cento milioni di utenti! Ognuno di questi ha contribuito mediamente a firmare per 4-5 petizioni, per un totale di mezzo miliardo di firme incamerate dal server del sito di Rattray.

 

Massa critica?

Mettete a confronto l’ultima manifestazione che avete visto sfilare sotto la vostra finestra con questi numeri. Una parte del problema di Change.org sta proprio in questo paragone; ci torneremo tra poco. Nel momento in cui sto scrivendo – mi dice una simpatica grafica sul sito – 120 milioni di persone “sono in azione”. Davanti a me c’è un planisfero stilizzato di colore grigio e centinaia di pallini si accendono in corrispondenza delle varie parti del mondo, o meglio, almeno in quelle parti dove c’è una connessione internet. Sto scrivendo alle 8 di mattina circa e non vi immaginate quante petizioni vengono firmate in Sardegna su Change.org a quest’ora. Un puntino rosso ogni due minuti, circa. E ancora: “Circa ogni ora una petizione su Change.org raggiunge il successo”. Per raggiungere il successo ovviamente si intende il numero di firme che l’utente che ha lanciato la petizione aveva individuato.

 

La più popolare

“Fermiamo il festival della carne di cane a Yulin #StopYuLin2015” è ad oggi la petizione più popolare di Change.org, ed è online dal giugno di quest’anno. A lanciarla è stata una certa Elliot Rake che vive in Ontario. Le firme sono circa 4 milioni e 300 mila. Subito sotto con un milione e mezzo di firme abbiamo “Giustizia per Cecil, il leone simbolo ucciso da un cacciatore di trofei in Zimbabwe!”. Gli utenti di Change.org, possiamo dire, vogliono molto bene agli animali. Al quarto posto ritroviamo di nuovo i leoni: “South African Airways metta fine al trasporto di trofei di animali selvatici”. In mezzo alla giungla, in terza posizione, c’è Malala Yousafzai, premio Nobel per la pace nel 2014, con la sua campagna per l’istruzione delle ragazze in tutto il mondo.

 

Cambiamenti profondi

“La cosa peggiore per i cittadini è rimanere senza speranza. Sono partito da lì, dalla frustrazione delle persone che non riuscivano ad avere voce rispetto ai propri governi” ha detto Rattray a Wired lo scorso giugno. “La tecnologia ha facilitato la possibilità di connettersi con gli altri e questa società globale mobilitata e al lavoro per il miglioramento delle democrazie sta cambiando profondamente il modo in cui governi e aziende si confrontano con la propria base elettorale e i propri clienti”. Obiettivo raggiunto, almeno a sentir lui. Cambiare profondamente il modo in cui governi e aziende si confrontano con la propria base elettorale e i propri clienti. Ha lasciato un “rispettivamente”, mi auguro.

Risulta un po’ difficile credere ad un cambiamento profondo di questo tipo, a meno che non si faccia affidamento sulla portata mediatica di una petizione lanciata sul sito di Rattray. Considerando il numero di persone che passa per Change.org, questo diventa un potente strumento di diffusione di un’ingiustizia o di uno scandalo e dunque motivo di attenzione per i governi e aziende di cui sopra. Paura di essere smerdati in pubblica bacheca piuttosto che paura di un cambiamento profondo, ci viene da dire.

 

Tante lotte, tutte insieme 

I termini di servizio di Change.org fanno sì che le petizioni possano toccare migliaia di tematiche più o meno specifiche, dall’ambiente al lavoro, dalla libertà di pensiero allo stop delle dimissioni di un certo sindaco di Roma. Migliaia di ‘lotte‘, tutte insieme. Pensando alla frammentazione dei movimenti popolari del nostro paese, perché no anche solo studenteschi, viene quasi da pensare che Rattray abbia trovato il modo giusto per riunirli tutti. Non è così. Parlando con un amico attivista gli ho chiesto che cosa pensasse di Change.org e se fosse uno degli strumenti che con la sua organizzazione utilizzano per portare avanti i loro obiettivi. Mi ha risposto che quando ha scoperto il sito gli sembrava una gran cosa, che potesse essere davvero un social network contro le ingiustizie. Poi si è accorto che le persone, dopo aver firmato una petizione, si sentono soddisfatte del loro impegno civico e allora tralasciano qualsiasi altro comportamento di partecipazione civica e politica. Una fregatura.

Valore legale della firma

Ma se io firmo una petizione su Change.org e questa raggiunge la soglia indicata dall’ordinamento italiano, cosa succede? Niente, purtroppo (o per fortuna). Dal web apprendiamo che “l’ordinamento italiano equipara la firma digitale a quella chirografa, e ogni cittadino può ottenere una firma digitale per certificare la propria identità. Tuttavia, non esiste un sito web istituzionale per la raccolta di petizioni con firme digitali, e per l’esercizio del diritto di petizione via Internet”. La firma dunque non ha alcun valore. Ha valore semmai per Change.org che incamera i tuoi dati, si ricorderà per sempre il tuo indirizzo e mail e ti invierà tante nuove petizioni durante la tua settimana da click attivist. Un’altra fregatura?

Ogni petizione su Change.org ha il valore di tutte le altre. Tutto sta nel saperla ben pubblicizzare all’interno del sito ed utilizzare i social network per promuoverla, esattamente come si farebbe con un prodotto o un’attività. Il numero di firme è anche un termometro interessante che ci dice cos’è che davvero ci fa schifo, ci fa indignare e addirittura muovere la mano per andare a cliccare sulla petizione che ci interessa. Non a caso ci sono animali in cima alla classifica delle petizioni più firmate di sempre. Sembra valga lo stesso principio dei contenuti web: tira più un pelo di gattino che un carro di ingiustizie difficili da comprendere, per quanto uccidere cani e mangiarseli ad un festival sia una cosa orribile e spaventosa per tanti. Complimenti Ben per il tentativo, ma non ci salverai da noi stessi.